I 'cimiteri dei numeri': dove finisono i "nemici" di Israele

  Li chiamano “cimiteri dei numeri”, sono i luoghi dove vengono interrati i corpi dei “nemici” di Israele, e per lo più sono palestinesi. Poco si conosce di queste fosse comuni, anche se grazie alle ricerche dei giornalisti israeliani e internazionali sarebbe stati individuati quattro siti.   di Simone Ogno

Due si troverebbero nella Jordan Valley - nei dintorni di Adam Bridge e Refedeem -, un altro a Banat Yacoub Bridge, al confine con il Libano, l’ultimo nei pressi di Wadi al Hamam in Galilea.
L’incertezza aleggia anche sulle cifre, numeri che oscillano tra le cinquecento e le mille unità, c’è chi ipotizza al rialzo; fonti palestinesi parlano di 338 corpi, ai quali si andrebbero ad aggiungere 195 appartenenti ad altre nazionalità: libanesi, siriani, egiziani, sudanesi. Tutti individui uccisi dall’esercito israeliano durante scontri a fuoco, rivolte, manifestazioni.
La particolarità del nome è strettamente collegata alla barbarie dell’atto. Un tribunale militare israeliano infligge una pena detentiva al corpo senza vita, la cui durata fittizia si colloca da dieci anni in su; in seguito questo viene prima riposto in una cella frigorifera di un obitorio, solitamente all’interno di una prigione, per poi essere trasferito nei “cimiteri dei numeri”.
Qui i corpi vengono interrati alla mercè degli animali e delle difficili condizioni climatiche, senza alcuna lapide o incisione che ricordino l’identità del defunto: una targa con un numero è tutto ciò che rimane di un uomo.
Le voci riguardanti questi ossari si rincorrono dal 1967, l’ufficialità è comunque arrivata circa trenta anni dopo. Nel marzo del 2007 il ministero per i Prigionieri presso l’Autorità nazionale palestinese Issa Qaraqe denunciò la macabra pratica chiedendo la restituzione dei corpi; nel 2008 furono invece esponenti di Hezbollah a palesare la notizia durante uno scambio di corpi risalenti alla “Guerra del Libano” nel 2006, militari israeliani per esponenti del partito di Dio.
Nell’ultimo mese la città palestinese di Nablus è stata tappezzata di manifesti, la stella rossa simboleggia il Democratic front for the liberation of Palesatine, in primo piano il viso di Hafez Muhammad Hussein Abu Zant, ucciso dall’esercito israeliano nel 1976 all’età di ventuno anni.
“Sembra molto più vecchio”, afferma la madre, con le mani giunte in grembo e un sorriso spento che le increspa il volto. Il 17 maggio 1976 Abu Zant scelse di partire, un saluto frettoloso alla famiglia e la rassicurazione di un lavoro in Giordania.
Due giorni prima, durante una manifestazione di commemorazione della Nakba, una giovane quindicenne fu uccisa con un proiettile alla gola, l’anonima vita del ragazzo venne stravolta, scelse di immolarsi alla causa del suo popolo in cerca di vendetta. Abu Zant viene descritto come un ragazzo solare e con molti amici, terminati gli studi superiori si tuffò nel mondo del lavoro, il destino lo portò proprio in Israele comechauffeur di taxi.
Le armi provenivano dalla Giordania, l’imboscata ai militari israeliani fallì nel nord della Jordan Valley, Abu Zant e i suoi compagni morirono in combattimento; la notizia della sua morte venne trasmessa da una radio israeliana. La tragedia della famiglia inizio così e proseguirà per i successivi 35 anni.
“Quarantaquattro anni di occupazione hanno restituito un solo corpo nel 2009”, spiega il fratello di Abu Zant. “Nel 1998 un giovane prigioniero politico morì in carcere dopo un lungo sciopero della fame, il corpo senza vita costretto a scontare il rimanente periodo di detenzione”.
Nel luglio di quest’anno parve concludersi la lunga trattativa per la restituzione di 84 corpi con l’approvazione del premier israeliano Benjamin Netanyahu, atto naufragato dopo il diktat imposto dal ministro della Difesa Ehud Barak.
L’8 ottobre l’autorità israeliana ha concesso il lasciapassare al corpo - o quello che ne resta - di Abu Zant dal checkpoint di Qualqilya. Il giorno seguente la salma ha fatto rientro a Nablus, dove la famiglia ha potuto compiere la veglia funebre e una tumulazione dignitosa.
Il viso dell’anziana madre erige con orgoglio una diga alle lacrime: “Non ho mai pianto, né alla morte né alla restituzione del corpo di mio figlio - afferma -, e non ho paura, convivo con arresti e prigionia da decine di anni ormai, sono fiera dei miei figli”.
“Quale è il motivo di tanta cattiveria?”, chiede il fratello. Esponenti dell’esercito israeliano potrebbero rispondere con discorsi infarciti della retorica di “terrorismo” e “sicurezza”, ma è difficile ascoltare le parole ufficiali di giustificazione.
E’ la tortura psicologica inflitta ai familiari delle vittime, l’occupazione degli animi dei palestinesi, della loro memoria e dei loro affetti.
7 novembre 2011

2   Dal "cimitero dei numeri" alla Cisgiordania: il ritorno di 84 combattenti palestinesi uccisi nel 1967
Ottantaquattro corpi dimenticati nei “cimiteri dei numeri” israeliani potrebbero fare ritorno dopo decenni alle famiglie, per un funerale e una sepoltura dignitosi. Si tratta di 84 combattenti palestinesi uccisi nel 1967 e che Israele ha sepolto senza nome né funerale in quello che gli ebrei chiamano “il cimitero dei nemici”. Per il popolo palestinese è sempre stato il “cimitero dei numeri”, perché nessun nome è stato mai posto sulle lapidi. Dopo anni di negoziati, sembra che i corpi verranno restituiti alle rispettive famiglie. La nuova speranza arriva oggi dalle parole di Hussein Ash-Sheikh, ministro degli Affari Civili dell’Autorità Palestinese. Il ministro ha annunciato alla radio che un accordo per la restituzione è stato finalmente raggiunto con le autorità israeliane “dopo lunghi e difficili negoziati”. Autorità che non confermano né smentiscono. Secondo l’agenzia di informazione israeliana Ynet, non sono infatti arrivati annunci ufficiali. Anzi, un funzionario di Tel Aviv avrebbe addirittura negato che il governo israeliano abbia firmato un simile accordo, volto a restituire dignità a quelli che Israele chiama “corpi di terroristi”. Ma in Cisgiordania la speranza è viva. Il ministro Ash-Sheikh ha aggiunto che le 84 salme sono state già identificate, ma che una volta in territorio palestinese saranno di nuovo esaminate dai medici legali per confermare le identità prima di restituirli alle famiglie, attraverso il test del DNA. Seguiranno funerali di Stato alla presenza del presidente Mahmoud AbbasI corpi sepolti nei “cimiteri dei numeri” sono i cadaveri di combattenti uccisi durante scontri diretti, ma anche di prigionieri giustiziati in carcere dopo anni di prigionia o morti per malattia o vecchiaia in cella. Detenuti o uccisi in Israele, sono stati sepolti nei “cimiteri dei numeri”, luoghi segreti spesso nascosti all’interno di aree militari chiuse. Le bare, sotto terra, sono riconoscibili solo da una piccola pietra con un numero di identificazione, senza nome né data. Da quanto si è riuscito a sapere in passato, i “cimiteri dei numeri” sarebbero quattro. Il primo vicino a Banat Yacoub Bridge, al confine con il Libano: qui sarebbero sepolti circa 500 palestinesi e libanesi uccisi nel 1982. Il secondo dovrebbero trovarsi in una base militare tra Gerico e Adam Bridge, sul fiume Giordano: circondato da  un muro, l’ingresso del cimitero è indicato dall’insegna “Un cimitero per i morti del nemico”. Conterrebbe oltre cento tombe. Il terzo, di cui non si hanno informazioni, si troverebbe a Refedeem, nella Jordan Valley. Infine, il quarto è quello di Shuheitar, nel villaggio di Wadi Al Hamam, a Nord della Galilea. I corpi qui sepolti apparterrebbero per lo più alle vittime palestinesi uccise tra il 1965 e il 1975. Ognuno di questi cimiteri offende la memoria dei morti e delle loro famiglie: tombe ricoperte di polvere e sabbia, soffocate dalle erbacce, senza un nome che dia dignità al corpo dell’ucciso
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