MICHAEL SFARD - I COLONI ISRAELIANI VIOLENTI INIZIANO AD ASSOMIGLIARE AL KU KLUX KLAN

Tradotto da

Beniamino Benjio Rocchetto




Com'è possibile che questo nuovo antisemitismo anti-palestinese goda del sostegno e dell'appoggio dello Stato ebraico?
Di Michael Sfard - 10 febbraio 2022
Alla fine di giugno 2018, Yousef Azzeh, un palestinese del quartiere di Tel Rumeida a Hebron, è uscito per la sua sessione di allenamento quotidiana. Azzeh, che all'epoca aveva 22 anni, era considerato uno dei più promettenti giocatori di calcio palestinese e aveva persino giocato nella nazionale giovanile. Nelle partite internazionali giocava con la maglia numero 18.
Poiché non ci sono strutture di allenamento per i palestinesi nella Hebron occupata, Azzeh svolgeva il suo allenamento quotidiano di due ore per strada. Gli allenamenti includevano la corsa con i pesi attaccati alle braccia e alle gambe, una serie di esercizi di potenza, flessioni, addominali e poi corsa senza pesi.
I soldati israeliani di stanza a Hebron conoscevano il calciatore di Tel Rumeida e alcuni di loro, mi disse, lo incoraggiarono mentre si allenava. Tuttavia, il tentativo di creare la normalità nel posto più anomalo del mondo era destinato al fallimento e, in quella giornata di inizio estate, la sessione di allenamento ebbe una svolta negativa. Si presentò un gruppo di giovani coloni israeliani dell'insediamento della città, e mentre Azzeh correva dall'altro lato della strada, iniziarono a gridargli contro e offenderlo, gli presero i pesi, che aveva lasciato per terra, e li gettarono in un bidone della spazzatura.
Notando cosa stava succedendo, Azzeh gridò loro di restituire la sua attrezzatura e chiese ad un soldato li vicino di intervenire. In pochi secondi la situazione degenerò. Uno dei coloni gridò ad Azzeh che la strada appartiene agli ebrei e che doveva andare ad allenarsi altrove. Qualcuno lanciò una pietra, che lo colpì alla caviglia ferendolo. Un terzo colono lo ha aggredito con uno spray al peperoncino. Il padre di quest'ultimo, sentendo le grida dalla strada, si è precipitato sul posto, ha armato il fucile e lo ha puntato contro Azzeh. Una donna palestinese che ha cercato di documentare l'evento è stata presa a pugni e il suo cellulare è stato distrutto; uno dei giovani coloni le strappò l'hijab dalla testa.
Un anno dopo quell'evento, ero seduto in un caffè di Tel Aviv, a rivedere le bozze di appello che il mio stagista aveva scritto contro le decisioni prese dalla polizia della Cisgiordania (chiamato distretto di Giudea e Samaria in ebraico). In qualità di consulente legale dell'organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, il mio studio legale ha rappresentato per molti anni i palestinesi che sono stati danneggiati dalla violenza dei coloni, come servizio che l'organizzazione fornisce alle vittime di tali abusi.
Abbiamo trattato molte centinaia di casi nel corso degli anni. Le statistiche relative alla gestione da parte della polizia delle denunce dei palestinesi sono scoraggianti. Nel corso di un decennio e mezzo, costantemente ogni anno, il 92% delle denunce è stato archiviato senza alcun atto d'accusa. Di queste, in otto casi su 10, l'archiviazione è stata effettuata in circostanze che attestano un fallimento investigativo. I fallimenti riguardano il basilare lavoro di polizia: non raccogliere prove e dichiarazioni da testimoni oculari, accettare gli alibi degli indagati senza verificarli, rifiuto cronico di perquisire le case dei sospettati, riluttanza a compiere anche il minimo sforzo per individuare i sospetti anche quando esistono dettagli identificativi, documentazione incurante della scena e una totale mancanza di formazione della polizia. Non c'è davvero bisogno di essere Sherlock Holmes per capire l'importanza di tali azioni investigative.
Nei casi in cui un'indagine supplementare è ancora potenzialmente possibile, presentiamo un ricorso nella speranza che qualcuno nel sistema giuridico se ne interessi effettivamente. Nel loro linguaggio legalistico, solitamente limitato, le centinaia di appelli che abbiamo presentato nel corso degli anni sono un archivio esasperante di violenze umilianti e brutale razzismo che incontrano un muro di indifferenza sistemica da parte delle autorità. E ora, a Tel Aviv, la contrapposizione tra i contenuti degli appelli che stavo leggendo e l'atmosfera allegra e mondana del caffè non poteva essere più estrema.
Tra le bozze degli appelli che spuntavano sullo schermo del mio portatile c'era quella dell'archiviazione della denuncia di Yousef Azzeh. Come di consueto, gli agenti di polizia che sono arrivati ​​sulla scena hanno arrestato Azzeh, non i suoi aggressori. È stato interrogato perché sospettato di aver aggredito i coloni, che non sono stati interrogati affatto. La sua denuncia per la violenza e il furto dei suoi pesi subiti è stata totalmente ignorata. Mentre leggevo il fascicolo, comprensivo della testimonianza del "sospettato", la dichiarazione del soldato, che con rara onestà ha affermato che gli israeliani avevano fomentato la provocazione e istigato la violenza, e il rapporto del poliziotto giunto sulla scena e ha visto che Azzeh era stato effettivamente ferito a una gamba (anche se la fotografia che ha scattato era misteriosamente scomparsa dal fascicolo), ho avuto la sensazione crescente di aver già sentito questo nome: Yousef Azzeh. Che questa non era la prima volta che lo rappresentavo. Yousef Azzeh, Yousef Azzeh, ovviamente! Il piccolo Yousef. Il suo nome è emerso dalle sinapsi del mio cervello, ha attraversato le centinaia di palestinesi le cui storie avevo incontrato nel corso degli anni e ho realizzato chi fosse. Mi sono ricordato: Yesh Din e io avevamo gestito un caso che lo coinvolgeva 14 anni prima.
DISABILE DA FOLGORAZIONE
Hisham Azzeh aprì la porta con un ampio sorriso. Mi sono chiesto come qualcuno nella sua situazione potesse ancora sorridere. Da lontano, la casa della famiglia Azzeh, arroccata sul pendio di una collina, sembrava piuttosto carina. Una casa indipendente in pietra immersa in un giardino, di uno stile con il quale sono abbellite molte residenze di Gerusalemme ed Hebron. Ma da vicino, la cupezza si fa sentire. Il vigneto che circonda la casa come un recinto sembrava secco e senza vita. Mi ci è voluto un minuto per capirne il motivo: qualcuno aveva segato tutti i tronchi alla base del terreno. Era sospeso nell'aria intorno alla casa come una presenza spettrale. Sopra il giardino, tra il pendio della collina e il tetto della casa, la famiglia aveva teso un telo di plastica che oscurava il cielo. Sul telo c'erano mucchi di immondizia e pannolini usati, che, ha detto Hisham, erano stati gettati lì dai suoi vicini coloni che vivevano in cima alla collina. Il telo di plastica aveva lo scopo di impedire che i rifiuti finissero in giardino.
Hisham stesso è disabile. Ha un braccio paralizzato, a seguito di un evento verificatosi dopo il massacro perpetrato da Baruch Goldstein contro i fedeli musulmani nella Tomba dei Patriarchi della città nel 1994. Un paio di giorni dopo l'incidente, i soldati hanno arrestato casualmente Hisham per strada e gli ordinarono di salire su di un lampione e rimuovere una bandiera dell'OLP che era stata appesa lì dai giovani locali. È rimasto folgorato e da allora il suo braccio è appeso mollemente al suo fianco. Poiché aveva lavorato come sarto, quel giorno perse anche la sua fonte di reddito.
Ora, più di un decennio dopo, Hisham ci faceva accomodare in soggiorno, dove Yousef, suo figlio di 9 anni, stava aspettando. Il motivo della nostra visita era che una donna che viveva in una delle case mobili nell'insediamento che li sovrastava a Tel Rumeida aveva aggredito Yousef e gli aveva rotto i denti. Con l'aiuto di Yesh Din, la famiglia ha presentato una denuncia alla polizia israeliana. In quell'occasione, la polizia ha effettivamente aperto un'indagine, ma i loro errori investigativi alla fine (anche se all'epoca non lo sapevamo) avrebbero portato all'assoluzione della sospettata. "L'indecisione e le difficoltà", ha scritto il giudice del tribunale di Gerusalemme che ha ascoltato il caso, "avrebbero potuto essere evitate se la polizia avesse operato secondo la procedura e avesse condotto immediatamente confronti di identificazione, in presenza o tramite fotografie, appena accaduto il fatto".
Erano passati quattordici anni, il piccolo Yousef era diventato un giocatore della squadra di calcio palestinese, e stava ancora subendo molestie dai coloni nel completo disinteresse delle forze dell'ordine israeliane.
IN STILE KU KLUX KLAN
I reati commessi da cittadini israeliani contro i palestinesi e le loro proprietà in Cisgiordania, che di recente hanno fatto notizia in Israele solo a causa di attacchi rivolti anche ad attivisti per i diritti umani ebrei-israeliani venuti ad aiutare i palestinesi, non sono solo un fenomeno criminale. Sono carichi di implicazioni strategiche e costituiscono effettivamente uno strumento a beneficio di Israele in quanto apporta cambiamenti unilaterali politicamente significativi volti a consolidare il suo dominio nel territorio conquistato nel 1967. I coloni commettono reati ogni giorno, in tutta la Cisgiordania, e cacciano sistematicamente i palestinesi dal loro spazio vitale. Squadre di coloni si impossessano della terra con la forza, sradicando alberi da frutto, picchiando gli agricoltori palestinesi e terrorizzando intere comunità. Nelle aree che invadono, i coloni costruiscono o piantano illegalmente stabilendo una presenza criminale permanente. Questo fenomeno si verifica principalmente nelle zone rurali, ma anche a Hebron e Gerusalemme.
Un osservatore potrebbe delimitare le linee di presenza dei coloni in base alle aree edificate degli insediamenti o alle tangenziali che li circondano, ma questo sarebbe un quadro parziale e fuorviante. Per capire la realtà territoriale è necessario parlare con i contadini palestinesi. Indicheranno l'orizzonte e ci diranno che se attraversano quel fossato o vanno oltre quel grande albero, in un'area a cui un tempo avevano libero accesso, rischiano di essere attaccati dai coloni. Capiremo che le vere linee di confine sono invisibili. Sono le linee di una violenza costantemente mutevoli che stanno costringendo i palestinesi in enclavi sempre più ristrette. L'appezzamento di terreno che ieri era l'arena di battaglia viene oggi sottratto e domani l'appezzamento adiacente, più vicino alle case del villaggio, diventerà il nuovo scenario di lotta.
I dati raccolti da Yesh Din durante i 17 anni di attività dell'organizzazione indicano un processo tanto costante quanto straziante: dalla spirale della violenza nelle aree aperte ai villaggi palestinesi, e negli ultimi anni anche nelle singole abitazioni, mentre bande di coloni effettuano incursioni nel cuore della notte, attaccando in stile Ku Klux Klan. Lanciano pietre, rompono finestre e appiccano incendi. Dei quasi 1.500 casi che abbiamo trattato in questi anni, quasi la metà riguardava reati di danni alla proprietà, un terzo erano reati di violenza e quasi tutto il resto, il 12%, consisteva in occupazioni di terreni. E queste sono solo le denunce che sono arrivate a Yesh Din. Ci sono senza dubbio migliaia di casi che non ci sono pervenuti.
Vergognosamente, l'atteggiamento delle autorità israeliane, tutte le autorità, sotto tutti i governi, nei confronti di questa criminalità razzista e ideologica è puramente strumentale. Qualcosa di simile all'atteggiamento del governo israeliano nei confronti della NSO e del suo programma di sorveglianza Pegasus, che, secondo le indagini giornalistiche, è stato venduto a despoti e dittature in tutto il mondo, che li hanno usati nelle loro guerre contro giornalisti, dissidenti e attivisti per i diritti umani. Come con Pegasus, i governi israeliani a volte collaborano con la criminalità dei coloni e la consentono, sia segretamente che apertamente, sia ignorandola, e talvolta, se il danno alle pubbliche relazioni è difficile da contenere, fingendosi dispiaciuti, ed emettendo condanne e promettendo di affrontare la questione.
Infatti, le prove di come il governo israeliano favorisca la criminalità dei coloni sono ampie e inequivocabili. Un elenco parziale include una politica di chiusura delle aree in cui c'è "attrito" (un nuovo termine per gli assalti violenti dei coloni ai contadini palestinesi), con il risultato che i criminali negli insediamenti ottengono ciò che vogliono e la possibilità dei palestinesi di coltivare la loro terra è limitata o negata del tutto. Poi c'è la pratica diffusa e ben documentata dei soldati delle Forze di Difesa Israeliane che non intervengono di fronte all'illegalità dei coloni, violando così il chiaro obbligo legale che grava su di loro di proteggere coloro che sono sotto attacco e di arrestare gli assalitori. La pratica ha le sue radici dall'alto, con gli ufficiali dell'IDF, che potrebbero non aver paura dell'Iran ma tremano al pensiero che i leader dei coloni eserciteranno il loro peso politico per danneggiare le loro prospettive di promozione. I comandanti di brigata mi hanno detto personalmente che hanno dato istruzioni alle loro truppe di lasciare i coloni alla polizia, anche se sanno che quando arriverà la polizia, il reato sarà stato commesso e gli autori saranno fuggiti.
Un altro esempio di collaborazione governativa con i coloni è la legalizzazione retroattiva della massiccia costruzione illegale da parte dei coloni, inclusa l'espropriazione di terreni a tale scopo (mediante una procedura definita, eufemisticamente, "dichiarazione di terra statale"). Negli ultimi anni, l'esercito, agendo su volere del potere politico, ha "kosherizzato" (legalizzato) dozzine di avamposti e quartieri dei coloni, tutti costruiti senza permessi di costruzione e in violazione dei piani regolatori in vigore. Il chiaro messaggio che questo invia ai coloni è che la legge che limita l'acquisizione di terra e la costruzione su di essa è pensata per i palestinesi, non per loro, e che se costruiscono, riceveranno legittimità retroattiva, e anche senza permessi; nessuno agirà per rimuoverli e l'esercito li proteggerà e consentirà la loro presenza illegale nel sito. Un altro elemento è l'accettazione del basso livello professionale delle forze dell'ordine che dovrebbero combattere contro la criminalità dei coloni, la polizia della Cisgiordania è di fatto una specie di spaventapasseri senza vita, una forza di cartone destinata solo ai servizi fotografici. Inoltre, gli avamposti e le fattorie ebraici da cui provengono i peggiori attacchi contro le comunità palestinesi ricevono sostegno politico e finanziamenti pubblici.
Ecco come si ottiene la sinergia nel lavoro di espropriazione e giudaizzazione della Cisgiordania: il governo di Israele fa ciò che può in modo ordinato, ufficiale e aperto entro i limiti diplomatici e politici a cui deve attenersi, e i coloni illegali riempiono le lacune. Come una famiglia criminale i cui capi conservano una facciata rispettabile mentre i suoi soldati saccheggiano e feriscono coloro che si frappongono. La criminalità dei coloni impedisce ai palestinesi l'accesso e l'uso delle terre e in alcune regioni sta producendo un silenzioso esodo della popolazione, di intere famiglie che si trasferiscono in altri luoghi alla cerca di un sostentamento alternativo o una vita più sicura, e quindi liberano la terra che il governo a sua volta assegna per lo sviluppo ebraico.
Prendiamo, ad esempio, il caso dell'avamposto di Evyatar. Nel maggio 2021, un gran numero di famiglie di coloni ha invaso la terra che appartiene municipalmente al villaggio palestinese di Beita. Hanno costruito nuove strade, installato infrastrutture e portato case mobili. Tutte le loro azioni, fino all'ultima, erano illegali e mancavano dei permessi necessari. (Tutti gli insediamenti sono illegali ai sensi del diritto internazionale, ma questo è illegale anche ai sensi del diritto israeliano.) Nove abitanti del villaggio sono stati uccisi fino ad oggi dall'esercito durante le manifestazioni settimanali organizzate dagli abitanti di Beita contro l'avamposto di insediamento. Il 2 luglio 2021 i residenti dell'avamposto se ne sono andati, in accordo con l'impegno del Ministro della Difesa di esaminare lo status del terreno; nel caso in cui non fosse risultato di proprietà privata palestinese, sarebbe stata istituita una yeshivah (scuola religiosa ebraica) sul sito, che in futuro sarebbe diventata un insediamento civile. Recentemente, tuttavia, il procuratore generale uscente, Avichai Mendelblit, ha approvato un piano per la dichiarazione di terra demaniale e la pianificazione di un insediamento nel sito, facendosi gioco dello Stato di diritto e soprattutto dimostrando che il governo e i trasgressori sono complici del crimine. Una volta attuato il piano, si creerà una continuità fisica tra una serie di insediamenti nell'area, nel mezzo della discontinuità topografica tra Beita e i suoi due villaggi più vicini, Yitma e Kablan.
"ONEG SHABBAT"
Ci sono luoghi in Cisgiordania dove gli attacchi dei coloni contro i loro vicini sono diventati un passatempo locale. Ci sono posti da cui ogni sabato i filmati della violenza dei coloni si riversano sul mio cellulare. Infatti, l'impressione è che ci siano insediamenti in cui la tradizione vuole che dopo i servizi mattutini dello Shabbat, i fedeli della sezione maschile si sono prefissati di compiere il "mitzvah" (comandamento) di lanciare pietre contro i palestinesi del villaggio vicino. Ogni gruppo di persone che possiedono la cittadinanza israeliana, godono dei diritti civili associati all'essere cittadini, esercitano il potere politico e hanno un esercito che li protegge e li sostiene, intraprende una missione per rubare il proverbiale agnello del povero (Samuele 2/12): devastare il misero sostentamento degli uomini e delle donne di una comunità a cui per 55 anni sono stati negati i diritti civili, che non votano e non possono essere eletti, e che non hanno rappresentanza in nessuno dei centri di potere dove il loro destino viene deciso. Persone la cui sicurezza personale dipende dalla disponibilità di soldati e agenti di polizia, fratelli e sorelle degli aggressori, a difenderli da coloro per i quali il teppismo razzista è un "Oneg Shabbat" (Gioia del Sabato).
Ogni attivista per i diritti umani in Cisgiordania sa che oltre ai fine settimana, anche le vacanze scolastiche sono tempi duri. Per alcuni giovani coloni, sradicare gli ulivi e rubare i raccolti degli agricoltori palestinesi è ciò che guardare YouTube e caricare video su TikTok è per gli adolescenti in luoghi normali.
Guardo questi giovani che sono avvelenati dal razzismo e dall'odio, e ad alcuni anziani, che sono i loro mentori spirituali e instillano in loro nozioni tossiche di supremazia ebraica, e vedo tutti gli antisemiti che hanno perseguitato i loro antenati e i miei attraverso le generazioni. Ci sono momenti in cui i loro volti si scambiano nella mia mente con i volti di coloro che hanno espulso gli ebrei dalla Spagna, con gli autori dei massacri nelle steppe di Russia e Ucraina, con gli incendiari di sinagoghe in decine di altri luoghi in tutto il mondo nel corso di centinaia di anni. Come abbiamo prodotto tra noi le repliche dei nostri persecutori? Cosa ci è successo dopo essere stati liberati dai nostri oppressori, tanto da fare oggi agli altri ciò che è stato fatto a noi? E come mai questo nuovo antisemitismo gode del sostegno e dell'appoggio del governo dello Stato ebraico?
In conformità con i termini dell'accordo sul protocollo di Hebron del 1997, Hebron è una città divisa. La sezione in cui si trovano gli insediamenti ebraici, con 34.000 palestinesi e circa 800 israeliani, è sotto il pieno controllo israeliano. La violenza dei coloni e il sostegno dell'IDF al loro controllo dell'area è una delle ragioni della migrazione dei palestinesi da questa parte della città, in particolare dalle strade adiacenti agli insediamenti. La famiglia Azzeh è una delle famiglie coraggiose che, nonostante le difficoltà, sono rimaste nella loro casa di Tel Rumeida.
Il ricorso che abbiamo presentato per Yousef ha comportato la riapertura delle indagini sull'aggressione da lui subita mentre si stava allenando, ma il fascicolo di recente è stato nuovamente archiviato, per "impossibilità a identificare gli autori". Dopo anni di cure mediche, Hisham non lavora ancora. Yousef è diventato il principale sostegno della famiglia e, per questo, ha dovuto dismettere la maglia numero 18 e rinunciare al sogno della sua vita di giocare per la nazionale palestinese.

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