Simone Weil non è al servizio delle destre | Giancarlo Gaeta
Simone Weil non è al servizio delle destre | Giancarlo Gaeta
INTERVENTI. L’appropriazione indebita di Simone Weil da parte di Matteo Salvini durante il comizio di Pontida necessita di una reazione. E di un chiarimento riguardo la luminosità di una delle più grandi pensatrici del Novecento che lungi dal poter essere rubricata al servizio delle retoriche nazionaliste e fasciste, oltre che razziste
Cosicché tentare di mettere riparo al danno è come correre dietro al
vento. Un danno beninteso non tanto a una figura che appartiene oramai
al patrimonio della cultura occidentale, quanto ai molti che ne ricevono
un’immagine stravolta e perciò controproducente. Simone Weil non ha
scritto da nessuna parte, onorevole Ministro, che i doveri devono
precedere i diritti, così da sentirsi autorizzati a chiedere oggi ai
migranti di attenersi ai primi, e domani agli stessi cittadini italiani
di smetterla col pretendere i secondi o persino di rinunciarvi. Simone
Weil ha piuttosto sostenuto che «l’adempimento di un diritto non
proviene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono
nei suoi confronti obbligati a qualcosa», altrimenti lo si otterrà solo
a condizione di avere la forza per sostenerlo. È la nozione di obbligo
verso l’essere umano, vale a dire nei riguardi dei suoi concreti bisogni
fisici e morali, a sostenere il pensiero politico di Simone Weil.
Dunque propriamente non dovere e diritto, bensì obbligo e bisogno,
l’unica correlazione in grado di esprimere indirettamente il rispetto
verso gli esseri umani «qualunque essi siano».
Quanto al radicamento, vecchio luogo comune delle destre nazionaliste, Simone Weil vi riconosceva piuttosto «il bisogno dell’anima umana di avere sopra ogni altra cosa radici in più ambienti naturali e di comunicare per il loro tramite con l’universo». In contrasto con i processi di sradicamento in atto nel mondo operaio e contadino, e più diffusamente nella misura in cui «l’idea di nazione si è venuta sostituendo a quella di territorio, città, insieme di villaggi, regione», potenziando enormemente il sentimento di discontinuità, frammentazione, estraneità. In definitiva accusava la riduzione della vita sociale a pura esteriorità, e perciò in balia della pubblicità, della propaganda politica, del demagogo di turno, della menzogna. Si capisce allora perché Adriano Olivetti fosse stato tanto attratto da questo pensiero e se ne sia nutrito per finalità che ora vengono sbandierate in tutt’altro contesto ideologico. Lo spirito di comunità e la dignità del lavoro, ci ricorda Simone Weil, non si sostengono a meno di «considerare ogni essere umano senza eccezione come qualcosa di sacro a cui si è tenuti a testimoniare rispetto».
Ci vuole altro che degli slogan da comiziante per ispirare un popolo al punto di metterlo in grado di orientarsi verso una nozione di vita pubblica commisurata sui bisogni effettivi di ciascuno e di tutti; occorre una concezione politica all’altezza del compito e tutt’altro linguaggio. In questo Simone Weil ci è preziosa. Dare prova di un minimo di rigore intellettuale e morale o almeno di rispetto formale del pensiero altrui è chiedere troppo alla classe politica?
Quanto al radicamento, vecchio luogo comune delle destre nazionaliste, Simone Weil vi riconosceva piuttosto «il bisogno dell’anima umana di avere sopra ogni altra cosa radici in più ambienti naturali e di comunicare per il loro tramite con l’universo». In contrasto con i processi di sradicamento in atto nel mondo operaio e contadino, e più diffusamente nella misura in cui «l’idea di nazione si è venuta sostituendo a quella di territorio, città, insieme di villaggi, regione», potenziando enormemente il sentimento di discontinuità, frammentazione, estraneità. In definitiva accusava la riduzione della vita sociale a pura esteriorità, e perciò in balia della pubblicità, della propaganda politica, del demagogo di turno, della menzogna. Si capisce allora perché Adriano Olivetti fosse stato tanto attratto da questo pensiero e se ne sia nutrito per finalità che ora vengono sbandierate in tutt’altro contesto ideologico. Lo spirito di comunità e la dignità del lavoro, ci ricorda Simone Weil, non si sostengono a meno di «considerare ogni essere umano senza eccezione come qualcosa di sacro a cui si è tenuti a testimoniare rispetto».
Ci vuole altro che degli slogan da comiziante per ispirare un popolo al punto di metterlo in grado di orientarsi verso una nozione di vita pubblica commisurata sui bisogni effettivi di ciascuno e di tutti; occorre una concezione politica all’altezza del compito e tutt’altro linguaggio. In questo Simone Weil ci è preziosa. Dare prova di un minimo di rigore intellettuale e morale o almeno di rispetto formale del pensiero altrui è chiedere troppo alla classe politica?
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