non riesco ad odiarti, 2013 di Baruda
in 31 anni non avevo mai perso le parole,
invece il 2013 mi ha donato proprio questo, se dono si può definire.
Le ho perse, le parole mi hanno abbandonato, c’è stato un giorno in cui tutto è cambiato ed ho smesso di trovarle.
Era la sola cosa che sapevo fare nella vita,
ma in un attimo è volata via.
Perché questo 2013 mi ha insegnato tante cose, che mai prima d’ora mi era capitato di impararne tante e tutte insieme…
nemmeno da neonata, quando ogni cosa era una scoperta.
perché una cosa è scoprire, una cosa è BAAAAM: precipitare da un aereo, sentire il paracadute che non si apre,
vivere la caduta rapidissima e viverla in modo lento, lentissimo…
poi spiaccicarsi, andare in mille pezzi, perder coscenza del proprio corpo. Per poi rialzarsi.
Eh si, in questo anno ho imparato che a volte ci si rialza anche quando il paracadute non si apre: e mica è una fortuna eh,
ne puoi solo prendere atto e iniziare di nuovo a provare a vivere, tutta frantumata.Convivere con l’assenza di se, con l’amputazione della propria persona.
Ecco, il 2013 però ha visto i più belli dei miei sorrisi…
ha visto la libertà avvicinarsi a noi appena il tempo di farcene avvertire l’odore caldo ed erotico, per poi volare via forse per sempre,
ho visto di nuovo la vita prender corpo, prendersi proprio il mio e mutarlo tutto, nella gioia totale.
Ho visto la vita sbalordirci, nascere grande come un chicco di riso per andare avanti dirompente:
poi ho visto la morte, la morte apparente che tutto ha distrutto e che poi ci ha fatto ricominciare,
dopo il grande impatto.
L’ho vista in faccia, l’ho avuta tra le mani: come una mamma di Palestina, come una mamma di Siria.
Siria, nemmeno riesco a scriverlo questo nome, tanto squarcia il cuore mio, tanto assomiglia al tuo.
In questi cinque mesi di rivoluzione (ora sì che inizio a capire il significato di questa parola)
ho conosciuto la morte, quella vera, quella che prima d’ora mai avevo visto così lenta e violenta…
in questi cinque mesi mi sono innamorata di un esserino che alla morte ha fatto una pernacchia,
e che ora pare volerla fare a tutti i camici e i libri, e le teorie, e le carte, e un po’ tutto, anche il mio pessimismo.
In questo cinque mesi ho imparato che il vaffanculo più grande e liberatorio è sempre quello successivo,
quello che riusciremo ad urlargli in faccia insieme, figlio mio,
quello che deve ancora venire, insieme a quella grande “risata che li seppellirà”
Io non posso dire di aver odiato questo 2013, malgrado mi abbia tolto tutto:
perché poi così non è,
perché anche se il nostro presente parla una lingua diversa, tecnica e fino a poco fa sconosciuta,
anche se le neuroscienze si auto-intingono nel nostro cappuccino mattutino,
anche se la libertà è compagna sempre più distante e immersa nei fumi dei sogni leggendari… io ora ho da fare.
Non è tempo di bilanci, non è tempo per avere il tempo di piangere:
noi la rivoluzione la facciamo h24, senza cambio turno, senza nemmeno respirare.
Insieme e innamorati.
Ti amo figlio mio,
e vi amo tutte, mamme straordinarie.
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