Le violazioni commesse a Gaza dagli israeliani erano premeditate




L'indagine della Polizia Militare sulla cattiva condotta di soldati israeliani durante la guerra di Gaza è stata chiusa all'inizio di questo mese dopo soli 11 giorni. L'IDF, l'Esercito di difesa israeliano, è stato costretto ad aprire l'indagine dopo che il quotidiano israeliano Haaretz il 19 marzo ha pubblicato testimonianze di soldati israeliani in base alle quali le truppe avrebbero preso di mira volontariamente civili palestinesi inermi e compiuto intenzionalmente atti di vandalismo contro le loro proprietà.Le singole testimonianze dei soldati sono state raccolte a un corso che si teneva all'accademia militare Rabin. I testimoni hanno rivelato che un'anziana è stata colpita intenzionalmente da una distanza di circa 90 metri, che un'altra donna e i suoi due bambini sono stati uccisi dopo che i soldati israeliani li avevano fatti uscire dalla loro casa attirandoli sulla linea di fuoco di un cecchino, e che i soldati avrebbero sgombrato le case sparando a vista su chiunque. Uno dei soldati ha affermato che le disinvolte regole di ingaggio a volte equivalevano a un “assassinio a sangue freddo”.In un comunicato stampa diffuso il 30 marzo, l'Avvocato Militare Generale di Brigata Avichai Mendelblit ha liquidato i racconti dei soldati sulla presunta cattiva condotta e sulle gravi violazioni delle regole di ingaggio dell'esercito definendoli “dicerie e non esperienze di prima mano”.
Le organizzazioni dei diritti umani B'Tselem, Yesh Din e Medici per i Diritti Umani hanno risposto con un comunicato congiunto affermando che “la chiusura sbrigativa dell'indagine fa sospettare che l'apertura stessa del caso costituisse semplicemente un tentativo dell'esercito di lavarsi le mani della responsabilità per ogni azione illegale commessa durante l'Operazione Piombo Fuso”.Secondo il comunicato reso pubblico dalle organizzazioni israeliane dei diritti umani, l'indagine interna ha trascurato le “accuse in base alle quali diversi ordini impartiti durante le operazioni militari erano illegali”. E, inoltre, “il Dipartimento Indagini Criminali della Polizia Miliare ha deciso di concentrarsi sui singoli soldati, scelta né efficace né affidabile”.In altre parole, concentrandosi sulla cattiva condotta di singoli soldati la Polizia Militare si è attenuta alla linea adottata dall'ex ministro della Difesa Ehud Barak secondo cui l'IDF avrebbe agito secondo “i più alti criteri morali ed etici”. Barak ha espresso questi commenti in un'intervista radiofonica dopo la pubblicazione delle testimonianze. “La risposta ai razzi Qassam è stata sproporzionata e le testimonianze dei soldati non fanno che dimostrare quanto brutale fosse la situazione sul campo”, ha dichiarato all'IPS l'esperta legale Valentina Azarov. Azarov lavora per HaMoked, il Centro per la Difesa dell'Individuo, un'associazione dei diritti umani con sede a Gerusalemme Est. “Le operazioni facevano parte della strategia militare chiamata 'dottrina Dahiyah', che consiste in uccisioni indiscriminate e nell'uso di una forza eccessiva e sproporzionata”, ha detto Azarov, specificando che questa era la sua opinione personale. Azarov ha indicato però varie fonti e articoli che dimostrano come l'Esercito di difesa israeliano stesse mettendo a punto una nuova strategia militare, ispirata al bombardamento di Dahiyah, il quartiere residenziale sciita di Beirut considerato una roccaforte di Hezbollah durante la seconda guerra del Libano nel 2006.

Dahiyah, Libano, 2006.
Una descrizione della dottrina è apparsa per la prima volta in un'intervista con il capo del Comando Settentrionale Gadi Eizencout pubblicata sul quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth il 3 ottobre 2008. Nell'intervista Eizencout conferma la volontà dell'esercito israeliano di applicare una strategia militare basata sull'esibizione di forza e l'attacco indiscriminato contro civili e siti non militari. “Quello che è accaduto al quartiere Dahiyah a Beirut nel 2006 accadrà a ogni villaggio che lancerà razzi contro Israele. Applicheremo una forza sproporzionata e infliggeremo enormi danni e distruzione. Dal nostro punto di vista questi non sono villaggi civili ma basi militari... la prossima guerra dovrà essere decisa rapidamente, aggressivamente e senza cercare l'approvazione internazionale”. E ancora: “questa non è una raccomandazione, è un piano ed è già stato approvato”. Questa dottrina militare fu in seguito confermata da due altri strateghi. Il Colonnello Gabriel scrisse un rapporto pubblicato il 2 ottobre 2008 dal think tank militare indipendente, l'Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale (INSS) di Tel Aviv, in cui diceva: “Con uno scoppio delle ostilità l'IDF dovrà agire prontamente, in maniera decisiva e con una forza sproporzionata alle azioni del nemico e alla minaccia che esso rappresenta. Una tale risposta mira a infliggere danni e a somministrare una punizione di proporzioni tali da rendere necessari lunghi e dispendiosi processi di ricostruzione”.
Un altro rapporto dell'INSS, scritto dal Generale Maggiore Giora Eiland, si spinge oltre. Eiland afferma che durante la seconda guerra del Libano Israele stava combattendo contro il nemico sbagliato (Hezbollah), e che nella prossima guerra avrebbe dovuto prendere di mira il governo e le infrastrutture civili.
In un articolo su Ynet, influente sito di informazione israeliano, il Generale Maggiore Eiland afferma: “L'unico aspetto positivo dell'ultimo conflitto è stato il relativo danno causato alla popolazione del Libano. La distruzione di migliaia di case di 'innocenti' ha permesso a Israele di conservare un po' del suo potere deterrente”.
“Emerge che non c'era la volontà di conformarsi ai principi basilari del diritto umanitario internazionale, come il principio della distinzione o l'obbligo di usare le giuste precauzioni prima di lanciare un attacco”, dice Azarov. “Le testimonianze dei soldati esemplificano inequivocabilmente il fatto che era questo l'obiettivo primario di tutta la guerra; era sistematico e basato su decisioni strategiche, e sarebbe dunque estremamente difficile giustificare l'affermazione secondo la quale certe azioni sono state frutto del caso”.
Alcuni articoli pubblicati da Haaretz pochi giorni dopo l'inizio della guerra avevano già rivelato come la Divisione per il Diritto Internazionale dell'IDF avesse imbrigliato la legislazione per colpire legittimamente i civili palestinesi. Il rapporto rivelava che il piano di bombardare la cerimonia di chiusura di un corso di polizia era stato oggetto di discussioni interne mesi prima dell'inizio della guerra. I difensori dei diritti umani israeliani stanno rinnovando la richiesta di un'indagine indipendente ed esaustiva sul modo in cui l'Esercito israeliano ha gestito il conflitto. “Non crediamo che l'esercito sia in grado di indagare su se stesso”, ha detto all'IPS Melanie Takefman, portavoce dell'Associazione per i Diritti Civili in Israele. “È evidente che c'è stato un uso sproporzionato della forza e crediamo che su questo si debba indagare, visto che viviamo in una società trasparente e democratica”.

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