I caccia, il Boeing e le otto tonnellate di esplosivo. Così Israele ha bombardato il Sudan
Si sono
levati in volo – tra il 23 e il 24 ottobre scorso – nel cuore della
notte e del deserto del Negev. Hanno viaggiato per quattro ore e per
oltre 2.100 chilometri. Prima sorvolando la località turistica di Eilat,
poi attraversando il Mar Rosso. A un certo punto hanno svoltato a
destra. Sui cieli del «Triangolo Hala’ib», terra contesa tra l’Egitto e
il Sudan. Poi eccoli sopra Khartoum, alle 00.31 del 24 ottobre. Una
volta a Yarmouk, alla periferia della capitale sudanese, il botto.
Quattro bombe da 2 tonnellate di esplosivo ciascuna giù su alcune decine
di container che in pochi secondi vengono ridotti in cenere. Nel raggio
di 700 metri, poi, vengono danneggiati tutti gli edifici. Alle 00.52,
nel punto d’impatto, non resta praticamente nulla. Se non una grande
domanda.
Ecco, la
domanda. Chi ha compiuto quell’operazione militare «chirurgica»? Dopo
ore di speculazioni – e accuse – fonti dell’intelligence israeliana
hanno fatto intuire che si sia trattato di un blitz delle forze aeree
dello Stato ebraico. Un blitz più che mai necessario «per almeno due
motivi». Il primo: «A Yarmouk, in quei container, secondo le nostre
informazioni avevano appena finito di inserire e si stavano preparando a
inviarli a Teheran e a Beirut i missili a lunga gittata Shehab e i
razzi Fajar». Il secondo: «Da quell’angolo della città vengono inviati
nella Striscia di Gaza anche gli armamenti che Hamas usa contro il
nostro Paese».
L’operazione ha coinvolto in tutto otto caccia F-15I, due elicotteri CH-53, un aereo da ricognizione
Gulfstream G550 e un Boeing 707 tanker per il rifornimento in volo
degli otto caccia. Rifornimento che è avvenuto sopra il Mar Rosso,
un’ora e mezza dopo il decollo. Quattro degli otto F-151I hanno
trasportato l’esplosivo. Gli altri caccia sono serviti come appoggio in
caso di una risposta dei MiG-29 della flotta aerea sudanese. Risposta
che non c’è stata.
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