Kate Aronoff Il movimento Boicottaggio-Disinvestimenti-Sanzioni e il buonsenso minacciati dal divieto del governo inglese




di Kate Aronoff – 21 febbraio 2016 Questa settimana il governo britannico ha annunciato una nuova misura del parlamento a guida Tory che infliggerà “sanzio
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di Kate Aronoff – 21 febbraio 2016
Questa settimana il governo britannico ha annunciato una nuova misura del parlamento a guida Tory che infliggerà “sanzioni severe” alle amministrazioni e alle istituzioni pubbliche locali che boicottino beni e servizi su base “etica” (all’opposto di quella puramente finanziaria) inclusi i disinvestimenti. Programmata per coincidere con la visita in Israele questa settimana del ministro dell’Ufficio di Gabinetto britannico Matthew Hancock, la mossa è trasparentemente diretta contro il movimento internazionale Boicottaggio-Disinvestimenti-Sanzioni (BDS) per por fine all’occupazione israeliana della Palestina, ma include inoltre “società impegnate nel commercio delle armi, nei combustibili fossili [e] nei prodotti del tabacco”.
Come ha dichiarato al The Independent il leader del Partito Laburista britannico Jeremy Corbyn: “La decisione del governo di vietare a consigli comunali e ad altri organismi pubblici di disinvestire tra commerci o investimenti che considerano non etici è un attacco alla democrazia locale”. Crea anche un preoccupante precedente per gli attivisti su una serie di problemi. A parte l’essere uno sfacciato attacco alla libertà di espressione, tuttavia, la nuova norma pone la domanda: che cosa succede quando i boicottaggi e i disinvestimenti divengono tanto pratici quanto sono etici?
Sia i disinvestimenti sia i boicottaggi fanno parte di una più vasta campagna per revocare la licenza di operare a un’industria o a un insieme di industrie che lucrano da un determinato danno morale. Più che distogliere il capitale da cattivi protagonisti, l’obiettivo consiste nell’alimentare un contesto culturale e politico in cui divenga impossibile ricavare vantaggi economici da qualsiasi cosa terribile stiano facendo particolari imprese. Si prenda il caso del disinvestimento dai combustibili fossili. Anche se ogni fondo universitario negli Stati Uniti continentali abbandonasse la nave della ExxonMobil, ci sono forti probabilità la società o non ne sentirebbe affatto la mancanza oppure troverebbe nuovi investitori di rimpiazzo.
Se quelle della ExxonMobil fossero azioni ad alto rendimento con prospettive finanziaria di prim’ordine, com’è stato storicamente, allora disinvestire da esse – scegliere di abbandonare un investimento altrimenti solido – sarebbe una mossa puramente etica. Se, per qualsiasi motivo, quelle azioni divenissero non redditizie, allora distinguere se un disinvestimento ha luogo per motivi politici o pragmatici diventerebbe più difficile.
In modo unico, nel caso dei combustibili fossili, il movimento e le forze del mercato si stanno fondendo in un nuovo ambiente non redditizio per imprese come la ExxonMobil e in un contesto tanto più disorientante riguardo al nuovo divieto britannico.
Il gruppo di esperti Carbon Tracker, costituito da professionisti della finanza, sostiene da anni che le imprese del carbone, del petrolio e del gas naturale sono esageratamente sopravvalutate, ricavando i loro elevati prezzi da combustibili fossili che è improbabile siano in grado di estrarre. Il suo rapporto più recente rileva che fino a due trilioni di dollari di attivi delle imprese potrebbero essere fatti “arenare” da una qualche combinazione di norme di legge e di catastrofi climatiche.
Tra prezzi del petrolio in picchiata e una nuova – anche se tuttora indefinita – risoluzione globale di por fine all’era dei combustibili fossili dopo i dialoghi di dicembre sul clima a Parigi, le previsioni di Carbon Tracker sembrano diventare realtà. Come segnala J.W.Bode sul The Ecologist, gli insegnanti di New York hanno già perso 135 milioni di dollari delle loro pensioni a causa di investimenti nell’industria del petrolio e del gas, le cui azioni stanno arrivando al minimo da dieci anni a questa parte. Quindici fondi pensione australiani hanno rinunciato a una scommessa collettiva da 5,6 miliardi di dollari sui combustibili fossili e persino la Goldman Sachs si sta preoccupando che il petrolio possa scendere sotto i 20 dollari il barile prima che i prezzi crescano.  Quando i prezzi del petrolio erano ancora alti il più grande gestore d’investimenti del mondo, la BlackRock, aveva creato un fondo specializzato in combustibili fossili. E il movimento per il disinvestimento dai combustibili fossili aveva a quel punto già cominciato a trascinare nel fango la reputazione dell’industria, unendosi a nuovo movimento militante e visibile per il clima e facendo pressioni sui governi del mondo perché giungessero a un accordo al COP21 e si disintossicassero dal carbone, dal petrolio e dal gas naturale.
I combustibili fossili sono peculiari, dal punto di vista degli investimenti. Le imprese del tabacco e quelle che lucrano sull’occupazione (si pensi all’hummus della Sabra o alla Caterpillar, che principalmente produce macchine per l’edilizia) non sono esattamente spine dorsali dell’economia globale. L’ottanta per cento dei ceci israeliani non serve restino sul terreno per evitare una catastrofe globale. Ma solo i movimenti possono renderli inappetibili, creando nuove norme all’interno della comunità degli investimenti che invertano la marea dalle imprese che danneggiano le persone e il pianeta e inneschino svolte politiche più ampie. Almeno negli Stati Uniti questo è già successo riguardo alle armi da fuoco e al tabacco; è oggi uno standard degli investitori istituzionali su vasta scala escludere tali industrie dai portafogli azionari. I disinvestimenti sono stati anche uno dei molti fattori che hanno alla fine determinato la caduta del regime dell’apartheid sudafricano, anche se le imprese nel mirino non hanno subito grandi perdite.
Come Corbyn ha inoltre segnalato, il nuovo divieto impedirebbe tutto questo e lascerebbe potenzialmente i fondi pensione e i sindacati studenteschi britannici con investimenti tossici. Al meglio, i movimenti possono rendere senso comune le “posizioni etiche” – come quelle che governo britannico sta ora tentando di vietare – cosa in cui i conservatori britannici farebbero bene a investire.
Kate Aronoff è una giornalista indipendente che vive a Brooklyn, coordinatrice delle comunicazioni della New Economy Coalition e cofondatrice della Rete Studentesca di Disinvestimento dai Combustibili Fossili. I suoi scritti sono apparsi su The Nation, The American Prospect, Dissent e The New York Times.
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/bds-movement-and-common-sense-face-threat-from-uk-government-ban/
Originale: Waging Nonviolence
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0


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