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Rami G. Khouri L’incubo di Israele: la protesta palestinese nonviolenta

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       Le marce simultanee di migliaia di rifugiati palestinesi verificatesi domenica 15 maggio sono state trattate da Israele come una minaccia esistenziale – esattamente ciò di cui si tratta. I manifestanti si sono avvicinati ai confini israeliani, in parte violandoli, e spingendo le truppe israeliane ad aprire il fuoco e ad uccidere più di un dozzina di profughi. Il fatto che i nipoti degli originari profughi palestinesi abbiano compiuto questo gesto simbolico in occasione dell’anniversario dello smembramento della Palestina e della creazione dello Stato di Israele nel 1948, dovrebbe preoccupare profondamente gli israeliani, perché la dice lunga sull’attuale situazione del conflitto israelo-palestinese. Il simbolismo di quello che è successo domenica 15 maggio è terrificante per gli israeliani, in effetti molto più terrificante di qualsiasi minaccia militare che Israele abbia mai affrontato, perché riflette tre realtà cardinali che significano solo guai per Israele. La prima è che

ISRAELE, UNA LEGGE PER ZITTIRE IL MUEZZIN

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      Gerusalemme, 24 maggio 2011, Nena News – Un membro della Knesset, Anastassia Michaeli, del partito ultranazionalista Yisrael Beitenu, ha proposto un disegno di legge per bandire l’uso del sistema pubblico di indirizzo nelle moschee (gli altoparlanti) utilizzato per la chiamata alla preghiera. Michaeli propone una legge per vietare l’uso dei sistemi acustici di chiamata alla preghiera (da parte del muezzin) e chiede al Ministero dell’Ambiente di combattere questo tipo di “inquinamento acustico”. DI CONNIE HACKBARTH*   Nella sua proposta di legge, la parlamentare dell’ultradestra scrive che “centinaia di migliaia di cittadini di Israele, nelle aree della Galilea, del Negev, di Gerusalemme, di Haifa e di altre zone centrali, soffrono quotidianamente e regolarmente di un fastidio ambientale – ovvero il rumore dovuto alla chiamata del muezzin dai sistemi pubblici delle moschee”. Il disegno di legge, che è un emendamento alla normativa per la prevenzione dei pericoli alla sicur

I palestinesi a Obama: "Niente di nuovo"

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Anna Momigliano : Obama, Netanyahu e le ragioni dei palestinesi

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       Questa volta hanno proprio ragione i palestinesi. O, meglio, i palestinesi della Cisgiordania intervistati da  Euronews  (vedi il video qui sotto), che così hanno commentato il discorso del presidente americano Barack Obama sulla possibile creazione di uno Stato palestinese e il ritiro di Israele dai territori occupati : “Non dice nulla di nuovo”. Ricapitolando, Obama  incontra il primo ministro israeliano   Bejamin Netanyahu . Alla vigilia del vertice, l’inquilino della Casa Bianca  tiene un discorso  in cui menziona il ritiro dai Territori occupati da parte di Israele come “la base di una eventuale pace” e fa riferimento alla creazione di un futuro Stato palestinese.Il conservatore Netanyahu – che non è mai andato d’accordo con la Casa Bianca, anche quando a Washingto, al suo primo mandato da premier, c’era Bill Clinton – ha  subito risposto  che il discorso non gli è piaciuto: “Sarebbe un rischio per la nostra sicurezza”. Ora, probabilmente  quello che preoccupa Netanyahu è

Yossi Sarid : Se i coloni sono miei fratelli non ho alcun fratello

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    Sintesi personale " I coloni sono nostri fratelli", il primo ministro Netanyahu ha affermato questa settimana, cercando di farci comprendere la loro santa collera. Ma vorrei chiarire: non sono i miei fratelli. Non ho alcun fratello così, o sorella.E 'difficile essere un Ebreo. Recentemente è stato ancora più difficile, e non perché il mondo intero è contro di noi, ma perché siamo contro il mondo intero. I coloni ci hanno tagliato fuori dal mondo, il mondo si chiede: "is this israel?" Anch'io mi pongo la stessa domanda. Noi non apparteniamo alla stessa famgilia: quando li vedo incendiare campi, abbattere campi di ulivi, colpire i bambini mentre vanno a scuola , picchiare gli ispettori o i soldati, li guardo per assicurarmi che io non sia come loro. Nego qualunque parentela, non faccio parte di loro Quando vedo un Ebreo infierire su un terrorista arabo ferito più e più volte, io sono assolutamente certo che qualsiasi connessione tra di noi è una pu

Vik – un grido d’amore per Gaza

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     Chantal Meloni:  Ho aspettato un po’ prima di decidermi a scrivere, preferivo lasciare che le emozioni si depositassero sul fondo. In un momento in cui tutti parlavano, tutti sapevano, tutti avevano fretta di dire la loro, io mi sentivo come se una bomba fosse esplosa vicina, troppo vicina a me. L’effetto dirompente della morte di Vittorio Arrigoni per chi come me ha vissuto abbastanza a lungo Gaza da assaporarne l’essenza (amara eppure dolcissima), e lì ha incontrato e conosciuto Vik personalmente, continua a farsi sentire. Ad un mese di distanza l’onda d’urto è ancora enorme. Nei giorni seguenti alla notizia avevo un bisogno matto di capire, di avvicinarmi lì, di parlare con le persone, guardarle negli occhi. Iniziavo a vacillare, mettendo in discussione il miostesso vissuto. Così ho preso e sono partita per Gaza, senza neanche poterlo dire alla mia famiglia, ai miei migliori amici. Pochi intensissimi giorni in quel luogo così unico – impossibile farlo capire a chi non ne ab

Shadi Hamid :L’allargamento del Consiglio di Cooperazione del Golfo: nuovo ordine regionale, vecchie politiche di sicurezza?

L’invito rivolto dal Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) a Giordania e Marocco a presentare domanda di adesione all’organizzazione ha colto di sorpresa quasi tutti. Ma forse non avrebbe dovuto. Da quando sono cominciate le rivolte arabe, il Golfo ha adottato un atteggiamento regionale aggressivo. Il GCC ha concesso a Bahrein e Oman 20 miliardi di dollari in aiuti, ha mediato la crisi nello Yemen e – cosa forse ancora più importante – ha inviato truppe nel Bahrein per sedare le proteste laggiù.In questo contesto, lasciare che la Giordania e il Marocco entrino nel club fa parte, entro certi limiti, di una logica sensata. I due paesi sono monarchie conservatrici e filo-occidentali che stanno fronteggiando disordini interni e appelli a una maggiore democrazia. Dopo che l’amministrazione Obama ha accettato passivamente il crollo del regime egiziano, l’Arabia Saudita – lo Stato più potente del Golfo – ha iniziato a dubitare dell’impegno degli Stati Uniti a favore della salvaguardia de