Alberto Negri: Donald Trump, il biscazziere della «pace»

Scampato – e meno male – il pericolo in Emilia-Romagna, se si suona al citofono dell’indirizzo «Politica Estera del governo» (alla Farnesina, mica un’abitazione privata) non risponde nessuno. Silenzio. Eppure ci sono messaggi urgenti da recapitare, dal Piano Truffa di Trump annunciato ieri «per la pace in Medio Oriente», alla Libia, all’Iraq, all’Iran.
In Libia – , proprio mentre dai «porti sicuri» libici c’è il boom di partenze dei migranti e solo le navi di soccorso umanitario, Open Arms, Ocean Viking e Alan Kurdi hanno tratto in salvo in queste ore circa 700 persone – c’è ben altro che la tregua sbandierata alla conferenza di Berlino, un’operazione mediatica e cosmetica per far apparire l’Europa ancora importante di fronte a Russia e Turchia. Dopo Tripoli è sotto assedio anche Misurata dove ci sono oltre 300 soldati italiani di guardia a un ospedale da campo ma in realtà non si sa davvero che fanno. Potrebbero diventare bersagli del generale Khalifa Haftar che non ci tiene proprio in gran simpatia mentre l’alleato di Tripoli al Sarraj ci ha sostituiti con i mercenari jihadisti della Turchia ma incassa ancora i soldi per la guardia costiera che lascia morire in mare centinaia di profughi nella sua area Sar di competenza. L’insuccesso libico è politico ed economico (l’export petrolifero è quasi bloccato) ma soprattutto umanitario.
Per un Paese come il nostro che si dibatte ancora con i decreti sicurezza del governo Conte I: lì al citofono risponde ancora Salvini. Il vicepresidente degli Stati uniti Mike Pence è venuto a Roma nel week end scorso a darci un buffetto sulla guancia, minacciando dazi sulle auto europee (l’Italia produce anche il 50% delle componenti dell’automotive tedesco), sanzioni sui commerci e le tecnologie con la Cina; e poi, non contento dei venti di guerra alimentati da Trump con l’uccisione del n.2 di Teheran, Qasem Soleimani, chiede silenzio-assenso sulle nuove sanzioni che pesano come un macigno sull’economia e sulla società iraniana, perché fra l’altro colpiscono anche gli interessi dell’Europa e dell’Italia – il fronte che dovrebbe difendere almeno gli accordi sul nucleare civile di Teheran voluti da Obama.
Ma soprattutto Pence ci ha lanciato un avvertimento: armatevi e partite. Gli Usa stanno allargando a Livorno Camp Darby (40 milioni di dollari di investimento), la più grande base degli americani fuori dagli Stati Uniti, ma ci chiedono anche di tenerci pronti per l’Iraq. Qui se gli Stati uniti si ritirano o riducono le truppe andremo a prendere, con l’elmetto della Nato, il posto dei marines nella basi per fare da bersaglio quando gli americani decideranno di colpire con i droni le milizie sciite locali o persino l’Iran. E a sorpresa, mentre i razzi hanno colpito di nuovo l’ambasciata americana a Baghdad, Trump ieri ancora aspettava a reagire: in queste ore ha sospeso le operazioni belliche perché doveva vendere al mondo, con fare ammorbidente e suadente, il Piano Truffa del secolo «per la pace in Medio Oriente».
Inutile girarci intorno: il Piano Truffa presentato ieri a Washington è fatto apposta per essere respinto e mettere in un angolo i palestinesi. E se ci sarà il «gran rifiuto», spiegava Michele Giorgio sul manifesto, si andrà avanti lo stesso in modo che il premier Netanyahu e il suo «rivale» Ganz possano presentare le loro osservazioni prima delle elezioni israeliane del 2 marzo: poi gli Usa daranno il via libera all’annessione unilaterale allo Stato ebraico della Valle del Giordano e di vaste parti della Cisgiordania con 150 insediamenti coloniali israeliani.
Di fatto, con Gerusalemme capitale di Israele, questo Piano Truffa è la pietra tombale sulla formula «due popoli e due stati», avremo un solo Stato con un bantustan palestinese, una sorta di soluzione alla sudafricana, come scriveva Zvi Schuldiner nell’edizione speciale di lunedì, «preludio a più guerra e ancora più sangue». Mentre i palestinesi sono divisi e così la già scarsa autorità dell’Autorità nazionale palestinese viene definitivamente cancellata. Quanto ai miliardi promessi ai palestinesi, chi ci crede è bravo: figuriamoci se dopo averli lasciati marcire nella miseria in una prigione a cielo aperto come Gaza e dopo aver bloccato per anni gli aiuti dell’Unrwa, mollano davvero dei soldi agli arabi.
Altro che la giusta «collera» palestinese: qui è in corso una violazione palese di ogni diritto internazionale, delle risoluzioni Onu ed europee, lo sfregio a qualunque principio di giustizia e del buon senso. Ma se schiacciamo il pulsante al citofono «Politica Estera» siamo sicuri che il nostro governo risponda per darci la sua opinione al riguardo? Salvini, il tappetino della destra al governo d’Israele, è stato temporaneamente battuto, ma Conte, Di Maio e Zingaretti sulla truffa di Trump e Netanyahu che dicono?
Il tutto ricorda un po’ l’atmosfera malata che un secolo fa, nell’aprile del 1920, circondava la Conferenza di Sanremo che a Castello Devachan definì i mandati delle grandi potenze nella spartizione dell’impero ottomano: il 24 aprile 1920 la Palestina fu così messa sotto mandato britannico.
Il vate D’Annunzio, sovranista ante-litteram e specialista in slogan pubblicitari e manifestini – poi imitato dal ministro della difesa La Russa sui cieli afghani – patriotticamente preoccupato dei destini nazionalisti e anti-slavi dell’impresa fiumana, ne lanciò centinaia sulla città famosa per il casinò in cui si definivano i partecipanti «i biscazzieri della pace». Ma in questi giorni il vero contrabbandiere di una falsa pace che è invece preludio di altra violenza e guerra, è Donald Trump, gestore di casinò, presidente sotto impeachment in casa e biscazziere del Piano Truffa.








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