BIANCA SENATORE Gaza, dopo 14 anni di embargo adesso arriva anche il terrore di non sopravvivere al virus



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Reportage. La scoperta di due palestinesi tornati dal Pakistan positivi al Covid-19. La testimonianza: "Contenti di essere isolati dal resto del mondo, ma


GAZA - Le stanze del centro giovanile Herak, nel cuore di Gaza, sono insolitamente deserte e tutta la vita che normalmente brulica lì intorno è sparita da giorno all’altro. Solo gli uffici amministrativi sono ancora aperti e le operatrici indossano mascherine e guanti. Non ci sono ancora casi accertati nella "Striscia", ma domenica 22 marzo la minaccia è arrivata ai confini. Il ministero della sanità locale ha fatto che sapere che due palestinesi tornati dal Pakistan sono stati trovati positivi al Covid-19 e sono stati bloccati al valico di Rafah. Ora sono in isolamento in un ospedale da campo e con loro anche un altro centinaio di palestinesi che sono venuti in contatto con loro. Alcuni sono in ospedali, attrezzati velocemente in scuole, altri nelle loro case.

Gli ospedali non sono attrezzati per le terapie intensive. “La maggior parte delle persone qui è veramente spaventata e per la prima volta nella storia, dopo 14 anni di embargo - racconta Rana Quffa, presidente del Centro giovanile Herak – siamo contenti di essere isolati dal resto del mondo, con la speranza che il coronavirus non si diffonda anche qui”. Il timore è che l’epidemia possa scoppiare in un territorio già fortemente provato dalla povertà e dai problemi quotidiani. “Le possibilità di trattamento e isolamento del virus sono molto deboli a Gaza – ha spiegato Rana, insegnante e traduttrice, che da anni si occupa di infanzia e di donne – gli ospedali non sono attrezzati con le terapie intensive, non ci sono medicinali per tutti e sarebbe un disastro. Ma il presidente ha annunciato già delle misure”. Le autorità di Gaza, infatti, hanno ordinato la chiusura immediata dei ristoranti, dei caffè e delle sale per cerimonie. Hanno vietato matrimoni e funerali e imposto anche limitazioni per l’accesso alle moschee: per il momento saranno annullate le preghiere del venerdì, che richiamano migliaia di fedeli, vicini gli uni agli altri.

E' "stato di emergenza" ormai. “Hanno imposto anche il coprifuoco – ha spiegato Rana – e la sospensione dell'orario di lavoro nelle scuole e nelle istituzioni educative, come il nostro centro. Anche le cliniche dell'UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione ndr) hanno dichiarato lo stato di emergenza, ci sono punti di isolamento obbligatori o una quarantena per coloro che mostrano qualche sintomo strano”. Molti palestinesi sono rientrati negli ultimi giorni da Gerusalemme est, dopo aver avuto il permesso di recarsi in ospedali per cure specifiche e ora hanno paura di portare il contagio. “Proprio per questo – ha detto Rana – hanno creato anche al valico di Harez dei centri di quarantena”.

"Ci sarà un grosso lavoro da fare". Al centro Herak fanno riferimento centinaia di ragazzi di tutte le età che seguono corsi di formazione e tante donne che vengono seguite nel loro percorso di emancipazione, ma ora è tutto fermo. “Questo blocco ulteriore sarà ancor più faticoso per Gaza – ha raccontata una delle psicologhe del centro - perché vengono interrotte tutte le attività che normalmente servono proprio per non impazzire in una situazione come quella in cui vive la gente della Striscia. Ci sarà un grosso lavoro da fare”. Il centro Herak sta lavorando per trasformare tutte le attività in contenuti video o audio, così da continuare tutto a casa. “Oggi – racconta la direttrice Rana – eravamo al centro sono per registrare una video guida su coronavirus per casalinghe e bambini”.

Casi accertati: 52 tra Nblus, Ramallah e Betlemme. Intanto, nel resto della Palestina, i casi accertati sono 52 tra Nablus, Ramallah e Betlemme, che si conferma un focolaio, ormai sotto controllo. Ma il rischio di contagio è molto elevato. Molti lavoratori, infatti, continuanao ad andare a lavorare in Israele e nelle colonie, con l’avallo del ministro della difesa israeliano Naftali Bennet, che ha invitato solo i lavori del settore edile a non muoversi. Gli altri continuano a fare avanti e indietro, pur consapevoli del rischio. “L’alternativa, purtroppo – raccontano - è non avere uno stipendio per vivere”.

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