Sintesi Traduzione
– Tom Segev • Haaretz Jul 31 2022
I verbali del processo sul massacro di Kafr Qasem sono così scioccanti e sconvolgenti non perché rivelino informazioni sconosciute alla storia, ma proprio perché i crimini di guerra israeliani svolgono un ruolo così marginale nella formazione dei principi fondamentali dello Stato.
Il Piano israeliano Hafarperet (Talpa), progettato per espellere gli arabi dal cosiddetto "triangolo" delle città arabe, è noto da 20 anni, da quando la persona che lo scrisse sotto le istruzioni dell'allora Capo di Stato Maggiore Moshe Dayan ne rivelò esistenza. Il suo nome era Avraham (Abrasha) Tamir, all'epoca capo della divisione operativa del Comando Centrale dell'IDF, che in seguito divenne un'anomalia nel mondo politico israeliano.
L'idea alla base del Piano era quella di sfruttare una futura guerra con la Giordania per l'evacuazione dei villaggi arabi in questo triangolo. Alcuni abitanti sarebbero fuggiti in Giordania, mentre altri sarebbero stati mandati in campi di detenzione in Israele. Ruvik Rosenthal, giornalista, autore e linguista, ha citato Tamir in un libro che ha scritto, "Kafr Qasem: Facts and Mythos" (Kafr Qasem: Fatti e Miti), pubblicato (in ebraico) da Hakkibutz Hameuchad nel 2000.
Tre anni fa, lo storico Adam Raz pubblicò una "biografia politica" del massacro, commesso a Kafr Qasem dagli agenti della Polizia di Frontiera nel pomeriggio del 29 ottobre 1956.
Quel giorno iniziò la campagna del Sinai (Suez) e il coprifuoco fu imposto ai villaggi arabi nel triangolo, anticipatamente rispetto all'annuncio iniziale. Cinquantatre abitanti del villaggio che non sapevano del coprifuoco e stavano tornando a casa dal lavoro dopo che era stato promulgato sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. Tra i massacri di Deir Yassin nel 1948 e di Sabra e Shatila nel 1982, niente era più emblematico della natura omicida della battaglia per la Terra d'Israele.
Il massacro di Kafr Qasem fu riconosciuto negli anni successivi come un tragico errore che non sarebbe mai dovuta accadere. Il Piano Hafarperet è stato consegnato all'oblio, insieme ad altri piani per sfoltire la popolazione araba del Paese. Adam Raz cercò di dimostrare un collegamento tra il Piano e il massacro di Kafr Qasem. Gli archivi delle Forze di Difesa Israeliane si rifiutano di rilasciare qualsiasi documento relativo a questo incidente. Raz ha chiesto di vedere, tra gli altri documenti, i verbali dei processi ai poliziotti che hanno perpetrato il massacro e, a seguito di una campagna legale e pubblica durata anni, questi verbali sono stati declassificati questo venerdì 29 luglio 2022.
Come spesso accade quando i documenti statali vengono declassificati, la prima domanda che viene in mente è perché fossero custoditi così gelosamente. Quanto sarebbe stato piacevole e sorprendente se i verbali avessero rivelato l'ordine di non danneggiare civili innocenti. Resta da vedere se vi fosse un'affinità operativa tra il Piano Hafarperet, che è stato annullato prima del massacro, e cosa sia effettivamente successo nel villaggio. L'impressione data da questi verbali è che ci fosse un collegamento circostanziale: alcuni degli autori erano a conoscenza del Piano e della sua revoca, ma procedettero comunque nel fare ciò che fecero.
L'esatto legame tra il Piano Hafarperet e il massacro non è importante. Ciò che è importante è che entrambi erano impregnati dello stesso spirito. Le persone che hanno ucciso questi abitanti del villaggio non hanno agito con l'impassibilità di un soldato che obbedisce agli ordini. Credevano di fare qualcosa che doveva essere fatto, nello spirito dei loro comandanti. I verbali lo dimostrano chiaramente, e qui sta il loro significato principale.
Nel 1956 molti israeliani stavano ancora vivendo gli eventi della Guerra d'Indipendenza. Gli arabi israeliani erano considerati nemici. Erano vincolati dalle regole di un governo militare, un meccanismo arbitrario e corrotto la cui esistenza esprimeva l'atteggiamento di Ben-Gurion nei confronti degli arabi di questo Paese. Li vedeva come un ostacolo e una minaccia e non credeva nella possibilità di raggiungere la pace con loro. Era a sostegno di vari piani di trasferimento.
La fuga e l'espulsione degli arabi durante la guerra del 1948 erano coerenti con le sue opinioni, portando, tra gli altri fattori, alla decisione di non conquistare le loro nuove aree di insediamento, tra cui la Cisgiordania, Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza. "Un arabo è principalmente un arabo", ha detto Ben-Gurion pochi mesi prima del massacro di Kafr Qasem. Il suo spirito è stato incoraggiato dall'IDF. "Spero che nei prossimi anni possa esserci un'altra opportunità per trasferire questi arabi dalla Terra di Israele", disse Moshe Dayan.
Si vorrebbe credere che l'esposizione e la condanna dei crimini di guerra porterebbe alla prevenzione di tali crimini in futuro. È vero anche il contrario: chiunque nasconda i crimini di guerra li sta coprendo e legittimando. Il rincrescimento pubblico per i crimini di guerra a volte contribuisce al consolidamento dei principi umanitari fondamentali. Ma questo è particolarmente difficile in Israele, non solo per il continuo bisogno di difendersi dall'inimicizia araba, ma anche per il bisogno di credere nella rettitudine del Paese. Questo è un bisogno ideologico, sionista, esistenziale. Se non siamo giusti, non rimarremo qui, viene insegnato nelle scuole israeliane.
Sulla scia del processo agli assassini di Kafr Qasem, sembrava che Israele si stesse impegnando in una dottrina quasi rivoluzionaria negli annali della belligeranza umana. Questa era la dottrina della "Bandiera Nera". Una tale bandiera deve sventolare su qualsiasi "ordine palesemente illegale", che un soldato deve saper riconoscere e rifiutarsi di eseguire. Questa era la lezione etica che gli israeliani avrebbero dovuto imparare dall'Olocausto. Questa è la base per l'affermazione che l'IDF è l'esercito più morale del mondo.
C'è stato un tempo in cui ogni soldato dell'IDF avrebbe dovuto sentire parlare della "Bandiera Nera" nel corso del suo servizio, almeno una volta. Conosco almeno un soldato che non l'ha fatto. Tuttavia, sembra che anche la "dottrina della Bandiera Nera" sia stata consegnata all'oblio. In definitiva, questa dottrina rifletteva il desiderio di un sionismo che fosse più morale di quanto potesse essere.
Nel frattempo, tutto è cambiato. L'oppressione dei palestinesi nei Territori Occupati ha spazzato via anche le pretese di rappresentare un'esistenza giusta (israeliana). Solo pochi israeliani prestano attenzione a questa difficoltà, come dimostra una delle reazioni alla pubblicazione in rete del verbale del processo Kafr Qasem: "E il verbale dei pogrom (massacri) di Kishinev*?"
APPROFONDIMENTO
The minutes of the Kafr Qasem trial are so shocking and upsetting not because they reveal information that is unfamiliar to history, but precisely because Israeli war crimes play such a marginal role in the formation of the state’s seminal principles.
Israel's Hafarperet (Mole) Plan, designed to expel Arabs from the so-called “triangle” of Arab towns, has been known for 20 years, ever since the person who wrote it under the instructions of then-Chief of Staff Moshe Dayan revealed its existence. His name was Avraham (Abrasha) Tamir, the head of the IDF Central Command’s operations division at the time, later becoming an oddity in Israel’s political world.
The idea behind the plan was to exploit a future war with Jordan for the evacuation of Arab villages in this triangle. Some of the population would flee to Jordan, while others would be sent to detention camps in Israel. Ruvik Rosenthal, a journalist, author and linguist, quoted Tamir in a book he wrote, “Kafr Qasem, Facts and Mythos,” published (in Hebrew) by Hakkibutz Hameuchad in 2000.Three years ago, historian
Adam Raz published a “political biography” of the massacre, committed in Kafr Qasem by Border Policemen on the afternoon of October 29, 1956.
The Sinai (Suez) Campaign began that day, and curfew was imposed on Arab villages in the triangle, starting earlier than the initial announcement. Fifty-three villagers who did not know about the curfew and were returning home from work after it was enacted were shot to death. Between the massacres of Deir Yassin in 1948 and Sabra and Shatila in 1982, nothing was more horrifyingly emblematic of the murderous nature of the battle over the Land of Israel. The Kafr Qasem massacre was recognized in later years as a tragic exception that should never have happened. The Hafarperet Plan was consigned to oblivion, along with other plans for thinning out the country’s Arab population. Adam Raz tried to prove a link between the plan and the Kafr Qasem massacre. The Israel Defense Forces archives refuse to release any document relating to this incident. Raz demanded to see, among other documents, the minutes of the trials of the policemen who perpetrated the massacre, and following a legal and public campaign that lasted years, these minutes were declassified on Friday. As often happens when state documents are declassified, the first question that comes to mind is why were they guarded so jealously. How pleasing and surprising it could have been if the minutes had revealed an order not to harm innocent civilians. The remaining question is whether there was an operational affinity between the Hafarperet Plan, which was rescinded before the massacre, and what actually happened in the village. The impression given by these minutes is that there was a circumstantial link: Some of the perpetrators knew about the plan and its revocation, yet proceeded to do what they did anyway.
The exact link between the Hafarperet Plan and the massacre is not important. What is important is that both of them were imbued with the same spirit. The people who murdered these villagers did not act with the impassivity of a soldier obeying orders. They believed they were doing something that had to be done, in the spirit of their commanders. The minutes demonstrate this well, and therein lies their main significance.
In 1956, many Israelis were still living the events of the War of Independence. Israeli Arabs were deemed enemies. They were constricted by the rules of a military government, an arbitrary and corrupt mechanism whose existence expressed Ben-Gurion’s attitude to the Arabs of this country. He saw them as an obstacle and threat, and did not believe in the possibility of reaching peace with them. He was in support of various transfer plans. The flight and expulsion of Arabs during the 1948 war were congruent with his views, leading, among other factors, to the decision not to conquer their new areas of settlement, including the West Bank, East Jerusalem and the Gaza Strip. “An Arab is primarily an Arab,” said Ben-Gurion a few months before the massacre in Kafr Qasem. His spirit was fostered by the IDF. “I hope that in the coming years there may be another opportunity to transfer these Arabs from the Land of Israel,” said Moshe Dayan.One would like to believe that the exposure and condemnation of war crimes would lead to the prevention of such crimes in the future. The obverse is also true: Anyone concealing war crimes is covering them up and legitimizing them. Public contrition about war crimes sometimes contributes to the consolidation of basic humanitarian principles. But this is particularly difficult in Israel, not just because of the perpetual need to defend against Arab enmity, but also because of the need to believe in the righteousness of the country. This is an ideological, Zionist, existential need. If we aren’t just, we won’t remain here, it is taught in Israeli schools. In the wake of the trial of the Kafr Qasem murderers, it seemed as though Israel was committing itself to an almost revolutionary doctrine in the annals of human belligerence. This was the “black flag” doctrine. Such a flag must fly over any “patently illegal command,” which a soldier must identify and refuse to obey. This was the ethical lesson Israelis should have learned from the Holocaust. This is the basis for the claim that the IDF is the most moral army in the world. There was a time in which every IDF soldier was supposed to hear about the “black flag” in the course of his or her service, at least once. I know of at least one soldier who didn’t. However, it seems that the “black flag doctrine” was also consigned to oblivion. Ultimately, this doctrine reflected a yearning for a Zionism that was more moral than it could be.
In the meantime, everything has changed. The oppression of Palestinians in the occupied territories has trashed even the pretensions of representing a just (Israeli) existence. Only a few Israelis pay attention to this difficulty, as demonstrated by one of the online reactions to the publication of the minutes of the Kafr Qasem trial: “And what about the minutes of the Kishinev pogroms?”
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