Riace, ispettori prefettizi conquistati dal modello di accoglienza
"La Prefettura di Reggio Calabria lo scorso 20 febbraio ha finalmente trasmesso al sindaco Mimmo Lucano, dopo non poche resistenze, la relazione relativa all'ultima visita ispettiva svolta nel borgo di Riace sul sistema di accoglienza e di integrazione dei migranti
adottato dall'amministrazione comunale, oggetto di un'inchiesta da
parte della magistratura. Sui contenuti riceviamo e pubblichiamo una
riflessione di Emilio Sirianni, presidente della
sezione lavoro della Corte d'Appello di Catanzaro, già parzialmente
pubblicata sull'edizione di oggi 25 febbraio del quotidiano Il Manifesto e qui riprodotta in versione integrale".
«Riace è così: si vede e non si vede. Conficcata su una collina della fascia ionica reggina, segue alcuni paradigmi delle realtà locali vicine, con tutti i loro difetti (e i loro pregi): la chiusura, la diffidenza, la larvata impudicizia del bene comune, il senso di abbandono, la povertà. E l’accoglienza». È così è arrivata l’ultima, lungamente celata, relazione ispettiva della Prefettura di Reggio Calabria sul sistema di accoglienza migranti di Riace ed è un’altra sorprendente perla, nella collana di miracoli che questo piccolo paesino di Calabria continua a regalare ad un paese immiserito ed incattivito.
Funzionari prefettizi, all’evidenza travolti dall’immersione in quel piccolo cosmo che apre anche i cuori più duri e trasporta lontani dall’odio e dalla paura che traboccano nei racconti di politici e media, descrivono la scuola in cui «ragazzini di Riace scherzano e scambiano commenti ironici con i loro coetanei dell’Africa o del vicino oriente»; le «case vecchie ed umili …ma pulite ed ordinate, venate della mescolanza di donne ed uomini di provenienza disparata» in cui ospiti d’altre parti del mondo conducono la stessa vita dignitosa della gente umile di Calabria; «un abile cuoco sahariano che sta preparando magnifiche pizze»; le «botteghe artigiane in cui si lavora il legno, il vetro, la lana, i tessuti…» e dove un cinquantenne del Kurdistan dipinge una bambola e scuote la testa rievocando il suo paese; quella «insenatura verde scavata nella collina», lavorata a terrazzamenti che ospitano le case degli asini, usati per la raccolta differenziata e gli orti che vi saranno realizzati, anch’essi da affidare ai migranti per integrare il sostentamento e forse anche per alimentare il ciclo dell’economia agricola.
Descrivono gli ispettori ed il verbale diventa un racconto. Sono quattro queste ispezioni, eseguite a gennaio, maggio, giugno e luglio del 2017, le altre tre redatte con il consueto tono ministeriale. Sono state eseguite in maniera più approfondita di quelle di settembre e dicembre 2016, da cui sono iniziati i guai giudiziari di Mimmo Lucano ed hanno tutte, a differenza delle prime due, conclusioni, non solo positive, ma largamente elogiative per il “sistema Riace”.
«Riace è così: si vede e non si vede. Conficcata su una collina della fascia ionica reggina, segue alcuni paradigmi delle realtà locali vicine, con tutti i loro difetti (e i loro pregi): la chiusura, la diffidenza, la larvata impudicizia del bene comune, il senso di abbandono, la povertà. E l’accoglienza». È così è arrivata l’ultima, lungamente celata, relazione ispettiva della Prefettura di Reggio Calabria sul sistema di accoglienza migranti di Riace ed è un’altra sorprendente perla, nella collana di miracoli che questo piccolo paesino di Calabria continua a regalare ad un paese immiserito ed incattivito.
Abbandonato il freddo linguaggio della burocrazia
I verbalizzanti dichiarano, in incipit, di voler abbandonare «formule di stretto criterio burocratico amministrativo», al fine di «spiegare non solo quello che viene fatto (o non fatto) a Riace, ma soprattutto come viene fatto direttamente dalle persone (di ogni colore e nazionalità) che ne sono le dirette e principali protagoniste». Ecco così un documento che non ha nulla dell’arido ed a volte astruso linguaggio dei burocrati ministeriali e riesce a rendere il senso profondo di un’esperienza unica.Funzionari prefettizi, all’evidenza travolti dall’immersione in quel piccolo cosmo che apre anche i cuori più duri e trasporta lontani dall’odio e dalla paura che traboccano nei racconti di politici e media, descrivono la scuola in cui «ragazzini di Riace scherzano e scambiano commenti ironici con i loro coetanei dell’Africa o del vicino oriente»; le «case vecchie ed umili …ma pulite ed ordinate, venate della mescolanza di donne ed uomini di provenienza disparata» in cui ospiti d’altre parti del mondo conducono la stessa vita dignitosa della gente umile di Calabria; «un abile cuoco sahariano che sta preparando magnifiche pizze»; le «botteghe artigiane in cui si lavora il legno, il vetro, la lana, i tessuti…» e dove un cinquantenne del Kurdistan dipinge una bambola e scuote la testa rievocando il suo paese; quella «insenatura verde scavata nella collina», lavorata a terrazzamenti che ospitano le case degli asini, usati per la raccolta differenziata e gli orti che vi saranno realizzati, anch’essi da affidare ai migranti per integrare il sostentamento e forse anche per alimentare il ciclo dell’economia agricola.
Descrivono gli ispettori ed il verbale diventa un racconto. Sono quattro queste ispezioni, eseguite a gennaio, maggio, giugno e luglio del 2017, le altre tre redatte con il consueto tono ministeriale. Sono state eseguite in maniera più approfondita di quelle di settembre e dicembre 2016, da cui sono iniziati i guai giudiziari di Mimmo Lucano ed hanno tutte, a differenza delle prime due, conclusioni, non solo positive, ma largamente elogiative per il “sistema Riace”.
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