Israele, privatizzare la sicurezza
I soldati sostituiti da compagnie private. Due obiettivi: fare business ed evitare le critiche internazionali.
di Emma Mancini
Betlemme -
Ieri mattina il checkpoint 300, posto di blocco militare tra
Gerusalemme e Betlemme, era affollato. Ritardi nel passaggio, controlli
eccessivi, ore perse nell'attesa di attraversare e arrivare finalmente
dall'altra parte del Muro di Separazione. Di checkpoint come il 300,
considerati 'l'ultima frontiera verso Israele', ce ne sono 33 in
Cisgiordania e 3 a Gaza. A controllare carte di identità, permessi di
lavoro, passaporti e bagagliai delle automobili sono i soldati
israeliani, spesso militari di leva che nei tre anni di servizio
trascorrono, armi in spalla, ore e ore ai posti di blocco tra i
Territori Occupati Palestinesi e Israele. Ma accanto ai soldati con la
divisa governativa ci sono anche altri personaggi, vestiti di nero,
senza numero identificativo sul petto. Sono i contractor privati,
assunti dal Ministero della Difesa per fare lo stesso mestiere:
controllare i palestinesi che ogni giorno attraversano "le ultime
frontiere".
Il
processo di privatizzazione dei checkpoint in Israele è in corso da
dieci anni: era il 2003 quando l'allora governo Sharon emise un decreto
per il trasferimento della gestione della sicurezza nelle mani di
contractor privati. Erano gli anni caldi della Seconda Intifada, il
leader palestinese Yasser Arafat era sotto assedio nel palazzo
presidenziale di Ramallah e il numero delle vittime palestinesi saliva
di giorno in giorno.
"Sono
cinque le compagnie private israeliane coinvolte nel progetto - ci
spiega Wassim Ghantous, ricercatore dell'associazione BADIL - Dopo il
via libera del governo israeliano nel 2003, la privatizzazione è stata
avviata, ma i primi effetti si sono visti nel 2006. Oggi in Cisgiordania
dei 33 checkpoint sulla Linea Verde (il confine tra Israele e Territori
Occupati), sei sono completamente gestiti da compagnie di sicurezza
private, come quelli di Tulkarem, Qalqiliya e Bisan, mentre una decina
sono per metà statali e per metà privati.E se all'interno delle prigioni
israeliane sono numerosi i contractor statunitensi ed europei, ai
checkpoint troverete solo compagnie israeliane: la Mikud Security, la
Ari Avtaha, la Modi'in Ezrachi, la Sheleg Lavan e la S.B. Security
Systems".
Cinque
compagnie private che forniscono al Ministero della Difesa israeliano
guardie che sostituiscano i soldati: "Ad essere assunti da queste
compagnie sono ex militari che hanno servito in unità speciali e
commando, quelli che combattevano in prima linea, a Gaza o in Libano.
Sono considerati più affidabili e preparati ad ogni eventuale problema".
Ma prima di analizzare gli effetti sul conflitto
israelo-palestinese, facciamo un passo indietro: "La privatizzazione
della sicurezza, a livello globale, è un fenomeno esploso dopo la fine
della guerra fredda e il crollo dell'Unione Sovietica - prosegue
Ghantous - Un fenomeno strettamente legato all'emersione e al
rafforzamento in Occidente di politiche economiche di stampo
neo-liberista: i primi governi ad ingaggiare contractor privati sono gli
Stati Uniti, la Gran Bretagna e altri Paesi europei. Il mercato si
allarga presto, la domanda cresce. Si tratta di compagnie 'normali',
registrate ufficialmente come una qualsiasi impresa commerciale: pagano
le tasse, chiedono esenzioni, partecipano a bandi di gara. Ma sono
elastiche, fluide: quando scoppia uno scandalo (è il caso dei Black
Water statunitensi in Iraq), si dissolvono velocemente per riformarsi
sotto un altro nome o un'altra gestione amministrativa".
L'anno
di svolta è il settembre 2001: dopo l'attacco alle Torri Gemelle a New
York, il boom delle compagnie di sicurezza private diventa una realtà
consolidata. Se prima dell'11 settembre negli Stati Uniti la proporzione
tra soldati governativi e contractor privati impegnati all'estero era
di 50 a 1, dopo si trasforma: 10 soldati ogni contractor. "A cambiare è
la natura stessa del conflitto - spiega Ghantous - In Medio Oriente
giungono persone pronte a combattere e uccidere non per ragioni
ideologiche, 'politiche', o 'patriottiche', quindi collettive, ma per
questioni di mero interesse economico e individuale. Ai governi
occidentali i contractor servono perché permettono di ridurre il numero
di soldati coinvolti e quindi di aumentare il consenso verso guerre
considerate lontane dai propri cittadini".
In
Israele si verifica lo stesso: la privatizzazione dei checkpoint e
della sicurezza giunge in concomitanza con una nuova e aggressiva
economia neo-liberista e con un'ondata di privatizzazioniche - iniziata
alla fine degli anni Ottanta - ha travolto tutti i settori pubblici,
dalla sanità all'educazione fino alla difesa.
"Le ragioni per cui
Israele opta per i contractor privati sono due: una di tipo economico e
una di tipo politico/morale. Dal punto di vista economico, lasciare la
gestione dei checkpoint in mano a compagnie private riduce i costi della
sicurezza. Non sono in grado di dare numeri specifici in merito, in
quanto si tratta di informazioni che lo Stato non rende pubbliche, ma i
costi tendono a ridursi significativamente in termini di 'forza lavoro' e
di gestione pratica. Non solo: ciò permette alla già fiorente industria
privata militare israeliana di espandersi.Le compagnie private assunte
dal Ministero della Difesa sviluppano nuove tecnologie che applicano e
testano nei Territori Occupati e che poi rivendono fuori: sono
numerosissimi i contractor israeliani che operano in Sud America e in
Africa, assunti per l'alto livello di professionalità e tecnologia
militare raggiunto".
La
seconda ragione è politica e morale: evitare ogni responsabilità di
fronte alla comunità internazionale. "Da tempo Israele è sotto i
riflettori di organizzazioni internazionali per i diritti umani, ma
anche delle Nazioni Unite e del Consiglio Europeo per i Diritti Umani,
per le violazioni compiute a Gaza e in Cisgiordania contro i civili
palestinesi - continua Ghantous - Molte sono le violazioni che hanno
come teatro i checkpoint militari nei Territori. Compiendo questo
passaggio, dall'esercito governativo a compagnie private, Israele gode
di un doppio vantaggio: da una parte 'umanizza' il controllo agli occhi
della comunità internazionale, perché ad affrontare il civile
palestinese non è più un soldato israeliano ma un civile israeliano.
Dall'altra parte si libera delle possibili accuse in caso di violazione
dei diritti umani".
In
che modo? Scaricando la responsabilità su un individuo singolo: il
contractor è un cittadino, un civile, e -seppure sia assunto da una
compagnia privata che lavora per lo Stato - non rappresenta lo Stato
stesso. "In caso di violazione da parte di un contractor, non c'è
nessuno sopra di lui a risponderne, come accadrebbe nell'esercito. Se a
violare la legge è un soldato, a pagare potrebbe essere il suo
superiore, il capo dell'esercito, addirittura il Ministero della Difesa o
il governo. Ma se a commettere una vessazione o un omicidio (come
accaduto in passato in alcuni casi ai checkpoint) è un 'normale
cittadino', la responsabilità dello Stato si eclissa. Sia di fronte alla
propria opinione pubblica che di fronte alla comunità internazionale".
Così
un palestinese che intende sporgere una denuncia per maltrattamenti,
pestaggi o vessazioni, non è in grado di indirizzarla contro nessuno:
contro lo Stato? Contro la compagnia? Gli effetti della privatizzazione
della sicurezza sono ormai visibili. A denunciare tale pratica è
intervenuta anche l'ONU, che registra un'impennata delle violenze ai
posti di blocco, mentre associazioni come Amnesty International hanno
pubblicato numerosi video e rapporti sul comportamento dei contractor:
la presenza di individui provenienti dalle unità speciali, con in mano
gli stessi poteri di un soldato, ha "radicalizzato" la situazione. Le
violenze sono aumentate e i pestaggi e i ferimenti si sono fatti più
frequenti. Così come gli omicidi.
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