CRISI IN ISRAELE/ “La destra dice no ai palestinesi e resta prigioniera del confronto armato” – di Filippo Landi




Una resa al terrorismo”: così Avigdor Lieberman ha motivato le sue dimissioni da ministro della Difesa, dopo l’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Filippo Landi, già inviato Rai in Israele e profondo conoscitore della scena, spiega al Sussidiario che dietro a queste dimissioni c’è da una parte l’incapacità dell’esercito israeliano di sconfiggere Hamas, ma soprattutto la volontà di anticipare le elezioni: “Lieberman ha colto i segnali di una opinione pubblica stanca di Netanyahu, e mira ai voti del Likud, il suo partito”. Ecco che scenario si profila.Lieberman è un personaggio controverso, un esponente della destra che non ha mai fatto segreto di voler risolvere il problema palestinese esclusivamente con la forza. Ci può dire quale è il suo ruolo nella politica israeliana?Lieberman è un personaggio sulla scena politica da molti anni, un protagonista di lungo corso che è anche stato anche ministro degli Esteri. Ha sempre avuto ruoli politici molto importanti, è l’alfiere della destra israeliana, quella che sostiene la necessità di usare il pugno di ferro con i palestinesi, non solo quelli di Gaza ma anche gli arabo-israeliani, quella grande minoranza presente all’interno di Israele. Nelle campagne elettorali ha sempre sostenuto la necessità di metterla sotto stretto controllo e possibilmente invitarla ad andarsene via da Israele.Le sue dimissioni secondo lei sono davvero motivate dalla tregua con Hamas o nascondono dell’altro?La sua decisione di dimettersi è stata subito commentata in Israele come l’apertura ufficiale di una campagna elettorale. Le vere motivazioni vanno ricercate da una parte nell’incapacità dell’esercito e dell’aviazione di colpire in modo definitivo le milizie palestinesi, non solo quelle di Hamas. In quanto ministro della Difesa si è politicamente smarcato da questa sconfitta militare che lui avrebbe voluto superare con un intervento ancora più massiccio, cioè con un attacco di terra.L’altra motivazione?Ci sono motivazioni politiche apparse subito chiare con la richiesta di elezioni anticipate. Si è votato nel giugno 2015 e si doveva votare nel 2019. La richiesta di anticiparle quest’anno o all’inizio del prossimo fanno capire che Lieberman coglie nell’opinione pubblica la possibilità di espandere la forza politica del suo partito a danno del Likud, il partito di Netanyahu.Che possibilità ha di farlo?Ricordiamo che il perno della politica parlamentare israeliana rimane il Likud, che nel 2015 ottenne 30 deputati contro i 15 di Lieberman. Quanto possa avere successo è perciò tutto da vedere. Sicuramente coglie una stanchezza nei confronti di Netanyahu non solo legata ai problemi con i palestinesi, e una diminuzione della sua  autorevolezza nella società politica legata ai molti scandali giudiziari riguardanti casi di corruzione di uomini a lui vicini. Da tutto questo Lieberman pensa di ottenere consenso sul fronte del centro-destra ma anche da parte di tutti quegli israeliani, e sono molti, che si astengono, e perfino nella vecchia sinistra disintegrata, con il partito laburista ormai privo di capacità propositive.Ci sono dei sondaggi indicativi?Sì, e dicono che non riuscirebbe a vincere solo con il suo partito, dovrebbe trovare una nuova coalizione di governo.I moderati non hanno alcuna chance?Si fa un nome che anche questo è di vecchia data, quello di Yair Lapid, una meteora della scena politica. L’ultima volta è riuscito a cogliere molti consensi ma poi non ha fatto il balzo finale di fronte alle capacità di Netanyahu. Si pensa ancora a lui come la persona in grado di raccogliere una massa di consensi che vada dalla sinistra moderata alla destra moderata. Ma è tutto da verificare.Hamas ha celebrato le dimissioni di Lieberman come una vittoria palestinese. E’ solo propaganda?Sicuramente ci sono aspetti propagandistici, ma più che altro la tregua raggiunta con l’ennesima mediazione egiziana ripropone un problema di fondo.Quale?Esiste oppure no la possibilità di una tregua permanente? Nelle settimane scorse esponenti di Hamas avevano dato la disponibilità a raggiungere una tregua che avrebbe posto fine al confronto armato. Da parte israeliana secondo molte fonti c’era la disponibilità di verificare i contenuti di questa tregua. Sembra che ci sia stato un corto circuito, una parte della classe politica israeliana e militare ha detto che questo accordo si poteva realizzare a condizioni svantaggiose per Hamas, che ovviamente ha rifiutato. Lo scenario rimane aperto: c’è la possibilità nella classe politica israeliana di un accordo che sgombri il confronto armato spostandolo su quello politico?(Paolo Vites) CRISI IN ISRAELE/ “La destra dice no ai palestinesi e resta prigioniera del confronto armato” – di Filippo Landi

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