Yehoshua:la corruzione di Israele figlia della guerra


Yehoshua:la corruzione di Israele figlia dell'occupazione e della guerra perenne . Auspicabile per Gerusalemme ,cuore pulsante dell'umanità, la condivisione comune di ebrei, cristiani, musulmani

In queste settimane Israele è stato al centro dell'attenzione più che per il conflitto con i palestinesi, per le storie di corruzione che hanno segnato i vertici dello Stato e della politica. Cosa c'è dietro questo fenomeno?«Non sta a me ergermi a giudice dei singoli casi né fare lezioni di morale. Ma in queste vicende c'è un dato di fondo che riconnette la questione della moralità pubblica al tema della pace…».Qual è questo dato connettivo?«È il fatto che uno Stato di diritto non può pensare di reggere alla lunga intrecciandosi con un regime di occupazione esercitato alle porte di casa. Vede, mai come oggi, di fronte a un'ondata di scandali, grandi e piccoli, che rischia di travolgere una intera leadership politica, si è rafforzata in me la convinzione che la pace con i palestinesi non è una concessione al "nemico" né un rispondere ad un astratto principio di giustizia: No, la pace con i palestinesi, e la fine del regime di occupazione nei Territori, è la condizione fondamentale per preservare il nostro sistema democratico e quei valori che ne sono a fondamento…».Vorrei restare su questo argomento. Perché la fine dell'occupazione può divenire un efficace antidoto contro il dilagare della corruzione?«Perché spazza via quella cultura dell'emergenza sulla base della quale c'è chi tende a mettere tra parentesi qualsiasi altra cosa. Noi non stiamo parlando di territori di oltremare, stiamo parlando di città palestinesi che sono a pochi chilometri da Gerusalemme o da Haifa. Stiamo parlando di funzionari, militari e civili, che operano nei territori occupati con una prassi che poco o nulla ha a che fare con uno Stato di diritto. Si confiscano terre palestinesi illegalmente, si permette che coloni che risiedono in insediamenti illegali possano compiere atti provocatori contro i palestinesi senza per questo incorrere nelle pene che analoghe azioni comporterebbero se commesse in Israele e contro altri cittadini israeliani. Questa logica colonialista e militarista rischia di trasformarsi in un cancro le cui metastasi aggrediscono il corpo sano di Israele. L'emergenzialismo diviene sinonimo di impunità; e l'impunità porta con sé la convinzione che tutto sia lecito, anche la corruzione. Come vede, la pace c'entra e come con la crisi di una classe dirigente».La pace. Oggi a Gerusalemme si terrà l'atteso vertice tra il premier israeliano Ehud Olmert, il presidente dell'Anp Abu Mazen e il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice. In che modo, a suo avviso, Olmert dovrebbe atteggiarsi nei confronti del nascente governo di unità nazionale palestinese?«Mettendolo alla prova. Verificandone i comportamenti più che le parole, a cominciare dal rigetto della violenza e del terrorismo. E concretizzando a sua volta quella proclamata volontà di riprendere un percorso negoziale senza pregiudiziali».Un percorso che dovrebbe riguardare anche lo sgombero di buona parte degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. E qui vorrei introdurre un altro argomento che ha fatto scalpore in Israele: l'appello da lei firmato assieme ad altri importanti scrittori israeliani e personalità politiche legate alla sinistra pacifista, a favore delle migliaia di coloni sgomberati due estati fa da Gaza. Nell'appello si accusa il governo di aver trascurato gli sfollati.«Purtroppo è così. E ciò è profondamente ingiusto, direi immorale. Lei sa che sono stato tra i più strenui sostenitori del ritiro da Gaza, riconoscendo ad Ariel Sharon il coraggio di aver compiuto questo atto che rompeva il tabù del Grande Israele. Quei coloni, cittadini israeliani, furono sgomberati per tutti noi, e adesso sono abbandonati al loro destino in case prefabbricate. La piaga della disoccupazione si fa sempre più lacerante, i vincoli sociali si allentano, la nostalgia per quanto hanno perduto brucia. Sento come mie quelle sofferenze, ne colgo la profonda ingiustizia, e per questo protesto».È ancora dell'idea che la pace passi per una separazione dei due popoli?«Ne sono sempre più convinto. Questa divisione fisica, territoriale, è il mezzo per porre fine al disegno della Grande Palestina come del Grande Israele. In questo quadro, un passo concreto potrebbe essere lo sgombero di insediamenti isolati e di avamposti illegali, senza tuttavia disimpegnare l'esercito. La sicurezza verrebbe garantita fino ad un accordo definitivo e al tempo stesso si attenuerebbe l'impatto della barriera difensiva e le sofferenze da essa apportate alla popolazione civile palestinese».La pace passa inevitabilmente per Gerusalemme. Città contesa, di nuovo al centro dell'attenzione per i lavori decisi da Israele sulla Spianata delle Moschee; decisione che ha scatenato le proteste del mondo arabo e musulmano. Qual è la sua opinione in merito?«Le due parti - israeliani e palestinesi - devono fare un passo indietro, liberandosi da quella bramosia di possesso assoluto su Gerusalemme. Ciò riguarda soprattutto il controllo sulla Città Vecchia.

Bisogna che Israele rinunci alla sua sovranità nell'area e che i palestinesi facciano lo stesso. Si tratta invece di chiedere all'Europa cristiana, più ancora che all'America cristiana, oltre agli israeliani e ai musulmani, non solo palestinesi, di gestire in comune la Città Vecchia. È in questa condivisione di Gerusalemme come bene dell'umanità che risiede la speranza di fare di questa affascinante città contesa, la Capitale del dialogo tra diversità che si riconoscono e si rispettano reciprocamente

dall'UNITA'

«Dopo la guerra dei sei giorni, non è più possibile separare del tutto fisicamente i due popoli. Israeliani e palestinesi resteranno legati anche se nascerà uno Stato palestinese (ed è ovvio che ciò accadrà), con la conseguente creazione di confini politici fra i due stati. Si tratta di un aspetto particolarmente difficile del contenzioso israeliano - palestinese, soprattutto a Gerusalemme. Per questo ci vorrà molto lavoro, molta saggezza, molta intelligenza e lavoro e volontà. Proviamo ad immaginare Roma e Parigi nella stessa via…».

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