La Nobel Maguire: "Israele non restituisce i corpi dei palestinesi? Disumano"


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 “Quando non si ha pietà neanche dei morti, quando come monito si decide di non restituire i loro corpi alle famiglie, allora vuol dire che a morire in Terrasanta è l’umanità”.

Ad affermarlo in esclusiva a Globalist è Mairead Corrigan Maguire, Premio Nobel per la Pace 1976.  Nata a Belfast da famiglia cattolica, Maguire, decise di dedicarsi alla pace nel suo paese dopo che i tre figli della sorella furono investiti e uccisi da un’auto di cui aveva perso il controllo un membro dell’esercito repubblicano irlandese, colpito poco prima a morte da un soldato inglese.
A seguito di quella tragedia la sorella si tolse la vita e Mairead fondò con Betty William, con cui ha condiviso il Nobel, il movimento “Donne per la pace”. Maguire è stata anche presidente della Nobel Women’s Initiative, la fondazione che unisce le donne insignite di questo prestigioso riconoscimento. Maguire conosce molto bene le drammatiche condizioni di vita dei palestinesi in Cisgiordania e, soprattutto, nella Striscia di Gaza. La notizia è che Israele ha deciso di non restituire alle famiglie i resti dei palestinesi uccisi negli scontri con le forze dello stato ebraico.
Il ministro della Difesa e capo della formazione centrista Blu e Bianco, Benny Gantz, ha accolto con favore il via libera dato al suo piano di non "restituire (alle famiglie) i corpi dei terroristi". Fino ad ora il governo consentiva a Israele di conservare soltanto i resti dei combattenti di Hamas, il movimento integralista islamico al potere nella Striscia di Gaza, uccisi nei combattimenti che avevano provocato vittime israeliane. La nuova direttiva estende questa misura ai corpi di tutti i palestinesi, indipendentemente dalla loro affiliazione, uccisi negli scontri con Israele, anche se questi scontri non hanno provocato vittime israeliane, hanno spiegato le autorità.
“Questa decisione – commenta la Premio Nobel per la Pace – va ben oltre il diritto di difesa invocato e praticato da Israele. Non restituire alle loro famiglie i corpi di palestinesi uccisi negli scontri con Israele, è qualcosa di disumano. Anche quando si è in guerra, esistono dei codici di comportamento, normati dalla Convenzione di Ginevra, che riguarda la restituzione dei nemici uccisi. Qui siamo di fronte all’ennesima punizione collettiva che Israele infligge ai palestinesi”. Pietà l’è morta Questa nuova misura fa parte del "nostro impegno a riportare a casa i nostri" ragazzi, ha detto Gantz, riferendosi ai due ostaggi israeliani e ai due corpi di israeliani nelle mani di Hamas, considerati merce di scambio per garantire il rilascio dei detenuti palestinesi o il rimpatrio delle salme. "Consiglio ai nostri nemici di afferrare e interiorizzare questo messaggio", ha aggiunto Gantz, le cui osservazioni sono state criticate dall'ong israeliana Adalah. 
“La restituzione dei cadaveri dei nemici uccisi è un dovere morale che riguarda tutti, anche Hamas – dice Maguire -. Sono da sempre fautrice della disobbedienza civile e della resistenza non violenta. Ho vissuto gli anni terribili della guerra in Ulster e la mia famiglia ha pagato un prezzo pesantissimo in quel conflitto. Ho imparato allora la potenza del dialogo, dell’unirsi per chiedere pace, perché l’altro da sé non venisse visto come un nemico ma come qualcuno con cui incontrarsi a metà strada. . La pace, per essere davvero tale, deve coniugarsi con la giustizia. Senza giustizia non c’è pace. E non c’è pace quando un popolo è sotto occupazione, quando viene derubato della sua terra o segregato in villaggi-prigione. Quello palestinese è un popolo giovane, e intere generazioni sono nate e cresciuto sotto occupazione, passando da un conflitto all’altro, senza speranza, con la sola rabbia come compagna. E dove c’è rabbia, dove la quotidianità è sofferenza, è impossibile che cresca la speranza”. Per aver sostenuto queste idee Corrigan Maguire Maeread Maguire è stata ritenuta da Israele “persona non gradita”. Definizione soft, per non dire nemica.
“Ho imparato sulla mia pelle cosa significhi discriminazione e odio – dice la Nobel per la Pace -. Io mi sento amica d’Israele e un amico vero è quello che prova a convincerti che stai sbagliando, che proseguendo su una certa strada finirai male. È questo che provo a dire agli israeliani: riconoscere il diritto dei palestinesi a uno Stato indipendente, al fianco del vostro Stato, porre fine all’embargo a Gaza e alle inumane punizioni collettive, è fare onore a voi stessi, alla vostra storia. È investire su un futuro di pace che non potrà mai essere realizzato con le armi. Lo ripeto: non si può spacciare l’oppressione come difesa. Questo è immorale. La colonizzazione non favorisce la pace, ma alimenta l’ingiustizia. Da tempo nei Territori vige un sistema di apartheid e denunciarlo non significa essere ‘nemica d’Israele’ e tanto meno antisemita. Significa guardare in faccia la realtà”. Resta il fatto che la questione palestinese sembra essere uscita dall’agenda, per rientrarci solo se essa viene gestita da attori esterni come, per venire ai giorni nostri, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, o se è legata ad episodi di terrorismo. È terribile il solo pensare che per “far notizia” si debba usare l’arma del terrore. È una cosa terribile, contro cui continuerò a battermi in ogni dove. La violenza è un vicolo cieco, un cammino insanguinato. Ma cinque milioni di palestinesi non sono diventati tutto ad un tratto dei “fantasmi”.
Non si sono volatilizzati. Continuano a vivere sotto occupazione e sotto un’apparente “tranquillità” cresce la rabbia, la frustrazione, sentimenti sui quali possono far presa gruppi estremisti. Per questo occorre rilanciare il dialogo dal basso, favorire le azioni non violente, la disobbedienza civile, e in questa pratica unire palestinesi e israeliani, musulmani, cristiani, ebrei, come riuscimmo a fare noi in Irlanda del Nord, marciando insieme cattolici e protestanti. E poi c’è la diplomazia, la politica, che è fatta anche di atti simbolici che possono avere in prospettiva un grande peso”. E un atto del genere, aggiunge Maguire – può essere Il riconoscimento dello Stato di Palestina. “Un atto politicamente forte, che faccia rivivere l’idea di una pace fondata sul principio ‘due popoli, due Stati’. Sarebbe un bel segnale se fosse l’Europa, come Unione e non solo come singoli Paesi membri, a rilanciare questa prospettiva. In nome di una pace nella giustizia. La pace vera. Un mondo senza guerra e violenza è possibile”.
Il crimine delle punizioni collettive Un esperto delle Nazioni Unite per i diritti umani ha invitato Israele a porre immediatamente fine al blocco di Gaza, aggiungendo che si tratta di una “punizione collettiva” contro il popolo palestinese. Michael Lynk, relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, ha definito il blocco che dura da 13 anni una “grave violazione contro i Palestinesi” in una dichiarazione pubblicata dall’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.
“Quanto sia devastante la politica di punizione collettiva esercitata da Israele si può apprezzare appieno considerando il blocco imposto da 13 anni a Gaza, che ora soffre per un’economia completamente crollata, per le infrastrutture devastate e per un sistema di servizi sociali a malapena funzionante” ha detto Lynk. “Queste pratiche comportano gravi violazioni ai danni dei Palestinesi, tra cui il diritto alla vita, la libertà di movimento, la salute, un alloggio adeguato e un livello di vita dignitoso”, ha affermato Lynk. Israele ha imposto dal 2007 un blocco devastante su Gaza, lasciando circa l’80% dei Palestinesi della Striscia praticamente dipendenti dagli aiuti internazionali. Più di un milione di persone vivono con 3,50 dollari o meno al giorno. Il mare, una volta fonte vitale di reddito per i residenti di Gaza, è soggetto a restrizioni in continua evoluzione sui diritti di navigazione e di pesca.
Il sistema sanitario di Gaza è da tempo sull’orlo del collasso, soffre per carenza di farmaci e materiali sotto il blocco di Israele, mentre le strutture sanitarie sono stremate per le numerose campagne militari israeliane. Una situazione resa oggi ancor più drammatica dai primi decessi accertati per Covid-19. Il relatore speciale ha affermato che la strategia di Israele per controllare la popolazione palestinese e i suoi movimenti ha violato le regole fondamentali di ogni moderno sistema legale. Lynk ha invitato Israele a interrompere immediatamente tutte le azioni che equivalgono a “punizioni collettive contro il popolo palestinese, con milioni di innocenti danneggiati quotidianamente e con l’unico risultato di tensioni più profonde e un clima favorevole a ulteriori violenze”. La chiusura israeliana di Gaza è un “affronto alla giustizia e allo stato di diritto”, ha detto Lynk.
“Mentre la giustificazione di Israele per imporre il blocco a Gaza era quella di contenere Hamas e garantire la sicurezza di Israele, il risultato reale della chiusura è stata la distruzione dell’economia di Gaza, causando una sofferenza incalcolabile ai suoi due milioni di abitanti”, ha affermato il relatore.
“La punizione collettiva è stata chiaramente vietata dal diritto internazionale umanitario ai sensi dell’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra. Non sono ammesse eccezioni.” Il rapporto di Lynk ha anche criticato la politica israeliana di demolizione punitiva delle case di famiglie palestinesi. “Dal 1967, Israele ha distrutto più di 2.000 case palestinesi, allo scopo di punire le famiglie residenti per atti che alcuni dei loro membri potrebbero aver commesso, ma certamente non tutti loro”, ha detto. “Questa pratica viola chiaramente l’articolo 53 della Quarta Convenzione di Ginevra”, ha aggiunto. L’illegalità impunita “La Palestina - annota Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato, componente della Clinica legale per i diritti umani (Cledu) presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Palermo -è stata il primo territorio nel quale si è sperimentato come i diritti umani proclamati dalle Convenzioni internazionali e dalle Carte costituzionali potessero essere violati impunemente in base ai rapporti di forza tra gli stati, ed agli interessi economici delle multinazionali più grandi. Dalla guerra fredda alla globalizzazione nessun popolo ha subito una serie tanto rilevante di violazioni dei deliberati delle Nazioni Unite, inflitte dallo Sato di Israele, e coperte dagli Stati Uniti. 
Gli uomini di pace come Rabin, che pure all’interno di Israele si erano battuti per una prospettiva di pace, non sono stati sconfitti politicamente ma uccisi con le armi in attentati che hanno segnato la vittoria dei metodi terroristici per modificare le linee di governo e la natura stessa di uno Stato.
Le violazioni dei diritti umani in Israele, ai danni del popolo palestinese – rimarca il professor Vassallo Paleologo - sono state nascoste da chi ha professato una finta equidistanza, e poi supportate da chi ha avallato la politica israeliana della ‘soluzione finale’, della liquidazione di qualunque prospettiva di rilevanza politica della Palestina, e dei rappresentanti del popolo palestinese, sia nei territori occupati che nelle città che restavano autonome. Il processo di pace che aveva suscitato tante speranze è ormai sepolto, rimane solo la prospettiva di una dittatura militare sulla popolazione palestinese esercitata da uno Stato che si continua a dichiarare ‘democratico’. Sono decenni che la pratica degli arresti arbitrari, della tortura anche ai danni di minori, della violenza istituzionale, caratterizza sia le fasi di tregua che i momenti di conflitto più acuto, quando si spara da entrambe le parti. Ma la violenza non è simmetrica, sia per la intensità di fuoco che per le ragioni che vi stanno dietro.
Da una parte si continua a violare impunemente quanto deciso nei documenti adottati dalle Nazioni Unite, dall’altra si rimane impigliati in un reticolo di alleanze fluttuanti condizionate dalle opportunità economiche e dagli interessi geo-politici del momento. Le divisioni nel mondo arabo allontanano le prospettive di pace”. Cosi come l’allontanano misure disumane come quella adottata ieri da Israele. PS Di tutto ciò non c’è notizia sui “grandi” giornali.

GLOBALIST.IT
Ad affermarlo in esclusiva a Globalist è Mairead Corrigan Maguire, Premio Nobel per la Pace 1976.

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