Betlemme : il Muro e la colonizzazione. Testimonianze




Muri di campagna. Bilal Jado è un ragazzo palestinese di 21 anni, alto e forte. Vive in una fattoria alle porte di Betlemme, in mezzo alla campagna e agli animali, dove la sua famiglia risiede da generazioni.

Il viso di Bilal s’illumina quando mostra orgoglioso le terre coperte di ulivi dove è nato, ma s’incupisce quando indica il muro. Alto, freddo, grigio. Il muro di separazione che il governo israeliano ha cominciato a costruire nell’estate del 2002 è apparso all’improvviso nella vita di Bilal e della sua famiglia. “Ovviamente, sapevamo quello che stava succedendo, ma non pensavamo che sarebbe arrivato così presto”, racconta Bilal. “Una mattina sono venuti qui alcuni uomini in abiti civili. Hanno annunciato alla mia famiglia che i lavori per la costruzione della barriera stavano per cominciare nella campagna attorno a casa nostra. Hanno offerto un indennizzo per abbandonare la terra dove tutti i miei familiari ed io stesso siamo nati. La sera mio padre ci ha riuniti tutti in cucina. Ci ha chiesto cosa ne pensassimo, ma in realtà tutti conoscevamo già la risposta”.
“Per quanto la nostra vita potesse diventare dura – dice Bilal -  nessuno di noi voleva lasciare la nostra casa. Qualche giorno dopo la visita di quelle persone, sono arrivati i bulldozer e i camion. Adesso c’è quello che potete vedere guardando fuori”.
Dalla veranda della casa di Bilal, all’ombra di rampicanti che sembrano eterni, il muro si vede in tutta la sua lunghezza. Chilometri di cemento, torrette di guardia e sistemi di sicurezza sofisticati. “Noi cerchiamo di continuare a vivere normalmente”, spiega il ragazzo, “ma niente è più come prima”.

Le barriere tra gli uomini. Il muro in questa zona rientra nel tratto della barriera chiamato Jerusalem envelope, pensato per annettere a Gerusalemme gli insediamenti israeliani sorti attorno a Betlemme.
La fattoria degli Jado resta all’interno della barriera e viene separata da Betlemme. E la famiglia di Bilal, nove persone in tutto, resta sospesa in una sorta di limbo amministrativo. “La nostra posizione è particolare”, spiega Azem, lo zio di Bilal, mentre guarda malinconico le terre che appartenevano alla sua famiglia e che adesso sono state requisite, “viviamo in territorio israeliano, ma non abbiamo i documenti. I funzionari israeliani ce lo hanno spiegato: loro annettono le terre, non le persone che ci vivono. Quindi non siamo in possesso dell’ID Card (documento di riconoscimento che la municipalità di Gerusalemme rilascia ai residenti che possono grazie a quella entrare in città ndr) e perciò non possiamo andare a Gerusalemme. Ma, allo stesso tempo, il muro ci separa da Betlemme e, quando i lavori saranno terminati, non potremo più andare a far la spesa in città: saremo da questa parte del muro. Non più cittadini di Betlemme, non ancora cittadini di Gerusalemme. Contiamo sulla solidarietà di amici che hanno i documenti per fare compere e soprattutto per vendere i prodotti della fattoria…per vivere insomma”.
“Per il governo israeliano – continua zio Azem -  è come se non esistessimo, anche se comunque dobbiamo pagare le tasse. A volte, ci viene in mente che forse il muro lo costruiscono con i nostri stessi soldi. Ma dalla nostra casa non ci muoviamo”.
Quanto sia cambiata la vita della famiglia Jado lo si capisce dal piccolo Zyad, il fratellino di 8 anni di Bilal. Due anni fa, per andare a scuola, il bimbo impiegava venti minuti. Giusto il tempo di trotterellare, con uno zainetto troppo grande per lui, dietro al fratello che portava le pecore al pascolo e di raggiungere poi Betlemme. Adesso Zyad è costretto a compiere un giro tutto attorno al muro per raggiungere la scuola più vicina dove gli è consentito andare. C’impiega due ore. “Lo devo accompagnare”, racconta Bilal con un atteggiamento paterno che stride con i suoi 21 anni, “troppa strada da fare da solo. Perdo tanto tempo, ma per il suo bene lo faccio. Io ho smesso presto di studiare, ma Zyad deve continuare. Ho cominciato subito a occuparmi delle pecore e mi è sempre piaciuto girare per queste terre, mi sentivo libero. Potevo rilassarmi e godermi l’aria fresca, ma adesso devo stare attento perché i lavori continuano ogni giorno e la mattina troviamo un tratto nuovo di muro. Tempo fa mi potevo anche distrarre, perché tanto le pecore conoscevano perfettamente l’area attorno alla fattoria. Adesso anche loro sono smarrite, Sharon -  aggiunge Bilal scoppiando a ridere - dovrebbe scusarsi anche con loro”. Sembra che in futuro, una volta finiti i lavori di costruzione, verranno predisposti dei cancelli per l’attraversamento del muro. I pass saranno rilasciati a chi dimostrerà di avere una necessità assoluta di doversi recare a Betlemme. Vivendo del lavoro della loro fattoria, la famiglia Jado difficilmente godrà di questo permesso. “Non credo che al governo israeliano interessi il fatto che ho tutti i miei amici dall’altra parte”, racconta Bilal. “Per ora, facendo dei chilometri e aggirando il muro nella zona dove non è stato terminato, riesco a raggiungere Betlemme, ma alla fine resterò lontano da tutte le persone che conosco da sempre, dai ragazzi con i quali sono cresciuto e che per me sono come fratelli”.

L'orizzonte negato. Bilal si fa strada attraverso gli ulivi per mostrare la strada che percorre la sera dopo il lavoro per incontrare i suoi amici. Dopo una mezz'ora buona di cammino tra sassi e alberi rimasti, visto che i lavori per la costruzione del muro hanno comportato l’abbattimento di centinaia di piante, incontra un gruppo di coetanei che passano il tempo a chiacchierare vicino al muro. “Non c’è lavoro”, spiega Bilal quasi a cercare di giustificare i suoi amici, “non hanno nulla da fare e allora vengono qui, per stare assieme”. Sono in tanti e si assomigliano. Tutti ripetono le stesse accuse: “gli israeliani ci rubano la terra e abbattono i nostri alberi che rappresentano la nostra identità, ci chiudono in un ghetto”. Si sfogano tirando sassi contro la barriera, guardati a vista da uomini armati che presidiano lo svolgimento dei lavori. Si sfogano scrivendo sul muro minacce e slogan e, uno di loro dotato di particolare fantasia, ha disegnato le orme di un paio di piedoni enormi che scavalcano il muro.
“Puoi chiudere qualcuno oltre un muro”, spiega Bilal con un sorriso amaro, “ma non puoi impedirgli di fantasticare. Io penso che, a fatica, potrei accettare di vivere in questo modo. Potrei accettare di fare i salti mortali per fare la spesa. Potrei accettare di fare dei chilometri per raggiungere un luogo che in linea d’aria dista pochi metri. Potrei accettare d’incontrare i miei amici da qualche altra parte, ma quello che proprio non riesco ad accettare è il fatto che qualcuno ha cambiato il mio orizzonte. Da quando sono nato l’unico viaggio che potevo permettermi era quello immaginario che compivo guardando libero l’orizzonte. Oggi questo muro me lo impedisce. No…questo non lo accetterò mai”.  
PeaceReporter - La famiglia di Betlemme
Christian Elia
2  Betlemme: Ponti non muro - Missionari della Consolata - Sito Ufficiale
3  Betlemme, la Madonna del Muro, una foto, un po' di silenzio


4   Frammenti vocali in MO:Israele e Palestina: A Betlemme un Natale ...

5  vedere il documento della Conferenza episcopalehttp://www2.db.chiesacattolica.it/cci_new/pagine/243/Il-grido-di-Betlemme.gif

6  Map of the Separation Barrier in the West Bank On February 20 2005, the Israeli government approved an updated route for the Separation Barrier. According to the map published by the Ministry of Defense, sections of the revised route will run close to or along the Green Line, thus reducing the harm caused to the daily life of Palestinians living in proximity to the route.CONTINUA

http://www.btselem.org/English/Maps/Index.asp

7   Betlemme. Una città soffocata
8  Anche un'impresa vitivinicola salesiana vittima del Muro   Da oltre un secolo le cantine di Casa Cremisan, nei pressi di Betlemme, sono famose per la loro produzione vinicola, i cui proventi hanno concorso a migliorare lo standard di vita di migliaia di palestinesi del posto. Oggi, però, la costruzione della «barriera di sicurezza» voluta da Israele mette a repentaglio tutto il buon lavoro compiuto fin qui.Quel muro di nove metri sta per sbarrare ogni accesso ai vigneti e al monastero gestito dai salesiani e minaccia di impedire ai dipendenti, in gran parte palestinesi di religione cristiana, di raggiungere il loro posto di lavoro. Secondo Amer Kardosh, responsabile delle esportazioni di Cremisan, Israele sta trasformando l'azienda vitivinicola in una «prigione» con tutta una serie di posti di blocco dove il transito dei lavoratori dell'azienda viene consentito solo due volte al giorno: una per raggiungere il posto di lavoro, l'altra per tornare a casa.A chi fosse sprovvisto di un permesso speciale non è più possibile visitare l'area di Betlemme, che si trova a soli dieci minuti d'auto da qui. Visitatori e turisti possono venire solo da Israele, via Gerusalemme. «Saremo tagliati fuori dalla Palestina e questa è la cosa più tragica» dice Kardosh a Terrasanta.net. «Il problema non è solo nostro. Il muro rappresenta un problema per tutti, ma la zona di Cremisan, nota per il suo monastero e la produzione vinicola, assume una valenza simbolica».Il muro rende difficile ai salesiani anche ricevere i raccolti delle vendemmie. Cremisan ha sempre acquistato i grappoli dai coltivatori che si trovano ora sul versante palestinese del muro per cui anche questa operazione di approvvigionamento va incontro a grossi ostacoli.Della Shenton, importatrice di vini Cremisan nel Regno Unito, spiega che i salesiani «hanno fatto moltissimo» per i palestinesi di Betlemme. «Con il loro approccio caritatevole danno da vivere alla gente del posto»I religiosi italiani fondarono l'azienda vinicola nel 1885 su una proprietà ricevuta in eredità, con l'obiettivo di dare lavoro alla popolazione locale. Gradualmente è stata messa a punto l'attività commerciale, fino a raggiungere l'autosufficienza economica per poi destinare i proventi al finanziamento delle proprie scuole e alla gestione di un panificio a Gerusalemme. «I salesiani hanno sempre sfamato le famiglie più povere», spiega la Shenton, che in Inghilterra ha fondato e dirige la società senza fini di lucro 5th Gospel Retreat,impegnata a organizzare pellegrinaggi in Terra Santa e a commercializzare prodotti palestinesi.Lo scorso anno i salesiani resero pubblica una dichiarazione di protesta in cui spiegano che la comunità di Cremisan è vittima «di una decisione unilaterale delle autorità israeliane», decisione che infrange il diritto internazionale. Precisavano anche che la costruzione del muro sulla loro proprietà ha contribuito a ridurre un danno ancora maggiore al vicino villaggio di Al-Walajeh.Cremisan è un'area sottoposta a occupazione e quindi non è previsto alcun diritto di appellarsi ad altre autorità israeliane. «A decidere è solo l'amministrazione militare. Perciò non hai qualcun altro da cui andare per chiedere gentilmente di cambiare le cose» osserva Kardosh, palestinese e cristiano.L'arbitrarietà dei soldati è un esempio lampante e una notevole fonte di frustrazione. «Se decidono che oggi non puoi attraversare ilcheck-point, devi tornare indietro anche se hai con te i moduli richiesti, le fatture, i documenti legali e fiscali e tutto il resto in ordine», dice Kardosh. «Non c'è nulla che tu possa fare». Soltanto il Natale scorso, l'intransigenza dell'esercito ha costretto l'azienda vinicola ad annullare una grossa spedizione in Giappone. Il governo di Israele sostiene che il muro è necessario per ridurre gli atti di terrorismo e afferma che in effetti sta funzionando. La Shenton è d'accordo fino a un certo punto. «C'è del vero, gli attentati suicidi si sono enormemente ridotti» ammette, ma aggiunge anche che gli israeliani stanno usando «un approccio molto aggressivo. I palestinesi vengono continuamente vessati quando chiedono di varcare i posti di controllo. Subiscono umiliazioni continue e ampiamente documentate. Non si può far a meno di domandarsi cosa c'entri tutto ciò con la sicurezza».Nonostante tutto le difficoltà esterne i salesiani continuano a piantare vigne e tirano avanti meglio che possono.«Tutto ciò è molto triste ma i salesiani continueranno ad essere un segno di speranza e non vogliono farsi piegare troppo da quanto accade», dice la Shenton. La quale è convinta che il muro cadrà se ci sarà un'«ondata di protesta sufficientemente forte». Ma ciò accadrà solo quando la gente sarà meglio informata e vedrà coi proprio occhi le ingiustizie che gli israeliani stanno infliggendo alla gente di qui.Terrasanta.net

9  Palestina :La casa sul confine tra odio e riconciliazione   ] La casa sul confine tra odio e riconciliazione Mahnal tiene in braccio la piccola Giovanna di pochi mesi mentre i due gemellini si tengono alla gonna: vivono in una grande casa sulla linea del Muro di sicurezza che separa Betlemme da Beit Jala, ma in realtà è una sorta di prigione. Questa posizione ha causato e causa gravi problemi a tutta la famiglia. «A parte la difficoltà a raggiungere Betlemme dove lavoriamo e dove si trova la nostra parrocchia, non abbiamo potuto costruire il tetto della casa perché avrebbe superato l'altezza del Muro e questo non è consentito, ma soprattutto abbiamo perso la terra e gli ulivi che si trovano al di là... così vediamo gli israeliani che raccolgono le nostre olive mentre noi siamo costretti a comprare l'olio!»Ma quello che angoscia Mahnal è ben altro, è l'odio che si respira intorno e dentro la sua casa e che minaccia la crescita serena dei suoi bambini: «Durante l'intifada era assordante il suono degli elicotteri e dei bombardamenti vicini, da noi entravano ed entrano ancora oggi i soldati di giorno e di notte per fare controlli, spesso rovinando il cancello e la porta... Se poi sorprendono qualcuno che ha cercato di oltrepassare il Muro, lo torturano e lo lasciano lì sanguinante perché sia di monito ad altri... I nostri bambini vedono tutto questo e dobbiamo farli seguire dagli psicologi affinché ritrovino un equilibrio. Ma come possiamo educarli al dialogo? Temo fortemente per il loro futuro». Nonostante tutto, Manhal non pensa di emigrare, ha molta fiducia nell'aiuto della comunità cristiana a cui si aggrappa: «Siamo pochi cristiani e sappiamo di essere una presenza scomoda tra due popoli che si fanno la guerra, ma ci sentiamo uniti; per noi la terra è sacra, come l'ospite e l'onore. Dio ci ha chiesto di essere suoi discepoli qui, dove tremenda è la divisione, ma sono certa che non resterà sordo al nostro grido».


10   Nahalin, villaggio palestinese tra i confini di Israele e il Muro di Separazione: cittadini palestinesi prigionieri nella loro terra.




11  Betlemme : i semi di limone di Nasser  :  Carissimi di Bocchescucite, sono una suora delle Figlie di N.S.della   Misericordia. Ho letto e visto la tristissima storia di Nasser che vede in
queste settimane i bulldozer israeliani invadere il suo giardino e
distruggere le sue piante. Tanti hanno inviato a Bocchescucite le loro foto che ora sono appese agli alberi di Nasser a Beit Jala, ma io purtroppo, per ubbedienza, non posso inviare la mia foto. **Ma mi è venuta un'idea: ho seminato dei semi di limoni ed ora è spuntata una bella piantina. Se potessi inviare le mie piantine di limoni a Betlemme... Vorrei riempire di piante ogni angolo del giardino e fermare il Muro con radici nuove e germogli che forse commuovono e convincono anche la grettezza del violento e la violenza del prepotente...Io sono siciliana e forse potrei impegnarmi a chiedere delle piantine di tutti gli agrumi... Che ne dite? Newsletter Bocche



12   Il villaggio di Jeb al Theeb : “Sono forte, resisto


13     Nuova attività di insediamento nell’area a sud di Betlemme  Il terreno è situato nei pressi della strada principale che collega il villaggio con Alma’sara e con Om Salamouna, due villaggi vicini verso nord.Secondo Taqatqa, in precedenza questo terreno era bersaglio dei coloni, ma lui aveva potuto sottoporre il caso alla Corte Suprema di Israele, la quale aveva stabilito che lui era il padrone del terreno e che poteva quindi lavorarlo e mettervi delle piante.  In questi ultimi giorni, Taqatqa ha notato che dei coloni venivano di continuo a vedere il luogo, poi, lunedì, l’esercito ha spianato il terreno e trasportato il caravan. Ha tentato di entrare nella sua proprietà come di diritto, ma i soldati di guardia al caravan lo avevano bloccato. Secondo fonti locali del villaggio, sembra che i coloni vogliano costruirvi un nuovo avamposto.
Questo si è verificato solo il giorno dopo, la mattina di domenica 10 ottobre, quando 200 coloni israeliani armati hanno cominciato a costruire un avamposto sui terreni agricoli del villaggio di Al-Khader. I coloni hanno costretto la famiglia Ghnaim ad andarsene dalla loro terra e hanno usato i bulldozer per cominciare a scavare.
Il villaggio è situato 5 chilometri a ovest di Bethlehem nella West Bank, e il luogo del nuovo avamposto è molto vicino alla colonia di Navi Daniel, che è a sud del villaggio. Non è chiaro se i coloni hanno intenzione di mettersi a costruire un nuovo avamposto o di espandere la colonia preesistente. Al-Khader, come molte altre località della zona, ha già perso diverse migliaia di dunam di terreno agricolo in occasione della costruzione del Muro di Separazione israeliano, per il quale vennero utilizzati i terreni dello storico villaggio, separando gli agricoltori dalle loro terre. I residenti ora possono accedere alle proprie terre espropriate solo con un permesso rilasciato dall’autorità militare israeliana. La costruzione della colonia ha avuto inizio immediatamente dopo lo scadere del congelamento delle colonie, avvenuto due settimane fa. Dato che i coloni hanno ripreso le loro attività di edificazione in modo aggressivo, probabilmente si verificheranno ulteriori furti di terre e atti di violenza contro le comunità palestinesi locali. 
(tradotto da mariano mingarelli)
http://www.amiciziaitalo-palestinese...tina&Itemid=75



14   Radio Vaticana :Marcia dei bambini a Betlemme per chiedere la pace senza muri  A Betlemme, la gioia per il Natale è scandita da celebrazioni, canti, preghiere e iniziative accomunate dalla speranza di un’autentica riconciliazione. Oggi, in particolare, si è tenuta la III edizione della Marcia dei “bambini senza frontiere per l'unità e la pace”, promossa dalla Fondazione Giovanni Paolo II. Sulla marcia si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco,Charlie Abou Saada, direttore di Juthouruna Youth Forum, organizzazione con sede a Betlemme rivolta ai giovani cristiani e musulmani della Palestina:
 –
Stamattina, nella città di Betlemme, che ha visto la nascita di Gesù Bambino, centinaia di bambini palestinesi, musulmani, cristiani sono venuti da tutte le parti della Palestina e hanno gridato a piena voce esprimendo prima di tutto a Dio, e poi alle autorità politiche, il desiderio di avere la pace e la giustizia in Terra Santa. E’ stato bello anche per noi di Betlemme vedere tutti questi bambini. Purtroppo, per la maggior parte di loro è stata la prima volta l'essersi recati a Betlemme. Qualcuno è venuto da Jenin, da Nablus, da Gerico, attraversando i posti di blocco, i check-point per venire a festeggiare questo Santo Natale a Betlemme.D. – Da segnalare, poi, che per questo periodo di Natale sono aperti per i cristiani tutti i check-point di Betlemme e Gerusalemme...R. – Sì, c’è una novità, un progresso, ma la difficoltà è ancora tanta. Vado a Gerusalemme, al Santo Sepolcro e nella città vecchia di Gerusalemme... ma poi quando torno a casa, torno in questa prigione, in questo muro che si chiama Betlemme.
D. – Quale è la situazione della comunità cristiana di Betlemme?R. –
 Ci sono pellegrini e turisti. Noi ci sentiamo vivi e cerchiamo di lavorare. Quest’anno, abbiamo avuto veramente tanti pellegrini: abbiamo respirato e visto in questi giorni le nostre famiglie cristiane qui a Betlemme, al campo dei pastori, andare a spasso con i bimbi, per far vedere loro gli alberi di Natale. Quindi, da questo punto di vista, c’è più tranquillità, perché si lavora di più, ma dall’altra parte rimane l’occupazione israeliana: c’è sempre il muro che ci racchiude e le difficoltà sono tantissime. Chiediamo veramente l’intervento di Dio, prima di tutto.
D. – Tra gli appuntamenti più attesi a Natale, sicuramente c’è la Messa di mezzanotte, che sarà presieduta a Betlemme dal patriarca latino, mons. Fouad Twal...
R. – Sì, a mezzanotte. Sono ormai due settimane che si stanno preparando per questo grande evento. Sarà presente anche il nostro presidente palestinese, Mahmoud Abbas, Abu Mazen. Nel suo messaggio, sicuramente il patriarca Fouad Twal farà cenno alla pace, alla giustizia. Da sempre – questa è la nostra preghiera – chiediamo a Dio di darci il dono della pace, della giustizia. Ma i nostri giovani, i bambini si stanno rassegnando ed è questo il grosso problema. Dobbiamo aiutare questi giovani e questi bambini a non rassegnarsi.Marcia dei bambini a Betlemme per chiedere la pace senza muri


15   Un nuovo racconto di Natale: Betlemme occupata

16   Betlemme, un tranquillo Natale all'ombra del Muro israeliano   Betlemme ha trascorso serenamente le sue festività natalizie. Nonostante qualcuno avesse provato ad agitare l'ormai consunto spauracchio del fondamentalismo islamico, pellegrini e semplici turisti hanno affollato indisturbati le strade di quella che è considerata la culla della religione cristiana. Una mite giornata di sole quella del 25 dicembre, che permetteva ai fedeli di radunarsi in piazza per ascoltare le parole del patriarca Fouad Twal. Circa 90mila pellegrini giunti in città per celebrare il Natale e tutto esaurito registrato dalle 24 strutture alberghiere presenti in città.Nessuna traccia, come era del resto prevedibile, del temuto fondamentalismo islamico o di quelle - per riprendere le definizioni di alcuni giornalisti della carta stampata - gang di ragazzetti islamici che riempirebbero la piccola comunità cristiana di angherie. Nessuno scontro e nessuna violenza, a differenza di altre realtà della regione (vedi Iraq ed Egitto ad esempio) dove le piccole comunità cristiane sono realmente poste sotto assedio. In Terra Santa, del resto, lo scontro non è mai stato di natura religiosa. Ed allora molti hanno attribuito al consiglio municipale di Betlemme, appartenente dopo le regolari elezioni municipali del 2005 ad Hamas, la responsabilità di aver favorito un crescente fondamentalismo islamico ed aver costretto all'emigrazione di massa dei cristiani. I fatti smentiscono questa tesi. Un crescente ed imperante fondamentalismo islamico non avrebbe certamente permesso di addobbare le strade con luci e festoni, non avrebbe garantito l'incolumità dei numerosi gruppi di boy scout che proprio durante le festività hanno marciato per le strade di Betlemme.C’è da chiedersi perché mai il reazionario consiglio municipale di Hamas, peraltro regolarmente eletto, avrebbe dovuto permettere l'apertura (solo nel 2010)  di 12 nuovi negozi di souvenir cristiani di fronte alla Chiesa della Natività?In un clima di tensione, secondo alcuni addirittura di repressione, come avrebbe fatto il turismo di natura religiosa a crescere solo nel 2010 di circa il 60 per cento arrivando a rappresentare il 15 per cento del Pil palestinese? Come avrebbero fatto 1 milione e mezzo di pellegrini cristiani provenienti da tutto il mondo, sempre nel solo 2010, a visitare senza problema alcuno i luoghi della religione cristiana senza essere oggetto di minacce e soprusi da parte della collerica maggioranza musulmana?Certo i cristiani in Terra Santa sono pochi. Anzi, pochissimi. In netta diminuzione dal 1948 ed in particolare a seguito dell'Intifada del 1987 ed alla seconda rivolta popolare palestinese del 2001. Una situazione difficilissima: sempre più stretti fra ebrei e musulmani l'unica soluzione possibile sembra essere quella dell'emigrazione all'estero. Una situazione difficilissima in particolare quella di Betlemme: stretta com'è fra il Muro ed i progetti di espansione degli insediamenti che la circondano. È il cemento del Muro che ha fatto ombra sulla città. Sono gli otto metri di altezza del Muro che circondano la città su tre lati rendendo oggettivamente più difficile, sebbene non impossibile, il passaggio di turisti e visitatori, le cui presenze potrebbero essere molto più alte di quanto non lo siano già adesso. Molto più di qualsiasi dato, cifra o considerazione di natura politica è un graffito di colore rosso disegnato sul Muro che rende l'idea di cosa sia oggi Betlemme: “Merry Christmas from Betlehem Ghetto”.
Betlemme, un tranquillo Natale all'ombra del Muro israeliano
 Buon Natale, naviganti.


 17   Betlemme : vi ricordate di Omar… dal blog di Abuna Mario


18    IERI ANAS HA FATTO TARDI : lettera da Betlemme Anas non è mai arrivato tardi a lezione. Non è mai mancato, nemmeno una sola volta. Non è mai accaduto che non avesse fatto i compiti, non è mai accaduto che li avese fatti male. È uno studente brillante, disciplinato, intelligente, come lo sono in pochi. Uno stu[Image]dente a cui qualunque insegnante immancabilmente si affezionerebbe. Anas per venire a una lezione di italiano deve percorrere diversi kilometri, almeno 40 minuti di strada. Anas è palestinese, e per questo la sua strada si allunga, indelebilmente, per attorcigliarsi nel percorso illogico segnato da un muro ancora più assurdo. Anas è chiuso all'interno di quello spazio che il regime di occupazione israeliano ha segnato per i non ebrei, che rimangono dall'altra parte del muro, in silenzio si spera, mentre i coloni scorazzano fuori e dentro la West Bank, indisturbati. E se non fosse il muro, e se non fossero la lunghezza della strada, le intemperie, i check point a impedire lo studio di un ragazzo, allora interverrà la violenza: quella più veloce, vera, più diretta.Anas oggi era in ritardo, ero stupita. È infine arrivato in classe, almeno 15 minuti dopo l'inizio della lezione. L'ho visto accasciarsi sulla sedia e tremare. Tremare tremendamente e scuotersi, dalla tasca destra cercare con la mano, un fazzoletto, singhiozzare. Sono accorsa: «Mi hanno picchiato, mi picchiavano in quattro». «Perché? Perché?» Nella mia ingenuità mi illudevo potesse esserci un motivo. Così, con la mano tenendosi lo stomaco, respirando a fatica, il volto sconvolto, arrossato per le percosse, ha raccontato.Come ogni giorno aveva preso il taxi collettivo che lo conduce da Abu Dis fino a Betlemme. Come ogni giorno aveva dovuto attraversare il check point israeliano che, come molti altri, si trova all'interno di quelli che in tanti, ancora oggi, usano chiamare Territori Autonomi Palestinesi. Tuttavia oggi c'erano state rivolte in tutta la West Bank. Tuttavia oggi si cercavano, come e più di altre volte, capri espiatori. Ed è così che quattro soldati israeliani hanno fatto scendere dalla macchina Anas, che viaggiava insieme ad altre persone. Lo hanno indicato, gli hanno ritirato il documento di identità e gli hanno urlato: «Tu! Da quella parte!». Lo hanno portato in una piccola stanza, di cui ogni check point è fornito, e in quattro hanno iniziato a picchiarlo selvaggiamente. Lo hanno schiaffeggiato, gli hanno sbattuto i fucili addosso, infine lo hanno lasciato partire.Anas accasciato su quella sedia. Le sue lacrime, il suo onore, il suo valore, la sua intelligenza feriti. Che vergogna, che rabbia infinita che sento, una rabbia che non vuole sentire ragioni e che forse non avrei sentito se ne avessi semplicemente letto su un giornale. L'ingiustizia infatti ha occhi, mente e lacrime vere. Volevo portarlo all'ospedale, Anas non ha voluto: «Anche questa lezione devo lasciarmi rubare?». Durante la lezione, tutto quello che ho saputo dire è stato: «Mio caro, l'anno prossimo sarai in Italia, e là studierai all'Università». Poi quelle parole mi sono bruciate nel ventre... quale consolazione rappresenta la fuga?Vorrei che gli studenti si immedesimassero in Anas. Vorrei che gli insegnanti, i professori italiani, immaginassero di ricevere il migliore dei propri studenti, una mattina, in classe, percosso e ferito nell'anima. Questa la Palestina di oggi, un regime di apartheid contro cui noi occidentali siamo chiamati a reagire.*professoressa di Italiano a Betlemme



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