Cap Anamur, l’antenata delle navi di salvataggio. La storia si ripete



La Sea Watch degli anni Ottanta. L’antenata delle navi di salvataggio dei profughi guidate da volontari. Esattamente quindici anni fa il comandante tedesco della Cap Anamur, responsabile della vita dei 37 naufraghi imbarcati, decise di forzare l’entrata nelle acque territoriali italiane. Proprio come la capitana Carola Rackete.
Dopo lo sbarco venne arrestato, processato e infine condannato per «favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina» insieme al primo ufficiale e al presidente della Ong. Cinque anni dopo, tuttavia, furono tutti assolti.
Un fatto di cronaca speculare semi dimenticato in Italia. In Germania, al contrario, rimane tra le storie incise nella stele di ringraziamento a forma di libro aperto, circondata da due leoni bianchi, eretta dai profughi salvati ad Amburgo.
Breve flashback sulla Cap Anamur: il mercantile tedesco che per primo antepose l’inflessibile legge del mare alle transitorie norme vigenti. E il 20 giugno 2004 anticipò il «caso Sea Watch» dopo aver salvato un gruppo di naufraghi originari dell’Africa sub-sahariana da un gommone alla deriva a Sud di Lampedusa. Per puro caso, mentre era impegnata nelle prove per testare il motore appena riparato in cantiere a Malta.
La nave venne trattenuta alla fonda dalle autorità italiane per oltre 20 giorni e l’equipaggio riuscì ad attraccare a Porto Empedocle solamente la mattina del 12 luglio. Anche all’epoca l’Italia contestò al governo tedesco la proprietà della Cap Anamur e a Malta il mancato accoglimento dei profughi transitati per le sue acque territoriali.
Un rimpallo di responsabilità uguale al “tiramolla” di oggi; allora fu pagato da trenta profughi rinchiusi nel Cpt di Pian del Lago (Caltanissetta) già 48 ore dopo lo sbarco. Deportati in aereo in Nigeria e in Ghana, dove furono poi arrestati per «alto tradimento e lesa immagine della patria all’estero». Mentre la Cap Anamur rimase ancorata ai sigilli di sequestro della Procura siciliana.
Quarant’anni fa la Sea Watch ha la forma di una vecchia nave da carico che prende il nome da un monte affacciato sulla costa mediterranea della Turchia. Comprata nel 1979 per poche migliaia di marchi da Rupert e Christel Neudeck, nasce come «Nave per il Vietnam» ai tempi dell’emergenza dei boat-people e finisce, insieme alle altre Ong collegate, per salvare oltre 10.300 profughi di ogni nazionalità.
Finanziata fin da subito dallo scrittore Heinrich Böll (nella lista dei fondatori) Cap Anamur naviga grazie alle donazioni dei comuni cittadini. Nel tempo la Ong tedesca è diventata la base delle piattaforme umanitarie che già negli anni Novanta hanno garantito l’assistenza sanitaria a 36 mila migranti. Marinai, medici, tecnici volontari: in trent’anni di attività si sono occupati anche delle emergenze in Sudan, Somalia, Eritrea, Bosnia, Kosovo.
Ma è solo nel 2004 che in Italia si sentono per la prima volta i nomi di Stefan Schmidt, Elias Bierdel e Vladimir Dachkevitce, rispettivamente comandante, presidente e primo ufficiale della Cap Anamur. Formalmente accusati di essere i «taxi del mare» dei migranti che attraversano il Mediterraneo, nonostante le prove confermino che la «colpa» corrisponda alla responsabilità di essere la nave più vicina al Sos obbligata al soccorso dalle leggi internazionali. Ci vorranno cinque anni per ristabilire la verità ora anche giudiziaria. E migliaia di euro in spese legali.
Anche per questo Cap Anamur raccoglie le offerte, e fa sapere di avere ricevuto sovvenzioni pubbliche solo in un caso, nel 2015 durante l’epidemia di Ebola per la costruzione di un reparto-isolamento in un ospedale africano.
Attualmente, la raccolta fondi della Ong che ha sede a Colonia naviga intorno ai 4,5 milioni di euro; il 95% circa delle entrate si concretizza in aiuti materiali. Investiti fino all’ultimo centesimo dalla Cap-Anamur-German Emergency Doctors guidata dal presidente Werner Strahl che di mestiere fa il pediatra a Essen. In Germania tre anni fa il suo impegno è stato premiato con la Croce al merito di prima classe della Repubblica federale, che premia proprio l’obbedienza ai valori inderogabili.

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