“La sposa cadavere”, un racconto ebraico settecentesco


Tim Burton non c’entra questa volta. Ora parliamo di Rabbi Isaac Luria, un qabbalista del 1500, vero protagonista della vicenda. Tra il macabro e il romantico… in salsa jewish


A spasso fuori città, un giovanotto svagato e poco avveduto incappa in un’escrescenza naturale che spunta dal terreno, simile a un dito: la tentazione di infilarci un anello di fidanzamento è inevitabile. Se non che, scoprirà il nostro, quell’escrescenza naturale simile a un dito altro non è che proprio un dito. Per di più, un dito appartenente a un’agguerrita signorina infera che sarà ben lieta di fidanzarsi con lui. È facile riconoscere in queste poche righe l’incipit della vicenda al centro della pellicola d’animazione La sposa cadavere, firmata dal celebre regista macabro-romantico Tim Burton (2005). Ciò che forse è meno noto è che tale vicenda prende ispirazione da una storia di origine ebraica.

Lo scheletro narrativo, con dito e anello, si trova infatti in un racconto trasmesso in un’opera del XVIII secolo dal titolo Shivhe ha-Ari (Lodi del Leone), dove si raccolgono avvenimenti miracolosi sulla vita di rabbi Isaac Luria, celebre cabbalista vissuto nella Palestina ottomana, e in particolare nella città di Safed, nel Cinquecento. Agli insegnamenti di Luria – trasmessi in forma scritta dai suoi allievi – si deve una consistente riforma del pensiero mistico ebraico, al punto da denominare il movimento intellettuale da qui sorto “qabbalah luriana”. Attorno a Isaac Luria fiorì ben presto un nutrito corpus di leggende poi cristallizzatesi nei secoli successivi in diverse opere letterarie, tra cui ad esempio le Lodi del Leone (dove “leone”, in ebraico ari, è l’acronimo di Elohi Rabbi Isaac, “il divino rabbi Isaac”). Grazie a questi testi veniamo a conoscenza di una realtà religiosa e culturale popolata di figure carismatiche, sia maschili che femminili, dedite alla speculazione teosofica e alla pratica ascetica. Ma non solo umani sovrumani: anche le entità sovrannaturali, come i demoni, giocano un importante ruolo nel consorzio civile.

È il caso dell’episodio della proto-sposa cadavere. Diversamente dal film burtoniano, dove la protagonista è una fanciulla deceduta prima di consumare le nozze, il racconto ebraico vede in azione una donna-demonio che si confonde nella comunità. Un’ulteriore differenza tra le due versioni sta nel momento risolutivo della storia: se la Emily di Tim Burton si sacrifica per il bene del maldestro sposo Victor, l’anonima demoniessa non molla la presa sull’altrettanto anonimo fidanzato, ingaggiando una discussione legale con il rabbino capo di Safed. Ecco la traduzione integrale del bizzarro racconto, a tratti macabro, a tratti sardonico:

Accadde a Safed che un gruppo di giovanotti uscì a fare una passeggiata fuori città. Mentre se ne stavano seduti in compagnia, si accorsero di un dito che affiorava dal terreno. Uno dei ragazzi disse per scherzo: “Chi è che ha il coraggio di infilare a quel dito il proprio anello di fidanzamento?” Un altro si alzò e infilò l’anello al dito, che in quel momento se ne sparì nel sottosuolo con tanto di anello. I giovani, tutti spaventati, ripresero la strada per la città.
Col passare del tempo l’accaduto finì dimenticato. Dopo un po’, quello stesso ragazzo si combinò con una fanciulla. Quando l’ora delle nozze era ormai vicina, la comunità si riunì per conferirgli le dovute benedizioni. Ecco però che una donna si mise a strillare: “Che problema ci sarebbe adesso con me che questo ragazzo vuole sposare un’altra dopo essersi già fidanzato con la sottoscritta?! Ora, se organizzate un processo come Iddio comanda, bene. Altrimenti, ammazzo sia sposino che sposina. Guardate ho anche l’anello al dito!” e mostrò a tutti gli astanti l’anello con su inciso il nome del promesso sposo. Il padre dell’altra ragazza prese la figlia e se ne tornò a casa: il giorno di festa si era inesorabilmente guastato. La donna rimase finalmente sola con il giovane.
Il rabbino, però, mandò a cercare il ragazzo per fargli un discorsetto in privato: “Vuoi davvero sposare quella specie di demonio? In caso, non temere, ci penso io a salvarti da lei.” Il giovanotto rispose: “Ma chi è quel pazzo che vuole sposare una donna-demonio?! Cosa ho fatto per meritare una cosa del genere… Se solo quel giorno mi fossi rotto una gamba e fossi rimasto a casa!” Il rabbi gli disse: “Allora vai a dire al funzionario che convochi la demoniessa a giudizio”.
Detto funzionario andò dunque a cercare la donna, setacciando tutta la casa, ma senza trovarne traccia. Di ritorno dal rabbi comunicò: “Non l’ho trovata”, ma il rabbi gli confermò: “Fidati, è in casa ma si nasconde perché ha paura. Tu vai di nuovo, arriva fino alle scale e annunciati come il messo del rabbi. E falle notare che se viene bene, ma se non viene scomunichiamo lei e la sua famiglia tutta”. Così fece e, alla fine, la donna scese giù e lo seguì fino al cospetto del rabbino. Questi le disse: “Ma in fondo cos’avete in comune tu e questo ragazzo…? Suvvia, perché non ti unisci in matrimonio con un demonio come te?” Lei rispose: “Ma questa è la legge: non posso mica sposare un altro dopo che mi sono fidanzata con lui!” Le disse: “Ma quel fidanzamento non è valido… lui non ti ha neanche vista in faccia, non sapeva che eri una demoniessa… ti ha infilato l’anello solo per scherzo…” E anche su questo la donna aveva da ribattere, punto per punto, finché il rabbino non la riprese: “Guarda, anche se è contro la legge, farò in modo che lui ti consegni una lettera di divorzio. E se non vuoi accettarla, sarò costretto a bandire te con tutte le tue cose!”. Mandò quindi a chiamare uno scriba per fargli compilare la lettera di divorzio. Lettera che lei accettò, eppure il rabbi la scomunicò lo stesso, di modo che non potesse più arrecare danno né al promesso sposo né alla promessa sposa. La donna fu costretta ad andarsene, mentre il rabbino mandò a chiamare il padre della sposa per riunire i due giovani in fidanzamento. E fu così che andò.

Non c’è che dire: in entrambi gli intrecci, con il benestare compiaciuto dei rabbini di Safed o con quello rassegnato di Burton, il lieto fine sembra essere negato alla sventurata proprietaria del dito. Morale della favola: la prossima volta, all’ennesima promessa sbadata, anziché l’anulare ricordiamoci di far spuntare il dito medio.
Collaboratrice


Ilaria Briata è dottore di ricerca in Lingua e cultura ebraica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha pubblicato con Paideia Editrice Due trattati rabbinici di galateo. Derek Eres Rabbah e Derek Eres Zuta. Ha collaborato con il progetto E.S.THE.R dell’Università di Verona sul teatro degli ebrei sefarditi in Italia. Clericus vagans, non smette di setacciare l’Europa e il Mediterraneo alla ricerca di cose bizzarre e dimenticate, ebraiche e non, ma soprattutto ebraiche.


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