Al Monitor pulse: problemi nella relazione tra Israele e Usa.
Sintesi traduzione
Espansione insediamenti
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden potrebbe avere qualche déjà vu, poiché gli insediamenti sono riemersi come fonte di attrito nei rapporti tra Stati Uniti e Israele.
Il successore di Netanyahu, Naftali Bennett , non porta lo stesso bagaglio di Bibi, che ha alienato molti democratici per il suo rapporto con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e i repubblicani.,ma Bennett crede come lui, se non di più, negli insediamenti .La sua decisione di intensificarne la costruzione in Cisgiordania ha scosso non solo l'amministrazione Biden, ma anche alcuni membri del fragile governo di coalizione di Israele .
2010: "Gli americani erano incandescenti"
Nel marzo 2010, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha inviato Biden, il suo vicepresidente, in una "missione di buona volontà" in Israele.
Per Obama, gli insediamenti sono stati il primo ordine del giorno per avviare un processo di pace israelo-palestinese. La risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, approvata all'unanimità nel 1967 in seguito all'occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme est dopo la guerra dei sei giorni di Israele , chiede il " ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati nel recente conflitto ”. Il concetto di “terra per la pace” ha determinato il processo di pace da quel momento.
Dopo essersi insediato nel 2009, Obama ha chiesto a Israele di fermare gli insediamenti in Cisgiordania come mezzo per convincere Netanyahu e il presidente palestinese Mahmoud Abbas a ricominciare a parlare. Obama scrive in A Promised Land che ha pensato che "era ragionevole chiedere al partito più forte [Israele] di fare un primo passo nella direzione della pace". Netanyahu non condivideva affatto questa ipotesi La sua reazione, ricorda Obama, è stata "fortemente negativa".
Così Biden è arrivato a Gerusalemme nel marzo 2010 per cercare di appianare il rapporto ostile tra il suo capo e Bibi e far risorgere la diplomazia israelo-palestinese in stallo. Biden era un vecchio amico di Netanyahu e un appassionato sostenitore della relazione tra Stati Uniti e Israele.
Durante il viaggio il ministero dell'Interno israeliano ha confermato i piani per nuove case a Gerusalemme est. Sebbene l'amministrazione Obama avesse chiesto solo il congelamento degli insediamenti in Cisgiordania, e non a Gerusalemme, l'annuncio "è stato un'uccisione mirata di tutti gli sforzi per rinnovare i negoziati e una dolorosa umiliazione" per Biden, come scrive Ben Caspit in The Netanyahu Years . "Gli americani erano incandescenti".
Il segretario di Stato Hillary Clinton ricorda in Hard Choices di aver detto a Netanyahu che Obama aveva preso l'annuncio come un "insulto personale". Netanyahu affermò che la tempistica dell'annuncio non era intenzionale, ma si era comunque attenuto al piano di insediamento di Gerusalemme.
2021: Chiamata difficile per Blinken e Gantz
L'attrito del rapporto Obama-Netanyahu ha lasciato il posto alla relazione amichevole tra Bibi e Trump. Gli anni di Trump sono stati una manna per Netanyahu: il trasferimento dell'ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, il riconoscimento della sovranità israeliana sul Golan, l'abbandono dell'accordo sul nucleare iraniano, la chiusura dell'ufficio dell'OLP a Washington e la negoziazione di accordi di normalizzazione per Israele con Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Sudan. Inoltre Trump non ha fatto pressioni su Israele sugli insediamenti.
Mentre Biden era pronto a lavorare con Netanyahu, c'è stato sollievo quando Bennett è entrato in carica a giugno. Nel frattempo la cortesia e il coordinamento tra Stati Uniti e Israele, sono rimasti più forti che mai.
Ora, tuttavia, gli insediamenti sono tornati come elemento di divergenza in primo piano . La scorsa settimana Israele ha annunciato piani per 3.200 nuove unità abitative negli insediamenti in Cisgiordania. La decisione ha suscitato preoccupazione da parte del Dipartimento di Stato e, secondo quanto riferito, una telefonata rabbiosa del Segretario di Stato americano Anthony Blinken al ministro della Difesa Benny Gantz il 26 ottobre.
"La chiamata di Blinken a Gantz è stata descritta dai soci del ministro della Difesa come sgradevole, e dai soci di Bennett come furiosa", scrive Caspit .
Le ONG palestinesi definite terroristiche: divergenze Usa Israele
Il Dipartimento di Stato stava già mettendo in discussione la decisione di Gantz di designare sei ONG come gruppi terroristici. Alcune delle ONG sono ben note e molto apprezzate tra i leader politici americani e internazionali, tra le organizzazioni per i diritti umani e gli attivisti, come discute qui Daoud Kuttab .
Riapertura consolato palestinese a Gerusalemme
L'attrito tra Washington e Gerusalemme è bidirezionale. Bennett e il suo partner di coalizione, il ministro degli Esteri e il primo ministro alternativo Yair Lapid, hanno problemi con la decisione dell'amministrazione Biden di portare avanti la riapertura di un consolato israeliano a Gerusalemme ,in quanto non necessario e mal programmato .
CINA
E non dimentichiamo la Cina. L'amministrazione Biden ha espresso preoccupazione per gli investimenti cinesi in infrastrutture sensibili nel nuovo porto israeliano di Haifa. Ma Israele è lontano dal fare una “scelta” tra Washington e Pechino, come spiega Danny Zaken ,
Il tempismo è tutto…
“Ogni luna di miele, per quanto di successo possa essere, finisce”, scrive Caspit. "Questo è ciò che il neopremier israeliano sta scoprendo in questi giorni in un momento particolarmente inopportuno, pochi giorni prima del voto cruciale della Knesset sul bilancio statale, che creerà o distruggerà il suo governo".
"Mentre la crisi con gli Stati Uniti era prevedibile visti i profondi disaccordi tra le parti" , continua Caspit , "la sua intensità e il suo tempismo hanno suscitato riverberi sia nell'arena politica che in quella diplomatica".
La legge di bilancio che dovrà essere votata dalla Knesset israeliana, o parlamento, è considerata un voto chiave dal governo di coalizione ristretto di Israele, che non può subire defezioni né da destra né da sinistra, essendo entrato in carica con 60 voti su 59 voti nella Knesset di 120 membri (un parlamentare della Lista Araba Unita si è astenuto).
Un segnale positivo è l'accordo del 24 ottobre sul piano quinquennale di sviluppo economico per le comunità arabe come riporta Afif Abu Much .
Il ruolo di Netanyahu
Insediamenti e consolato a Gerusalemme favoriscono la destra israeliana. Netanyahu, a capo sia del partito Likud (che ha 30 seggi) sia dell'opposizione al governo , lavora giorno e notte per dividere i membri del partito Yamina di Bennett (sette seggi) che, come riporta Mazal Mualem , è “dilaniato internamente sulla decisione di entrare in un governo con partiti di sinistra, per non parlare dell'Arab Ra'am Party (o United Arab List, con quattro seggi).”
A sinistra, la decisione di Bennett di portare avanti i piani di insediamento in Cisgiordania ha lasciato i parlamentari laburisti (sette seggi) e Meretz (sei) “divisi tra mantenere intatta la coalizione o sostenere quei principi fondamentali calpestati proprio di fronte a loro", scrive Mualem.
E sembrano tutti d'accordo su una cosa...
La “vera minaccia strategica” per Biden, Bennett, Lapid e la sinistra israeliana, secondo Caspit, è il possibile ritorno di Netanyahu. Questo è ciò che ha unito i membri della coalizione Bennett-Lapid e ha permesso una sorta di tranquilla intesa con Washington.
Durante l' ultima visita di Lapid a Washington , il 12-14 ottobre, nel discutere la riapertura del consolato, ha detto ai suoi ospiti che "Se insistete su questo ora, state riportando Netanyahu", scrive Caspit. "Nessuno dei soci del presidente vuole tale un risultato. I funzionari di Gerusalemme identificano il Dipartimento di Stato come l'area più dura e inflessibile dell'amministrazione, mentre considerano il Consiglio di sicurezza nazionale e la Casa Bianca più attenti ai problemi della coalizione di Bennett. Se la Knesset approva il bilancio la prossima settimana, fornendo al governo stabilità, Bennett, Lapid e Gantz dovranno elaborare un piano per rafforzare la fiducia con Washington, ammesso che siano in grado di farlo prima tra loro".
Familiar problems for Biden in Israel
US President Joe Biden may be having some déjà vu, as settlements have re-emerged as a source of friction in US-Israel ties.
It wasn’t supposed to be like this, with Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu gone. Netanyahu’s successor, Naftali Bennett, doesn’t carry the same baggage as Bibi, who alienated many Democrats by going all-in with US President Donald Trump and the Republicans.
But Bennett is as much, or more, of a believer in settlements as Netanyahu. And his decision this week to proceed with more of them in the West Bank has rattled not only the Biden Administration, but also some members of Israel’s fragile coalition government with a key government vote coming up.
2010: ‘The Americans were incandescent’
In March 2010, US President Barack Obama dispatched Biden, his vice president on a “goodwill mission” to Israel.
For Obama, settlements were the first order of business in getting an Israeli-Palestinian peace process moving. UN Security Council Resolution 242, which passed unanimously in 1967 following Israel’s occupation of the West Bank, Gaza, and East Jerusalem following Israel’s Six-Day War against its Arab neighbors, calls for the “withdrawal of Israeli armed forces from territories occupied in the recent conflict,” the “land for peace” concept that has informed the peace process since that time.
Upon taking office in 2009, Obama called for Israel to halt settlements in the West Bank as a means to get Netanyahu and Palestinian President Mahmoud Abbas to start talking again. Obama writes in A Promised Land that he thought “it was reasonable to ask the stronger party [Israel] to take a bigger first step in the direction of peace.”
Netanyahu did not find it reasonable. His reaction, Obama recalls, was “sharply negative.”
So Biden arrived in Jerusalem in March 2010 to try to smooth the scratchy relationship between his boss and Bibi and resurrect stalled Israeli-Palestinian diplomacy. Biden was an old friend of Netanyahu and a passionate believer in, and advocate for, the US-Israel relationship.
During the trip, Israel’s Interior Ministry confirmed plans for new homes in a Jewish neighborhood in East Jerusalem. Although the Obama Administration had only called for a settlement freeze in the West Bank, and not Jerusalem, the announcement “was a targeted killing of all efforts to renew negotiations, and a painful humiliation” for Biden, as Ben Caspit writes in The Netanyahu Years. “The Americans were incandescent.”
Secretary of State Hillary Clinton recalls in Hard Choices that she told Netanyahu that Obama took the announcement as a “personal insult.” Netanyahu said the timing of the announcement was unintentional — but he stuck by the Jerusalem settlement plan nonetheless.
2021: Tough call for Blinken and Gantz
The friction of the Obama-Netanyahu relationship gave way to the genuine bonhomie between Bibi and Trump. The Trump years were a windfall for Netanyahu — moving the US Embassy to Jerusalem, recognition of Israeli sovereignty on the Golan, ditching the Iran nuclear deal, closing the PLO office in Washington, and brokering normalization agreements for Israel with the UAE, Bahrain, Morocco, and Sudan. And Trump did not pressure Israel on settlements.
While Biden was prepared to work with Netanyahu, there was relief when Bennett came to office in June. Meanwhile, US-Israel comity and coordination, throughout all levels of both governments, remained as strong as ever.
But settlements are now back as a first-class irritant. Last week Israel announced plans for 3,200 new housing units in West Bank settlements. The decision sparked concern from the State Department and, reportedly, an angry call from US Secretary of State Anthony Blinken to Defense Minister Benny Gantz on Oct. 26.
“Blinken’s call to Gantz was described by associates of the defense minister as unpleasant, and by Bennett associates as furious,” writes Caspit.
The State Department was already questioning Gantz’s earlier announcement designating six well-established NGOs as terrorist groups. Some of the NGOs are well known and highly regarded among American and international political leaders, human rights organizations and activists, as Daoud Kuttab discusses here.
The friction between Washington and Jerusalem is two-way. Bennett and his coalition partner, Foreign Minister and Alternative PM Yair Lapid, also have their beef with the Biden Administration’s decision to press ahead with the re-opening of an Israeli consulate in Jerusalem as unnecessary and poorly timed (see below).
And let’s not forget China. The Biden Administration has raised concerns about Chinese investment in sensitive infrastructure at Israel’s new port in Haifa. But Israel is far from making a “choice” between Washington and Beijing, as Danny Zaken explains, given its close bonds with the US. So this issue too will remain in the realm of the manageable.
Timing is everything…
“Every honeymoon, successful though it may be, comes to an end,” writes Caspit. “This is what Israel’s newbie premier is discovering these days at particularly inopportune timing, just days before the crucial Knesset vote on the state budget, which will make or break his government.”
“While the crisis with the United States was to be expected given the deep disagreements between the sides,” Caspit continues, “its intensity and timing set off reverberations in both the political and diplomatic arenas.”
The budget legislation to be voted upon by the Israeli Knesset, or parliament, is considered a key vote of confidence in Israel’s disparate and narrow coalition government, which can’t suffer defections from either the right or left, having come to office through a 60-59 vote in the 120-member Knesset (one United Arab List MK abstained).
A positive sign is the agreement Oct. 24 on the economic development five-year plan for the Arab communities, which includes the mark of Mansour Abbas, head of the United Arab List, as Afif Abu Much reports.
Settlements and standing up the US on a Jerusalem consulate play well with the Israeli right. Netanyahu, as head of both the Likud Party (which has 30 seats) and the Knesset opposition, works day and night to break off members of Bennett’s right wing Yamina Party (seven seats) which, as Mazal Mualem reports, is “torn apart internally over its decision to enter a government with several parties on the left, not to mention the Arab Ra’am Party (or United Arab List, with four seats).”
And on the left, Bennett’s decision to go ahead with West Bank settlement plans has left MKs from Labor (seven seats) and Meretz (six seats) “torn between keeping the coalition intact and upholding their political and diplomatic worldview, core principles that are being trampled right in front of them,” Mualem writes.
And they all seem to agree on one thing …
The “real strategic threat” for Biden, Bennett, Lapid and the Israeli left, according to Caspit, is the possible return of Netanyahu. That is what brought the Bennett-Lapid coalition members together and a kind of quiet understanding with Washington.
On Lapid's latest Washington visit, on Oct. 12-14, in discussing the consulate reopening, he told his hosts that “If you insist on this now, you are bringing back Netanyahu," writes Caspit. "None of the president’s associates wants such an outcome. Officials in Jerusalem identify the State Department as the toughest nut in the administration to crack, while viewing the National Security Council and the White House as more attentive to Bennett’s coalition woes. If the Knesset approves the budget next week, providing the government with a measure of stability, Bennett, Lapid and Gantz will have to come up with a plan to bolster trust with Washington — assuming they are able to do so first among themselves.”
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