di Nadia Hijab STATO PER LA PALESTINA?


I commentatori arabi ed israeliani hanno entro una certa misura tratteggiato a grandi linee il discorso che Barack Obama terrà in Egitto durante la sua visita di giugno, sebbene egli ancora si stia incontrando con i leader della regione a Washington. Se alcuni sono ottimisti, molti invece nutrono timori.

Gli israeliani temono che Obama voglia spingerli a riconoscere i diritti dei palestinesi e obbligarli a restituire i territori palestinesi e siriani che essi sono stati impegnati a colonizzare fin dal 1967.

Gli arabi temono che Obama annuncerà che i loro leader stanno progettando ulteriori concessioni, sotto forma di un’estesa normalizzazione dei rapporti con Israele, prima di un completo ritiro e di una pace complessiva.

Temono anche che il suo discorso porrà il veto sul diritto al ritorno dei palestinesi, che è sia un diritto individuale che collettivo in base alla legalità internazionale, ed appoggerà Israele in qualità di “Stato ebraico” invece che di Stato di tutti i cittadini che lo compongono.

Su una cosa vi è accordo: l’amministrazione Obama vuole vedere una pace complessiva incentrata su una soluzione a due Stati entro la fine del suo mandato.

Se è davvero così, i palestinesi e gli israeliani si trovano di fronte ad un quesito esistenziale: che tipo di Stato sia gli uni che gli altri potranno ottenere?

Sembra che la “Palestina” che si sta delineando avrà un territorio sottodimensionato con una sovradimensionata forza di sicurezza interna. Le dimensioni del territorio dipenderanno da quanto la leadership palestinese riuscirà a restringere la definizione israeliana dei principali blocchi di insediamenti (illegali) che vuole conservare, i cui confini si estendono ben al di là delle costruzioni esistenti.

Le dimensioni della popolazione dipenderanno dall’eventualità che i leader palestinesi continuino o meno ad appoggiare il diritto al ritorno dei palestinesi all’interno di quello che attualmente è Israele, e da quanti profughi ed esiliati essi riporteranno all’interno del nascente Stato palestinese.

Una questione di importanza cruciale sarà quale grado di sovranità riuscirà ad ottenere il futuro Stato palestinese. Esso avrà il pieno controllo sui suoi confini? Recentemente, ad esempio, Israele ha impedito all’inviato di Mahmoud Abbas di recarsi in Sudafrica per presenziare all’insediamento del nuovo presidente del paese. Ha anche introdotto una legge che rende ancora più difficile ai palestinesi della Cisgiordania entrare a Gerusalemme.

E se il nuovo Stato palestinese controllerà i propri confini, sarà costretto ad accettare il monitoraggio israeliano dietro le quinte di tutti i viaggiatori – un approccio inizialmente adottato a Gaza prima che Israele sigillasse i suoi confini?

Altre questioni riguardanti la sovranità includono il controllo dei registri della popolazione, delle risorse idriche, e dell’economia – tutti aspetti attualmente controllati da Israele.

In effetti, la realizzazione di uno Stato palestinese sovrano richiederebbe la rottura con gli accordi di Oslo, in cui i negoziatori palestinesi rinunciarono alla maggior parte degli aspetti della sovranità in quello che si supponeva fosse un periodo transitorio.

Siccome molti dei leader che negoziarono gli accordi di Oslo sono ancora al potere, le prospettive non sono promettenti – a meno che o Hamas o la società civile palestinese non bloccheranno uno Stato minimalista spingendo invece per una piena indipendenza.

Tuttavia, mentre Hamas è a favore di una soluzione a due Stati e potrebbe essere disposto ad accettare un compromesso pragmatico, molti leader della società civile palestinese – soprattutto nei sempre più influenti movimenti per il boicottaggio e per il diritto al ritorno – ora credono in una soluzione ad uno Stato, e non sembrano invece disposti ad investire energie nel progetto dei due Stati. A meno che non vi sarà un cambiamento nella strategia, uno Stato incompiuto potrebbe essere un esito prevedibile.

Quanto a Israele, il suo territorio coprirebbe oltre tre quarti del territorio della Palestina mandataria, molto più di quanto previsto dal piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947. Israele avrebbe dei confini definiti per la prima volta nella sua storia – cosa che significherebbe la fine del progetto sionista di riunire gli ebrei del mondo in quella che era una volta la PalestinaL’insistenza di Israele affinché venga riconosciuto come “Stato ebraico” ha l’obiettivo di mantenere vivo il sogno sionista nell’eventualità di una soluzione a due Stati. Uno Stato ebraico continuerebbe a dare la priorità ai propri cittadini ebrei oltre che a qualunque ebreo, ovunque nel mondo, che volesse la cittadinanza israeliana in base alla legge sul ritorno.

A questo progetto si oppongono ovviamente il milione e 450 mila palestinesi che sono cittadini di Israele, i quali sono tuttora cittadini di seconda classe. Essi godono inoltre dell’appoggio di un numero crescente di ebrei israeliani che credono in uguali diritti per tutti i cittadini di Israele.

Numerose questioni rappresenterebbero una sfida per uno Stato di Israele in pace. Vi sono divergenze fra gli ebrei stessi riguardo alla pretesa secondo cui la nazionalità israeliana equivarrebbe alla nazionalità ebraica. Molti ebrei continuano a considerare il giudaismo come una fede, e non come un’identità nazionale. E molti ebrei che mantengono legami familiari o culturali con Israele non si considerano come israeliani potenziali, ma piuttosto come cittadini del paese in cui vivono. Nel frattempo il dibattito su “chi sia un ebreo” riaffiora ripetutamente in Israele ed all’estero.

Fino a quando Israele poteva puntare il dito contro minacce esterne, era possibile porre queste questioni in secondo piano. Tuttavia, se e quando il processo di pace ora guidato dall’amministrazione Obama si avvicinerà ad un accordo finale, esse diventeranno questioni sempre più spinose e generatrici di divisioni per Israele.

Se Obama otterrà i due Stati, potrebbe scoprire di trovarsi all’inizio, invece che alla fine del percorso.

Nadia Hijab è Senior Fellow presso l’Institute for Palestine Studies, con sede a WashingtonOsservatorio Iraq

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