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SALE NUMERO OPERAI PALESTINESI NELLE COLONIE

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   Gerusalemme, 27 luglio 2011, Nena News (foto dal sito alternativenews.org/italiano) – Mentre questi lavoratori vivono condizioni di sfruttamento, l’alto livello di disoccupazione nei Territori Occupati e i salari più alti nelle colonie costringono molti palestinesi a cercare un lavoro che contraddice l’aspirazione alla libertà dall’occupazione israeliana.Secondo i dati pubblicati la scorsa settimana dall’Ufficio centrale palestinese di statistica, il 14,2% della forza lavoro palestinese è stata impiegata nelle colonie durante il 2010, segnando un lieve rialzo rispetto al 2009, quando la percentuale era pari al 13,9%. Dai dati forniti dall’organizzazione israeliana per i diritti dei lavoratori Kav Laoved risultano essere 28mila lavoratori, di cui 18mila hanno speciali permessi e sono impiegati principalmente nelle zone industriali delle colonie, mentre gli altri 10mila sono impiegati senza permesso nelle zone agricole della Valle del Giordano.L’aumento della percentuale dei la

Davide Frattini :i Abu Gosh "«Il villaggio fantasma palestinese che deve diventare resort di lusso»

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DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME — Il pavimento nella casa del mukhtar è un mosaico di stracci abbandonati dai vagabondi. Le piastrelle di terracotta sono state estirpate, troppo belle e di valore. Gli alberi di fico e i mandorli invece resistono, hanno radici più forti delle lastre posate dall’uomo: continuano a spartire i frutti che da sessantatré anni nessuno raccoglie. L’acqua che irrigava i campi affonda tra le rocce, sotto a queste colline — dicono — il governo israeliano sta finendo di costruire il bunker che dovrebbe proteggere i ministri e i parlamentari in caso di attacco atomico. Yacoub Odeh struscia con la scarpa l’erba carbonizzata dall’ultimo incendio («doloso» , dice lui), sta in piedi in mezzo al soggiorno dove ha vissuto fino a quando aveva otto anni. Fuori — anche se un dentro non c’è più — poche pietre bianche disegnano il tabun, il forno dove la madre cuoceva il pane per lui e i sette fratelli. Scatta foto senza smettere, come ogni volta che ritorna «a casa» . Non è l

Oslo: lezioni di odio di Nicola Sessa

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È ora di badare molto bene a ciò che si dice, a ciò che si scrive, a ciò che si insegna Anders Behring Breivik ha ricordato a tutto l'occidente evoluto e civile che si può fare una strage anche in nome del Dio dei cristiani , che il terrorismo non è ad appannaggio esclusivo dei seguaci di Allah. Ecco, c'è una differenza: dato che Breivik è, in fondo, uno dei nostri si parla di strage ( derubricando il fatto in "cronaca nera" ) e non di attentato , di pazzo squilibrato e non di terrorista . Bisogna essere chiari e tutti dovrebbero sapere che come nessun cristiano spirituale si riconosce nel terrorista fondamentalista Breivik, così nessun musulmano ha nulla a che vedere con i militanti dell'estremismo islamico. È qualcosa da cui esula la religione, tramite di congiunzione tra differenti culture. Per scopi politici o trasversali, questa separazione concettuale viene sempre rinnegata dai seminatori di disprezzo cosicché anche sul terreno del terrorismo is

Anna Foa, storica :…Norvegia

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  Difficile oggi parlare d’altro che della tragedia terribile che sconvolge la Norvegia. E che, al di là del dolore, ci scombussola tutti, perchè, come già scriveva ieri su queste colonne Bidussa, ci pone di fronte al fatto che gruppi che tendevamo a considerare essenzialmente folklorici come quelli neonazisti, come i nuovi crociati dei siti antisemiti e razzisti alla Holywar, si rivelano improvvisamente capaci di una strage inimmaginabile e devastante. Avevamo preso l’abitudine di scrollarci di dosso con sufficienza questi deliri, di non dar loro peso. Avevamo ascoltato, ad esempio, un nostro europarlamentare della Lega parlare alla folla di “merdaccia levantina e mediterranea” e di “bianchi cristiani”, pensando che erano solo sciocchezze. Ed ora, che cosa dobbiamo pensare? Come possiamo reagire a questo veleno che circola, senza che i divieti lo riescano a frenare, che spinge alla violenza e al delitto le menti degli psicopatici, ammesso che l’assassino di Oslo sia tale e abbia d

Donatella Di Cesare, filosofa : Potere bianco e attentato a Oslo

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   È dunque un norvegese l’attentatore di Oslo, non un «islamico». Anzi è uno che rivendica la propria autoctonia, la propria patria e nazione, contro gli stranieri e contro tutti coloro che aprono, o vorrebbero aprire le frontiere, a chi non ha legami di suolo o di sangue. È un bianco che vuole affermare il potere dei bianchi e, per così dire, liberare l’Europa dagli invasori, cioè dagli immigranti, dagli arabi, dai lavoratori stranieri, dagli «altri». L’attentatore è tra noi, non fuori. White power e black metal sono i termini della sua ideologia che costringe a inserirlo nella galassia multiforme, e sempre più espansa, dell’estrema destra, xenofoba, omofoba, razzista e profondamente antisemita. Solo chi non conosce la situazione attuale della Germania, dei paesi dell’Europa dell’est, come Ungheria, Ucraina, Polonia, e dei paesi scandinavi, può meravigliarsi di quello che è avvenuto. La visione idilliaca della Norvegia, ripetuta anche dai media, è una proiezione. Il ritorno fanati

Akiva Eldar : la minaccia di annullare gli accordi di Oslo sono un danno per Netanyahu

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    Barak Ravid  ha rivelato ai lettori di questo giornale che il primo ministro  stava considerando di punire i palestinesi per la loro dichiarazione di indipendenza, annullando gli accordi di Oslo. E' bene ricordare che il negoziato  confiscava ai palestinesi il  60 per cento  di terre  nella zona C  dove i  coloni israeliani hanno accesso esclusivo, conseguentemente la destra  dovrebbe tenersi caro questo accordo. Per questi motivi la   puerile "minaccia" israeliana  non  sta facendo una grande impressione a Mahmoud Abbas (Abu Mazen )  che continua a raccogliere il sostegno internazionale per il voto delle Nazioni Unite di settembre. Ad  Ankara Abbas  ha accennato alla versione da dare all'Assemblea generale delle Nazioni Unite e al   Consiglio di Sicurezza, essa  includerà sia  un riferimento esplicito alla risoluzione 181 dell'Assemblea Generale  del 29 novembre 1947 ,in base alla quale veniva sancita  la nascita  di uno stato ebraico e di uno stato arabo ,

Nazareth, nell'università dove si insegna la pace di Rory Cappelli

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" Avevo quattordici anni la prima volta che misi piede a Kfar-Qassem" racconta Shany Payes, 39 anni, israeliana di terza generazione. "Quel villaggio arabo, a soli 15 chilometri dal nostro, Petach-Tikva, mi fece un'impressione profondissima. La gente che abitava lì era povera, le abitazioni misere: quei 15 chilometri erano un abisso. Perché? mi domandai. Decisi che dovevo fare qualcosa". Quel qualcosa è diventato l'impegno nel Nazareth Academic Institue (Nai), la prima università araba in terra israeliana, aperta a studenti di qualsiasi etnia o credo religioso, fortemente voluta dal mondo arabo-israeliano e finalmente attiva a Nazareth, la città che ha sostenuto il progetto, insieme al suo sindaco Ramez Jarayisi "Il mio viaggio per accorciare la distanza tra quei due villaggi" continua Shany Payes "è durato tantissimi anni e da Tel Aviv, dove ho frequentato l'università, mi ha portato ad Oxford, dove ho conseguito un dottorato in Middle Ea

E l’orchestra israeliana suona Wagner. Per la prima volta

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       Il tabù finisce martedì 26 luglio. Dopo settant’anni di divieti e di polemiche. L’Orchestra da camera israeliana suonerà le musiche di Wagner, il compositore tedesco antisemita esaltato da  Adolf Hitler  e boicottato dallo Stato ebraico. Lo farà per la prima volta in Germania, a Bayreuth, nella nuova edizione del “Wagner Festival”, a pochi passi da dove riposano i resti dell’uomo la cui musica veniva trasmessa in tutti i lager mentre migliaia di uomini venivano annientati perché ebrei. Non è stato facile arrivare a questa decisione. Le polemiche – scoppiate già a ottobre scorso – non sono mancate. E nemmeno le dichiarazioni di «disgusto» da parte dei sopravvissuti ai campi di concentramento. Molti di loro l’hanno addirittura considerata una pugnalata. «Ma è venuto il tempo di separare il pensiero di Wagner dalla sua musica», ha detto Roberto Paternostro, 54 anni, il direttore dell’orchestra, italo-austriaco di passaporto ed ebreo di religione. Paternostro sa cos’è stata

Akiva Eldar : colpa della politica la crisi immobiliare israeliana. La protesta dei giovani israeliani

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   sintesi personale    1 Le persone giovani che  manifestano  contro il  costo proibitivo degli affitti  dovrebbero chiedere ai loro genitori dove erano, mentre i politici stavano portando Israele  a questo punto . Non siamo scesi in  piazza quando Golda Meir ha voltato  le spalle  ad Anwar Sadat e al re Hussein. Siamo stati a casa quando Y itzhak Sham ir respingeva l'accordo di Londra con i giordani e i palestinesi. Non abbiamo protetto Yitzhak Rabin o gli accordi di Oslo. Siamo rimasti a guardare mentre Netanyahu cavalcava le onde scure del terrorismo , abbiamo creduto alla menzogna di  Ehud Bara k "non c'è partner" , abbiamo accettato  volentieri il ritiro di Ariel Sharon dalla striscia di Gaza, senza un accordo con i palestinesi, siamo rimasti passivi  dinanzi all'iniziativa di pace  araba di dieci anni fa. Negli ultimi 44 anni abbiamo inviato i nostri figli, e presto i nostri nipoti, a  proteggere un pezzo di terra che non è nostra. Nel 1970 abbiamo o

Utoya: una lettera di Igiaba Scego dal blog di Gad Lerner

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       Gad quando leggo le parole che scrivi mi sento accompagnata. Anch’io ho paura (tanto) di questa ultradestra anti-islamica, antisemita, anti-gay, anti-migranti, anti-vita, anti-tutto…quello che è successo in Norvegia è terribile. Un bacio grande ovunque tu sia e continua così c’è bisogno di te. Igiaba. PS: Ungheria, Finlandia, Francia, Svezia….i paesi dove le ultradestre sono cresciute…e si io voglio lottare, vigilare…ma dopo Utoya ho paura per me, per tutti. Continuiamo a chiamarlo pazzo quel criminale, ma non è un pazzo…era lucido crudele, aveva un obbiettivo. Ha colpito dove voleva colpire…al cuore della futura classe dirigente del partito laburista norvegese…quei ragazzi erano i ragazzi più politicamente motivati. Ora chi avrà il coraggio di fare politica attiva? Tutti usano questa parola “Pazzo” (tu no..e non sai quanto sia importante questo=…ma ecco io non ci sto! Starei molto attenta ad usare la parola psicopatico…matto…pazz? o. Allora anche Mahammad Ajmal Amir Qa

La strage in Norvegia? Per Feltri la colpa è delle vittime e informazione Corretta gli dà corda

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  MILANO - Incredibile ciò che è giunto a scrivere oggi nel suo editoriale Vittorio Feltri. Dopo aver cercato inutilmente di accusare direttamente l'Islam della strage di Oslo (su Libero e sul Giornale domenica campeggiava in prima pagina il fatto che si trattasse di una strage degli estremisti talebani, che volevano punire la Norvegia per la sua partecipazione alla guerra in Libia o per alcune vignette satiriche pubblicate su un quotidiano nazionale), poi di accusarlo indirettamente ("il razzismo e il multiculturalismo, quindi l'accoglienza degli islamici) sono due facce della stessa medaglia. Se si vuole eliminare il razzismo, basta eliminare il multiculturalismo", aveva scritto lo stesso Feltri), non restava che dare le responsabilità al singolo attentatore E invece no. Oggi il giornalista trova un altro colpevole: le vittime. Infatti, secondo Feltri, visto che sull'isola c'erano 500 persone circa, quando Breivik ha cominciato a sparare e ad uccidere, non

Abraham B. Yeoshua :Una proposta per far ripartire il negoziato e il riconoscimento dello Stato Ebraico

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  Alla ripresa dei negoziati tra Israele e i palestinesi si oppongono diversi ostacoli che non sono che una premessa di quelli che si riveleranno durante le trattative. Uno di questi è la richiesta che i palestinesi riconoscano Israele come Stato «ebraico», e che loro si rifiutano di soddisfare. Diamo un’occhiata a cosa si nasconde dietro tale richiesta, avanzata, credo, già all’epoca del governo Olmert. Se dietro a essa si nasconde il rifiuto di Israele di accogliere entro i propri confini i profughi palestinesi della guerra del ’48, perché girare intorno alla questione e non dirlo apertamente?   Ritengo che oltre il 95 per cento dei cittadini ebraici di Israele respinga fermamente questa eventualità, sia che i profughi del ’48 siano ora residenti in Cisgiordania e a Gaza, sia nei Paesi arabi. È chiaro infatti che non potranno tornare a fantomatiche «case» ormai inesistenti in un Paese per loro straniero, ma solo a una patria nella quale provino un senso di comune identità. Solo