Rami G. Khouri L’incubo di Israele: la protesta palestinese nonviolenta


       Le marce simultanee di migliaia di rifugiati palestinesi verificatesi domenica 15 maggio sono state trattate da Israele come una minaccia esistenziale – esattamente ciò di cui si tratta. I manifestanti si sono avvicinati ai confini israeliani, in parte violandoli, e spingendo le truppe israeliane ad aprire il fuoco e ad uccidere più di un dozzina di profughi. Il fatto che i nipoti degli originari profughi palestinesi abbiano compiuto questo gesto simbolico in occasione dell’anniversario dello smembramento della Palestina e della creazione dello Stato di Israele nel 1948, dovrebbe preoccupare profondamente gli israeliani, perché la dice lunga sull’attuale situazione del conflitto israelo-palestinese.
Il simbolismo di quello che è successo domenica 15 maggio è terrificante per gli israeliani, in effetti molto più terrificante di qualsiasi minaccia militare che Israele abbia mai affrontato, perché riflette tre realtà cardinali che significano solo guai per Israele. La prima è che il fattore “tempo” sta lavorando contro la strategia sionista di creare uno Stato di Israele potente in grado, o di intimidire i palestinesi al fine di far dimenticare loro il diritto di tornare alle loro case in Israele, o semplicemente di generare disperazione tra i rifugiati spingendoli, in ultima analisi, a rinunciare alle richieste di rimpatrio o di restituzione delle loro terre. Il tempo trascorso dal 1948 ha solo contribuito a far aumentare il nucleo originario dei 750.000 profughi palestinesi fino ai 4,5 milioni di profughi odierni, più attaccati che mai alle proprie terre, alle proprie case e ai propri diritti.
A questo proposito, gli israeliani che si prendessero un momento per riflettere sul significato di quello che è successo la scorsa domenica, dovrebbero riconoscere nelle azioni dei palestinesi un’immagine storica “compressa” della stessa epica determinazione che ebbero gli ebrei nel tornare alle loro terre ancestrali in Palestina dopo migliaia di anni di esilio. La combinazione di memoria storica, identità nazionale, e attivismo politico è più forte di qualsiasi mezzo militare utilizzabile per recuperare i propri diritti nazionali – e gli israeliani dovrebbero saperne qualcosa, in virtù delle loro esperienze e della loro lotta nazionale.
La seconda realtà è che i palestinesi stanno esplorando nuovi mezzi per resistere a Israele e al suo rifiuto di riconoscere i diritti dei profughi palestinesi, tra cui la resistenza nonviolenta attraverso marce pacifiche verso i confini di Israele. Lo spettro dei rifugiati che marciano verso i confini di Israele da quattro punti diversi – Libano, Siria, Cisgiordania e Gaza – è un incubo per Israele, a causa di ciò che lascia presagire per il futuro. Se i palestinesi riusciranno ad organizzare abilmente marce e altre proteste nonviolente – il che è più che probabile – potranno creare situazioni che gli israeliani non saranno in grado di controllare. Mi aspetterei, per esempio, nel prossimo futuro proteste nonviolente coordinate che vedano tutti i palestinesi mobilitarsi contro IsraeleEcco quello che mi aspetterei nei prossimi mesi. I profughi palestinesi continueranno a marciare pacificamente verso i confini di Israele da tutte le direzioni; i palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana o sotto assedio, in Cisgiordania, a Gaza e nella Gerusalemme Est araba potrebbero a loro volta impegnarsi in proteste nonviolente; i palestinesi che sono cittadini di Israele potrebbero marciare pacificamente in segno di solidarietà all’interno dello Stato israeliano, mentre i palestinesi di tutto il mondo potrebbero marciare pacificamente verso le ambasciate e i consolati di Israele. Tutti costoro porterebbero bandiere della Palestina e intonerebbero canti nazionali. Ovunque nel mondo gli israeliani sarebbero assediati da centinaia di migliaia di manifestanti palestinesi pacifici, che insieme farebbero capire che non hanno dimenticato il passato né rinunciato al loro diritto di essere ripagati della sofferenza e di mettere fine al loro stato di rifugiati. La maggior parte del mondo sosterrebbe quasi certamente tali proteste pacifiche, costringendo Israele a rispondere ai legittimi diritti dei palestinesi attraverso mezzi diversi dalle armi e dalle uccisioni.

Il terzo punto che dovrebbe preoccupare gli israeliani è che gli stessi palestinesi hanno avviato il processo di riunificazione della loro leadership politica sotto forma della riconciliazione tra Fatah e Hamas e della ricostituzione e del rilancio delle istituzioni dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Questo creerà una leadership nazionale unificata che rappresenterà tutti i palestinesi nel mondo, e che potrebbe impegnarsi nelle proteste nonviolente, intese come il mezzo più efficace per proseguire la lotta contro Israele e il sionismo – fino a quando non sarà raggiunta un’equa risoluzione politica del conflitto sulla base del già esistente piano arabo di pace del 2002. Tutto ciò potrebbe essere potenziato dalle trasformazioni politiche in atto in tutto il mondo arabo, dove governi arabi più democratici, legittimi e rappresentativi certamente rifletteranno la propria opinione pubblica e mostreranno solidarietà e sostegno alla causa palestinese, in particolare attraverso una lotta nonviolenta.
Potremmo essere alla vigilia di una svolta storica nelle tattiche palestinesi di lotta contro la minaccia israeliana, grazie alla quale la resistenza nonviolenta riuscirà sia a neutralizzare la forza militare che oggi Israele possiede, sia a spingere gli israeliani a prendere in considerazione una risposta politica realistica e credibile che consentirebbe di negoziare una fine del conflitto in grado di soddisfare le aspirazioni nazionali ed i diritti legittimi di entrambe le parti.
Gli israeliani sono preoccupati, e fanno bene ad esserlo, poiché  scorgono nella forza dei palestinesi l’immagine riflessa della stessa determinazione che ha caratterizzato per generazioni la lotta degli ebrei e che, in ultima analisi, ha permesso loro di ottenere i propri diritti nazionali nella loro patria ancestraleL’incubo di Israele: la protesta palestinese nonviolenta

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