lberto Negri :[L’analisi] La missione quasi impossibile dell’Italia che prova a rimettere un piedino in Libia

  1. Mai la Libia ha firmato la convenzione di Ginevra sui rifugiati e quindi chiunque entri a qualsiasi titolo sul territorio libico viene legalmente considerato, comunque, un clandestino, in pratica non esistono distinzioni tra i rifugiati, coloro che fuggono le guerre, e i migranti economici. Serve un lavoro serio di ricostruzione di immagine e credibilità senza farsi troppe illusioni


La missione del ministro degli Esteri Enzo Moavero in Libia è stata sicuramente positiva, si parla persino di riattivare l’accordo con Gheddafi del 2008 stretto dal governo Berlusconi e ribadito dalla visita che fece il Colonnello in Italia nell’agosto 2010, soltanto pochi mesi prima che diventasse il bersaglio della Francia dell’ex presidente Nicolas Sarkozy, indagato dalla magistratura francese per i finanziamenti elettorali ricevuti dai libici. 
C’è però una premessa che ognuno dovrebbe sempre avere presente nel giudicare con obiettività quanto avviene in Libia e nei rapporti con la Libia. Gli accordi sui migranti con Tripoli sono sempre limitati e menomati da un’avvertenza: mai la Libia ha firmato la convenzione di Ginevra sui rifugiati e quindi chiunque entri a qualsiasi titolo sul territorio libico viene legalmente considerato, comunque, un clandestino, in pratica non esistono distinzioni tra i rifugiati, coloro che fuggono le guerre, e i migranti economici. 
Questo bisogna sempre averlo presente insieme a una considerazione generale: i Paesi che decisero di bombardare Gheddafi nel 2011, Francia, Gran Bretagna e Usa, mai ottennero nulla su questo punto dalle nuove autorità libiche che si sono sempre ben guardate dal sollevare il problema della convenzione di Ginevra. 
I libici, di qualunque schieramento, a casa loro intendono fare quello che vogliono e per il momento, almeno formalmente, non hanno intenzione di rispettare le convezioni internazionali che non hanno firmato. E se questo avviene è perché fa loro comodo per ottenere gli aiuti internazionali.
Questo è il quadro della vicenda libica che hanno sempre davanti gli interlocutori internazionali, compresa l’Italia. In poche parole sia quando si parla di campi profughi in Libia _ eventualità cui i libici sono contrari o disposti soltanto a negoziare a caro prezzo_ sia dell’azione sul territorio libico delle organizzazioni internazionali dell’Onu con l’Unhcr, la Libia può opporre un rifiuto all’applicazione degli standard internazionali: manca la cornice legale. 
Poi c’è il dato politico complessivo. L’Italia continua a negoziare con un certo successo con il governo di Tripoli riconosciuto dalla comunità internazionale. In realtà siamo di fronte a una separazione netta tra Tripolitania e Cirenaica (oltre che all’eccezione politica del Fezzan) dove il padrone della situazione è il generale Khalifa Haftar appoggiato dalla Francia, dall’Egitto e dalla Russia. Il governo di Tripoli è riconosciuto formalmente come quello legittimo dalla comunità internazionale ma di fatto tutti trattano anche con Haftar che recentemente si è impadronito dei terminali petroliferi in Cirenaica mettendo le mani sul 40% del petrolio libico.
Finora l’Italia non ha mostrato grande capacità di negoziazione con Haftar e i passati governi hanno pure respinto le offerte di mediazione avanzate da Mosca. Quando il ministro degli Interni Salvini afferma che bisogna trattare la ripresa di piene relazioni con l’Egitto deve tenere presente che il generale Al Sisi vede in Haftar una pedina essenziale del suo sistema di sicurezza e influenza. Per non parlare della Francia che ha sempre voluto Haftar al suo fianco.
Qualche giornale titola che l’Italia_ dove è in visita l’inviato dell’Onu Ghassem Salamé _ vuole sfilare la Libia alla Francia: diciamo con più esattezza che Roma prova a rimettere piede e influenza in un Paese che Parigi le ha sottratto _ almeno in parte _ e dove i francesi possono lavorare per far saltare qualunque intesa di stabilizzazione se non vengono adeguatamente soddisfatti nei loro interessi economici (petrolio) e di influenza politica e militare, in questo sostenuti da Mosca  dal Cairo. 
Basti pensare che l’accordo Berlusconi-Gheddafi del 2008 prevedeva tra l’altro la costruzione di un’autostrada litoranea di 1700 chilometri dal confine tunisino a quello egiziano sul tracciato della via Balbia dal costo di 5 miliardi di dollari in 20 anni. Si può mai pensare di riattivare un progetto simile senza il consenso dei concorrenti dell’Italia? 
Siamo seri. L’Italia è un Paese di media taglia che la sconfitta epocale del 2011 con la perdita del suo maggiore alleato sulla Sponda Sud ha ridotto quasi all’irrilevanza in ogni partita del Mediterraneo: quindi serve un lavoro serio di ricostruzione di immagine e credibilità senza farsi troppe illusioni. Certo l’Eni ha ancora un ruolo primario, estrae gas e petrolio, fornisce elettricità a tutta la Libia ma l’Eni è un’eccezione ed è considerata tale sia a Mosca che al Cairo: l’ultimo asset strategico rimasto a un Paese che i suoi governanti hanno amministrato negli ultimi decenni in maniera demenziale pensando di potere pesare nel mondo con un soft power fatto di scarpe da passeggio e salsa di pomodoro.

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