Hersh: Cia contro destra Usa e Israeliana sull'Iran
copione già visto, non basta la sconfitta irachena..ora si punta allo scontro finale..con l'Iran
La denuncia del New Yorker: l’amministrazione Bush sta spingendo con la Cia come fece per l’Iraq. Si diffonde l’idea che la via d’uscita dal pantano di Baghdad passi per Tehran di Riccardo Staglianò La Repubblica, 20 novembre 2006 New York – Prove che l’Iran voglia l’atomica mancano ma per la Casa Bianca fa lo stesso. L’ipotesi militare non va abbandonata, avrebbe detto un mese fa il vicepresidente Dick Cheney, anche se vinceranno i democratici. E anche se la Cia, in un rapporto segreto rivelato dal New Yorker, non riesce a trovare alcuna “prova conclusiva” che Tehran stia davvero portando avanti un programma militare oltre a quello covile dichiarato. “Nessuna quantità significativa di radioattività è stata riscontrata” si legge nell’inchiesta di Seymour Hersh, autore di celebri scoop. E cita fonti dell’intelligence che gli raccontano in forma anonima come tutti i sistemi di rilevamento piazzati nei dintorni delle centrali iraniane da agenti americani e israeliani diano risposta negativa. Non ci sarebbe quella contaminazione normale invece se stessero arricchendo uranio per farne armi. La differenza, insomma, è quella tra un arricchimento a livello 3,5 per cento (quello che è stato riscontrato) e quello invece buono per la bomba, cioè “weapons grade”, intorno al 90 per cento. E che ha fatto calcolare ad esperti indipendenti in vari anni (tra 5 e 10) il tempo che servirebbe per colmare questo gap tecnologico. L’Amministrazione Bush, spiega ancora il reporter, però non ne vuole sapere. Il rapporto della Cia li ha indispettiti. “Se non si trovano le prove vorrà dire che sono stati bravi a nasconderle” è l’argomento che circola a Washington e che suona minacciosamente simile a quello usato con le armi di distruzione di massa di Saddam. Un’analogia non solo dialettica. Nel circolo dei consiglieri “falchi” del presidente sono convinti, dice una fonte, “che la via d’uscita dall’Iraq passi per l’Iran”. Che un successo contro Ahmadinejad farebbe dimenticare il fallimento di Baghdad. Perché “Cheney e i suoi amici non cercano una ‘pistola fumante’ ma qualcosa che li conforti nel loro obiettivo che è quello di compiere una missione”. La Casa Bianca nega tutto e contrattacca: “È una truffa piena di inesattezze”. E se la prende con il giornalista, inflessibile fustigatore del governo: “Ha cercato ancora una volta di creare una storia per soddisfare le sue opinioni estremiste”. I fatti dimostrano però che Hersh ha sin qui sempre avuto ragione. A guardarsi intorno, d’altronde, l’atmosfera che si respira è quella ideologica denunciata nel pezzo. Ieri il progressista Los Angeles Times ospitava l’editoriale di Joshua Muravchick, ricercatore del neocon American Enterprise Institute. Titolo: “Bombardare l’Iran”. Inizia così: “Sono quattro anni che il loro programma nucleare è stato scoperto e la strada della diplomazia e delle sanzioni non ha portato da nessuna parte”. Non resta quindi altra via che quella militare, colpire prima che lo possano fare loro. Una posizione largamente condivisa dai circoli neoconservatori che, nonostante la batosta elettorale e alcuni parziali ripensamenti, non hanno intenzione di dichiararsi sconfitti. E il cambio di regime a Tehran è da molti di loro visto come l’occasione per il riscatto. In questa prospettiva sta cercando uffici a Washington l’Iran Enterprise Institute, appeno costituito, che già dalla ragione sociale tradisce la totale sudditanza nei confronti del think tank ultraconservatore. Lo dirigerà Amir Abbas Fakhravar, si legge sul mensile American Prospect, un trentunenne fuoriuscito la cui candidatura è stata appoggiata da Richard Perle, lo stesso che ha confessato a Variety che forse non rifarebbe la guerra all’Iraq. Ne fa parte Reza Pahlavi, il figlio dello scià, vari iraniani della diaspora e MIchael Ledeen, già allievo di De Felice in Italia, coinvolto nello scandalo Iran-Contra e che da sempre traffica per rovesciare i mullah. Anche lui ricercatore dell’American Enterprise, istituto gemello. E ospite fisso della National Review Online, lettura di riferimento per i falchi della Casa Bianca. vedere articolo originario in http://www.newyorker.com/fact/content/articles/061127fa_fact
Intervista completa qui da brivido
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