Al Azhar e il Vaticano sul terrorismo. Le ambiguità della comunità internazionale

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 Bernardo Cervellera
L’autorevole università sunnita denuncia le violenze “odiose” dello Stato islamico e domanda al mondo di sconfiggere questo gruppo “attraverso ogni modo possibile”. Vaticano: il terrorismo è una minaccia per l’umanità intera. La Francia dice di combattere il terrorismo, ma poi vende armi, aerei, elicotteri da guerra all’Arabia saudita, che sostiene il fondamentalismo islamico. Il Kuwait lascia vivere i salafiti che appoggiano al Nusra e lo Stato islamico. La Turchia contro i kurdi; gli Stati Uniti contro Iran, Russia e Cina.


Roma (AsiaNews) – Di fronte al sangue versato in Tunisia, Kuwait, Francia, Somalia (e potremmo aggiungere Siria e Iraq), vi è una chiara visione comune fra al-Azhar, la più autorevole università del mondo sunnita, e quanto il Vaticano va dicendo da oltre un anno, che cioè il terrorismo è una sfida globale e va affrontato con una lotta a tutto campo. Al contrario, è sempre più evidente che molti Paesi – anche vittime del terrorismo – preferiscono dei distinguo, delle ambigue alleanze, mettendo in primo piano meri interessi economici.
All’indomani degli attentati sulla spiaggia di Sousse, della moschea sciita in Kuwait e della decapitazione vicino a Lione, al-Azhar ha condannato le violenze  “odiose”, che sono “una violazione di tutte le regole religiose e umanitarie”. Essa ha pure chiesto “alla comunità internazionale di “sconfiggere questo gruppo terrorista [lo Stato islamico-ndr] attraverso ogni modo possibile”.
Questo richiamo alla “comunità internazionale” non è retorico ed è in profonda sintonia con gli appelli che papa Francesco, la Segreteria di Stato vaticana, i nunzi all’Onu a Ginevra e a New York, i patriarchi orientali hanno lanciato in quest’anno: e cioè che la comunità internazionale deve affrontare e combattere questo pericolo per l’umanità intera, senza lavarsene le mani o peggio, cercando solo di circoscriverlo in regioni lontane dal proprio Paese: i morti sono ormai di molte nazionalità e l’Europa, come l’America sono divenute un target quasi quotidiano.
La stessa Tunisia, l’unico Paese dove la primavera araba è abbastanza riuscita, colpita dagli attacchi, domanda – con le parole del suo presidente Essebsi – di potere non lottare da sola contro la minaccia terrorista, e dice che occorre “una strategia unitaria e globale”.
La “strategia unitaria” è necessaria per la Francia – pure colpita dal terrorismo – che continua a giocare sulle divisioni in Medio oriente, sostenendo al-Nusra (al-Qaeda) contro Assad e dicendosi nemica dello Stato islamico in Iraq. Ma intanto vende armi, aerei, elicotteri da guerra all’Arabia saudita che li usa per combattere gli Houthi in Yemen e favorire i fondamentalisti sunniti di al Qaeda e dello Stato islamico.
“Strategia unitaria” è importante anche per il Kuwait, dove da anni si sopporta la presenza di salafiti implicati in massacri contro sciiti in Siria e accusati di sostenere organizzazioni legate ad al-Nusra e allo Stato islamico.
Ed è importante anche per la Turchia, che per non avere vicino uno Stato kurdo, è disposta al compromesso con i miliziani del califfato lasciando le frontiere porose per il traffico di nuove reclute e di petrolio di contrabbando.
Una richiesta di impegno per una “strategia unitaria e globale” è necessaria anche agli Stati Uniti per il loro ambiguo sostenere al Nusra nella lotta contro Bashar Assad, e nel combattere (in realtà solo contenere) lo Stato islamico in Iraq, vendendo armi all’Arabia saudita e non ai curdi, tacciando di terrorismo l’Iran e chiudendo volentieri un occhio verso il Qatar e Riyadh.
E’ ormai urgente che la lotta al terrorismo non passi da decisioni di “volenterosi” malati di parzialità, ma venga assunta dalle Nazioni unite che, con la collaborazione di tutti – anche di Iran, Russia e Cina – fermi i finanziamenti alle milizie e condivida informazioni e strategie.
Ciò che succede in Siria e in Iraq, a Raqqa e a Mosul, interessa tutta la comunità internazionale.

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