La legge razziale di Trump spiegata da un avvocato di New York
Siete su un aereo. State atterrando, siete stanchi, ma dal finestrino appaiono tutte insieme le luci della citta’ piu’ famosa al mondo: New York, il posto che voi, da dieci anni, avete il privilegio di chiamare casa. La stanchezza passa in un istante, ripensando a tutti i sacrifici che avete affrontato. Avete rinunciato alla vostra terra, ai vostri affetti, vi siete ricostruiti una vita. Mentre le ruote dell’aereo toccano il suolo con soffiate di fumo, estraete dalla tasca la Green Card, la vostra nuova vita condensata in una tessera di plastica. Siete orgogliosi. Vi alzate di scatto, con l’impazienza di chi deve tornare da una figlia che non vede da settimane. Vi fate largo tra la folla ancora intontita, pregate che il vostro bagaglio non sia su un volo diretto a Denver. E quando avete gli occhi sul nastro trasportatore – e’ quella, e’ quella, finalmen…no, non e’ quella – sentite uno strattone alle spalle. Un tizio dice cose che non capite, e intanto vi ammanettano,