Gerusalemme Est fra pace e guerra



Le tensioni fra gli Stati Uniti e Israele a seguito della decisione del ministro dell’interno israeliano Eli Yishai di costruire 1.600 nuove unità abitative a Ramat Shlomo confermano ancora una volta l’importanza di Gerusalemme Est come chiave dei rapporti fra Israele e la comunità internazionale – ed in particolare il mondo arabo-islamico. Vale la pena ricordare che la maggior parte degli stati del mondo, compresi gli Stati Uniti, non hanno riconosciuto l’annessione di Gerusalemme Est a Israele nel 1967, né la proclamazione di Gerusalemme unificata ‘capitale di Israele’ nel 1980. In risposta a questa proclamazione, molti paesi si sono astenuti dal riconoscere Gerusalemme Ovest come capitale di Israele, e da anni gli Stati Uniti rimandano il trasferimento della loro ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. L’Olanda e una dozzina di paesi amici hanno spostato nel 1980 la loro ambasciata da Gerusalemme a Tel Aviv. La Turchia ha abbassato il livello della sua rappresentanza diplomatica in Israele, ed alcuni paesi islamici che avevano riconosciuto Israele negli anni passati hanno raffreddato i loro rapporti con lo stato israeliano, anche a causa del protrarsi dell’occupazione dei Territori palestinesi. In effetti, la maggior parte dei paesi arabi ed islamici, fra cui i paesi ed i regimi moderati e pragmatici, attribuiscono al Nobile Santuario di Gerusalemme un livello di sacralità pari a quello della Mecca, e considerano Gerusalemme Est un centro politico e culturale del popolo palestinese, il quale ha il diritto di creare un proprio stato.
Il protrarsi del dominio israeliano su Gerusalemme Est e sui Territori palestinesi alimenta l’odio islamico e contribuisce a diffondere posizioni anti-israeliane e antisemite fra le popolazioni dei paesi arabo-islamici. Ciò emerge chiaramente da un sondaggio d’opinione condotto recentemente dall’americano Pew Research Center. Tuttavia, secondo le mie valutazioni, ed in base a una ricerca che ho condotto ultimamente, è possibile ammorbidire queste posizioni negative e migliorare l’immagine di Israele e degli ebrei nei paesi arabo-islamici, se si giungerà ad una soluzione ragionevole, ed accettabile per entrambe le parti, in merito alla questione di Gerusalemme Est ed al problema palestinese. Vale la pena ricordare che fin dagli anni ’70 del secolo scorso è gradualmente aumentato il numero dei paesi arabi ed islamici che si sono dichiarati pronti a riconoscere Israele e ad allacciare rapporti diplomatici, a condizione che gli israeliani si ritirino entro i confini del 1967 ed accettino la creazione di uno stato palestinese con capitale Gerusalemme Est’espressione completa ed ufficiale di questo orientamento si manifestò con l’approvazione dell’iniziativa di pace saudita da parte di tutti i 22 paesi della Lega Araba, al vertice di Beirut del 2002. Questa iniziativa, che viene riproposta praticamente ogni anno, ha ottenuto il sostegno di “57 stati islamici, compresi i paesi arabi” nella cornice dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC) nel 2003. In quell’anno, l’OIC ha anche riconosciuto – come aveva già fatto l’OLP nel 1988 – la risoluzione 181del Consiglio di Sicurezza che sancì la spartizione della Palestina nel 1947 invocando la creazione di uno stato arabo e di uno stato ebraico in Palestina.
In realtà queste risoluzioni generali non esprimono un cambiamento ideologico e rivoluzionario nelle posizioni degli stati arabo-islamici riguardo a Israele, quanto piuttosto un cambiamento strategico e un orientamento pragmatico che deriva dal riconoscimento della potenza di Israele – che è sostenuta dagli Stati Uniti – da un lato, e dai timori per la stabilità dei regimi arabi sunniti di fronte alla minaccia sciita iraniana ed a quella sunnita di al-Qaeda, dall’altro. Quest’ultima continua ad invocare la liberazione di Gerusalemme e di tutta la Palestina in un quadro di jihad contro Israele. Perciò, la creazione di uno stato palestinese con capitale Gerusalemme Est eliminerebbe il pretesto centrale che l’Islam estremista usa come giustificazione per combattere Israele e gli ebrei, ed allo stesso modo contribuirebbe a far accettare Israele dai regimi e dagli ambienti pragmatici dei paesi arabo-islamici. Si tratta di un’occasione storica e di un interesse supremo per Israele, allo scopo di uscire dall’isolamento e dalla disapprovazione internazionale, di prevenire la violenza – e forse una guerra – e di scongiurare l’eventualità di perdere il proprio carattere ebraico e democratico, come ha dichiarato Joe Biden, il quale ha affermato che lo status quo non è sostenibile.
Moshe Ma’oz è professore di Studi Islamici e Mediorientali all’Università Ebraica di Gerusalemme

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