Alberto Negri : Arabia Saudita - Israele, sempre più vicini contro l' Iran — L'Indro



Arabia Saudita – Israele, sempre più vicini contro l’ Iran




«Credo che ogni persona, ovunque, abbia il diritto di vivere nella sua nazione pacifica. Credo che i palestinesi e gli israeliani abbiano il diritto di avere la propria terra. Ma dobbiamo avere un accordo di pace per assicurare la stabilità a tutti e avere relazioni normali»  ha sostenuto il Principe ereditario, oltre che Ministro della Difesa saudita, Mohammed Bin Salman, nell’ ambito di un’ intervista rilasciata alla rivista americana ‘The Atlantic’, durante il viaggio che lo ha portato a Londra e poi negli Stati Uniti, dove ha sottoscritto diversi accordi nel settore della difesa (per esempio, per l’ acquisto di 48 aerei Typhoon dall’ inglese Bae Systems o per la cyber sicurezza con l’ americana Lockheed Martin), senza tralasciare l’ imminente quotazione di parte della compagnia petrolifera saudita Aramco. Il principe ha poi precisato che «abbiamo preoccupazioni religiose sul destino della santa moschea di Gerusalemme e sui diritti del popolo palestinese. Questo è quello che abbiamo. Non abbiamo alcuna obiezione contro altre persone».
Nei giorni seguenti,  la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, in una lettera indirizzata al leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ha ripetuto che l’Iran è tenuto a sostenere il movimento palestinese «in ogni modo» contro «l’aggravarsi dell’oppressione e dell’ostilità» di Israele. «È un dovere religioso e un obbligo (…) e, a Dio piacendo, agiremo in conformità con questo obbligo, come abbiamo fatto in passato». La guida suprema ha poi parlato di «tradimento e ipocrisia di alcuni paesi arabi nella regione», aggiungendo che «andare verso i negoziati con un regime ingannevole, bugiardo e usurpatore (Israele) è un grave e imperdonabile errore».
Occorre ricordare che le dichiarazioni concilianti del principe Bin Salman nei confronti dello Stato Ebraico giungono, nonostante, tra i due Paesi, ufficialmente, non vi siano relazioni diplomatiche. Questa circostanza, però, non aveva impedito, già nel settembre 2013, all’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Michael Oren, di affermare in un’intervista al Jerusalem Post: «Il pericolo maggiore per Israele viene dall’arco strategico che si estende, da Teheran, fino a Damasco e Beirut. E noi consideriamo il governo di Assad come la chiave di volta di questo arco. Noi continuiamo a volere che Assad se ne vada, continuiamo a preferire i cattivi non sostenuti da Teheran, ai cattivi che lo sono».
Pertanto, un certo feeling, seppur ‘segreto’, come confermato, appositamente, non molto tempo addietro, anche dal ministro dell’Energia israeliano, Yuval Steinitz, è in essere:  «Intratteniamo rapporti con molti Paesi arabi e musulmani che, in effetti, sono in parte nascosti e, di solito, siamo la parte che non si vergogna. È l’altra parte a essere interessata a mantenerli riservati. Noi, di solito, non abbiamo alcun problema, ma rispettiamo la volontà dell’altra parte quando si sviluppano i legami, che sia con l’Arabia Saudita o altri Paesi arabi o musulmani e c’è molto di più… ma lo teniamo segreto». I punti d’ incontro non mancano: la granitica alleanza – che, sotto Obama, era più che altro assenza di sintonia – con Washington e l’ avversione all’ Iran, definito dal principe saudita il terzo vertice del «triangolo del male» a cui appartengono la Fratellanza musulmana e il terrorismo. La conquista della Casa Bianca da parte di Donald Trump non ha fatto altro che agevolare l’ avvicinamento tra la monarchia saudita e lo Stato Ebraico. Entrambi, sono tornati ad essere gli alleati strategici dell’ America in Medioriente: non è un caso che il primo viaggio all’ estero del nuovo Presidente statunitense abbia avuto come prime due tappe Ryad, dove sottoscrisse accordi per la vendita di armi per 100 miliardi di dollari, e Gerusalemme.
Ed ecco che, una volta incassato il placet americano, l’ Arabia Saudita ha cominciato ad alzare i toni nella regione, in particolare contro l’ avversario sciita, imponendo, insieme ad altri Paesi arabi come Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrain, l’ isolamento del Qatar con l’ accusa di sostenere «numerosi gruppi terroristici che minano a destabilizzare la regione, come i Fratelli musulmani, l’Isis e al Qaida» e di  diffondere «tramite i suoi media, la visione e i progetti di questi gruppi, le attività di gruppi appoggiati dall’Iran nella regione saudita di Qatif e in Bahrain».
L’ insofferenza di Trump verso il JCPOA, l’ Accordo sul nucleare iraniano, firmato nel 2015, è un altro tassello della riduzione delle distanze tra Ryad e Tel Aviv. Al momento di certificare il rispetto del JCPOA, Trump ha affermato che «non dobbiamo consentire all’Iran di ottenere le armi nucleari» in quanto «il regime iraniano sostiene il terrorismo ed esporta violenza, spargimenti di sangue e caos nel Medio Oriente». Qualche tempo prima, al Palazzo di Vetro, lo aveva definito «imbarazzante per gli Stati Uniti».  Nella Repubblica Islamica, aveva aggiunto il Comandante in Capo,  è al potere una «dittatura corrotta», la cui principale vittima è il «popolo». Ad applaudire al duro intervento, il Premier israeliano Benjamin Netanyahu il quale aveva ribadito: «l’ Iran sta sviluppando missili che minacciano il mondo intero: l’accordo sul nucleare iraniano va cambiato o respinto». Dal canto suo, in un’ intervista al ‘CBS This Morning’, nel corso dell’ ultimo viaggio a Washington, Bin Salman ha chiarito che «l’Arabia Saudita non vuole acquisire alcuna bomba nucleare, ma senza dubbio se l’Iran svilupperà una bomba nucleare lo seguiremo il più presto possibile». Il verso del poeta persiano Saadi, «la formica che vuole combattere contro un’aquila è sull’orlo del precipizio della morte» è stata la risposta del portavoce del ministero degli esteri iraniano, Bahram Qassemi.
Al dicembre scorso risale la decisione dell’ amministrazione Trump di riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele e futura sede dell’ ambasciata a stelle e strisce. Ciò non ha fatto altro che aumentare gli attriti con l’ Iran. Ma, a differenza di altri Paesi, la reazione dell’ Arabia Saudita, campione del sunnismo e sede di due dei luoghi sacri dell’ Islam (Mecca, Medina), non è sembrata spiccare.
In occasione di una recente conferenza a Monaco,  nel confronto indiretto con il ministro degli Esteri dell’Iran, Mohammad Javad Zarif, il premier israeliano ha avvertito:  «Come allora Hitler venne incoraggiato dalle concessioni fatte da leader con buone intenzioni», così l’intesa sul nucleare ha «scatenato la tigre iraniana nella nostra regione». Parole simili ha utilizzato Bin Salman che, intervistato da ‘The Atlantic’, si è riferito alla Repubblica islamica dicendo: «è Hitler del Medio Oriente. Negli anni ’20 e ’30 nessuno vide Hitler come un pericolo. Solo poche persone. Finché non è successo. Non vogliamo vedere cosa è successo in Europa in Medio Oriente».
Andando oltre la somiglianza della retorica anti-iraniana usata dai due leader, l’ intesa si è già palesata in alcuni campi decisivi. «Israele è pronta a scambiare informazioni, comprese quelle d’intelligence, con i Paesi arabi moderati per affrontare l’Iran. Ci sono molti interessi condivisi tra noi e l’Arabia Saudita» ha dichiarato quattro mesi fa il capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano, il generale Gadi Eisenkot, in un’intervista al quotidiano saudita Elaph, la prima rilasciata da un esponente militare dello Stato Ebraico ad un media wahabita. «L’Iran» – secondo il militare – «progetta di controllare il Medio Oriente con due ‘mezzelune sciite’: la prima parte dall’Iran e, attraverso l’Iraq, arriva fino in Siria e in Libano. La seconda muove dal Bahrein e, attraverso lo Yemen, giunge fino al mar Rosso. Su questa faccenda noi e il regno dell’Arabia Saudita, che non è mai stato nostro nemico e con cui non abbiamo mai combattuto, concordiamo completamente».
Per quanto concerne la Siria, contestualmente alla lotta all’ Isis, il generale israeliano ha ribadito che «non permetteremo che le truppe iraniane si stabiliscano in Siria e le abbiamo già messe in guardia per quanto riguarda la costruzione di industrie o basi militari». Ma, come si è visto recentemente, Teheran, principale sostenitore delle forze del regime di Bashar Al-Assad, coopera con Damasco non solo sul piano militare, ma anche su quello economico. E se da una parte Erdogan, Rouhani e Putin sembrano spartirsi quanto rimane della Siria, Trump annuncia il progressivo ritiro dei soldati statunitens. In Libano, il contrasto a Hezbollah rimane in cima alle preoccupazioni mentre in Yemen è costante la minaccia iraniana, ravvisabile, nell’ ottica saudita, nella fornitura ai ribelli Houthi di missili per difendersi dai quali,  stando alle indiscrezioni riportate dal quotidiano israeliano Jerusalem Post un paio di mesi fa, l’Arabia Saudita avrebbe intavolato delle trattative per acquistare il sistema di difesa Iron Dome, prodotto dall’ azienda israeliana Rafael Advanced Defense Systems (RAFAEL) e capace di intercettare razzi a media velocità, e il Trophy Active Protection (APS), in grado, una volta installato su veicoli militari, distruggere missili e razzi.
Come se non bastasse, «Israele» – ha chiosato Bin Salman – «è una grande economia rispetto alle loro dimensioni ed è un’economia in crescita». L’ innovazione tecnologica, cifra dello Stato ebraico, – ha affermato Michael Oren, oggi in qualità vice ministro per la Diplomazia israeliano, – potrebbe essere un altro terreno di alleanza.
Nella prospettiva per cui ‘il nemico del mio nemico è mio amico’, Eisenkot non ha avuto remora a riconoscere che «quando si parla dell’asse iraniano c’è un’intesa totale tra noi e loro. Ho partecipato a un incontro di responsabili militari a Washington e, quando ho sentito il rappresentante saudita parlare, ho trovato la sua visione sull’Iran allineata alla mia».
L’ 82enne Re saudita Salman ha  il suo pieno sostegno al diritto dei palestinesi ad uno Stato indipendente con Gerusalemme come capitale, nel tentativo di correggere il tiro delle dichiarazioni del figlio, il principe ereditario. Ma quale segnale nasconde quest’ apertura di Bin Salman nei confronti di Israele? A rispondere Alberto Negri, già corrispondente per il Sole 24 ore in Medio Oriente, Africa, Asia Centrale e Balcani dal 1987 al 2017, oggi consigliere dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale).
Israele e Arabia Saudita non hanno mai avuto relazioni diplomatiche. Ma gli spiragli di apertura sono ormai evidenti. Come si spiegano le dichiarazioni del principe ereditario saudita? Sta cambiando qualcosa? Perché?
Arabia Saudita e Israele hanno un nemico in comune che è l’ Iran. E’ su questo che si fonda quest’ apertura dell’ Arabia Saudita ad Israele, oltre al rapporto con gli Stati Uniti. Sull’ Iran, conosciamo bene qual’ è la posizione di Ryad che, al momento, sta annaspando in questa guerra in Yemen, ormai divenuta una sorta di ‘Vietnam arabo’, dove non riesce ad avere ragione dei ribelli sciiti Houthi, alleati di Teheran. Ed è per questo che cerca anche altri alleati nella regione, per cercare di arrivare ad una vittoria che, finora, non gli hanno regalato neppure gli americani a capo dell’ aviazione saudita in Yemen. Forse i sauditi sperano che gli israeliani gli diano una mano a vincere questa guerra nel cortile di casa che hanno intrapreso nel 2015 e che sta dirigendo lo stesso Salman, ministro della difesa e principale responsabile delle scelte militari dell’ Arabia Saudita degli ultimi due anni. Scelte che hanno rivelato, per la verità, l’ incapacità del principe sul campo militare. Il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman ha paragonato la Repubblica Islamica alla «Germania di Hitler», definendola, inoltre, come parte del «triangolo del male» a cui appartengono anche la Fratellanza musulmana e il terrorismo. Questa è, però, solo l’ ultima di una lunga serie di accuse rivolte a Teheran da parte dell’ Arabia Saudita che, insieme ad Israele, hanno più volte indicato l’ Iran quale fomentatore delle varie crisi che devastano la regione.
E questo sappiamo bene che è totalmente falso perché i sauditi sono stati i maggiori alleati degli Stati Uniti nella destabilizzazione del Medio Oriente a partire dalla guerra in Afghanistan contro l’ armata rossa nel 1979.  In quell’ anno, infatti, i sovietici invasero l’ Afghanistan e i sauditi aiutarono i pakistani e gli americani a sostenere i mujaheddin contro l’ armata rossa. Poi i sauditi, nella guerra in Siria, sono stati tra i principali protagonisti della destabilizzazione del regime di Assad finanziando milizie islamiche e jihadiste. Quindi è evidente che Arabia Saudita e Iran siano i due maggiori competitori nel Golfo e che si fronteggino l’ uno, cercando di guidare i sunniti, e l’ altro, nel tentativo di controllare quella ‘mezzaluna sciita’ che va da Teheran fino al Libano con gli Hezbollah.noltre, sia Israele sia l’ Arabia Saudita, fin dalla sua sottoscrizione nel 2015, non hanno mai nascosto la loro avversione all’ ‘Accordo sul nucleare iraniano’. Nella stessa intervista a ‘The Atlantic’, il giovane principe ereditario è tornato a denunciare come, a dir suo, «i benefici economici dell’accordo nucleare non vanno al popolo» iraniano.
 Questo accordo doveva in qualche modo sancire una stabilizzazione regionale e, soprattutto, il congelamento dei programmi nucleari iraniani. I sauditi hanno un doppio obiettivo: far schierare sempre di più gli Stati Uniti contro l’Iran e l’ arrivo di John Bolton come consigliere per la sicurezza nazionale, in un certo qual modo, favorisce sia i sauditi che gli israeliani in questa contrapposizione con Teheran; far saltare questa intesa che, qualora dovesse essere effettivamente cancellata, porterebbe anche ad una proliferazione nucleare nella regione tant’è vero che lo stesso Salman è andato a Washington sostenendo che se l’ Iran riuscisse a dotarsi della bomba nucleare, anche l’ Arabia Saudita farebbe altrettanto. Questo porterà ulteriore instabilità: invece di arrivare a cercare la pacificazione del Medioriente, a far tacere le armi, si aumenta il potenziale bellico della regione fino a renderla una polveriera dove, da un momento all’ altro, potrebbe scoppiare un conflitto ancora più devastante di quelli a cui abbiamo assistito fino ad oggi. Inoltre, non dimentichiamo che l’ Arabia Saudita è una monarchia assoluta, dove non si svolgono neanche regolari elezioni. Con quale legittimità, allora, parla di altri Paesi, non essendo nemmeno una democrazia. Non basta abolire il divieto di guida alle donne. Questi sono tutti provvedimenti cosmetici, decisi da un principe che deve farsi dare armi dall’ Occidente e che vuole coinvolgere gli Stati Uniti e Israele in una guerra contro l’ Iran, se possibile, e fargliela fare per conto suo, visto che i sauditi non hanno mai vinto una guerra.
Quanto ha contato l’ attivismo dell’ Amministrazione Trump e del genero del Presidente, Jared Kushner?
Sicuramente anche le pressioni esercitate dal genero ebreo di Trump, Kushner. La posizione della Casa Bianca è stata fortemente influenzata dalla lobby israeliana negli Stati Uniti. Il presidente Trump è sempre più indebolito nelle sue posizioni di politica internazionale, così anche dall’ inchiesta di Mueller e ha bisogno di aggrapparsi a qualcuno per rimanere in piedi: sul piano interno, cerca di tenere dalla sua l’ elettorato popolare con la guerra contro la Cina; sul piano internazionale,  cerca di avere dalla sua parte lo Stato israeliano che ha una pesante influenza, attraverso la lobby, nelle decisioni che vengono prese dagli Stati Uniti. E questi sono stati i motivi che condotto Trump, prima, al riconoscimento di Gerusalemme per la sede dell’ ambasciata americana e che, poi, in fondo, hanno favorito, grazie anche a Kushner, gli incontri del principe Bin Salman in Israele, incontri segreti che poi non sono rimasti neanche troppo segreti e che, in qualche modo, hanno portato, per esempio, alla decisione di far sorvolare dagli aerei di Air India lo spazio saudita. E questi sono segnali che fanno pensare anche che Salman e l’ Arabia Saudita abbiano bisogno di compattare un certo fronte delle monarchie del Golfo e di spostarlo sul lato israeliano. Cosa molto facile, ma che, probabilmente, è anche la conseguenza delle fatture che ci sono state tra le monarchie del Golfo, in particolare sulla questione del Qatar.
In effetti, al riconoscimento, da parte di Washington, di Gerusalemme quale capitale d’ Israele e futura sede dell’ ambasciata americana, la reazione saudita è stata molto più ‘silenziosa’ rispetto a quella di altri Paesi arabi. Qual’ è la linea saudita su Gerusalemme?
L’ Arabia saudita si è già ‘venduta’ agli americani. I sauditi hanno bisogno degli Stati Uniti per tenere in piedi questa guerra in Yemen, diretta, per quanto riguarda i bersagli dell’ aviazione, dagli americani. Necessitano di armi e di essere sostenuti. Per questo, i sauditi seguono un po’ la politica americana. Il fatto di essere stato tre settimane in America. La stessa intervista a ‘The Atlantic’ non è altro che un’ operazione di immagine. Ma cosa c’è dietro questa operazione di immagine dell’ Arabia Saudita? Occorre far digerire all’ opinione pubblica americana questa ‘nuova’ – che poi tanto nuova non è visto che risale al 1945 – alleanza con un Paese che è sospettato anche di essere stato dietro agli attacchi dell’ 11 Settembre, come sosteneva la relazione della Commissione esteri del Congresso. Viaggi, interviste servono a far apparire come un riformatore l’ erede alla Corona di una monarchia che assoluta era e assoluta resta e che è stata fra i maggiori finanziatori di gruppi radicali in giro per il mondo, oltre che portatrice di un’ ideologia religiosa, quella wahabita, la più retrograda di tutto il panorama musulmano. Poi lo stesso principe dice che bisogna riformare l’ Islam, ma se per lui riformare l’ Islam vuol dire far guidare l’ auto alle donne, siamo veramente all’ età della pietra.
Tra le preoccupazioni comuni ad Arabia Saudita e Gerusalemme, oltre la Siria, anche la questione Libano e di Hezbollah.
Evidentemente sì perché Israele vede negli Hezbollah la pistola puntata dell’ Iran. Hezbollah che hanno dimostrato di essere la più efficiente organizzazione politico-militare del Medioriente dopo Israele, resistendo nel 2006 allo Stato ebraico quando quest’ ultimo ha attaccato il Libano, ma resistendo anche in Siria, dove hanno sostenuto, insieme all’ Iran, i primi cinque anni della guerra tra Assad e i ribelli. L’ Arabia Saudita ha un ruolo anche su questo fronte e lo abbiamo visto con quella specie di sequestro di Saad Hariri, avvenuto nell’ inverno scorso: l’ idea di Ryad era quella di ribadire ad Hariri il divieto di fare accordi di governo con Hezbollah, che comunque siedono nel Parlamento libanese.  Non solo: in una recente intervista, Nasrallah, leader di Hezbollah, ha dichiarato che l’ Arabia Saudita ha fatto ancora una volta offerte a Damasco per rompere l’ alleanza con l’ Iran, dimostrando che tutte queste guerre, questi conflitti, sono in realtà guerre per procura contro l’ Iran, e su questo punto tanto Israele quanto Arabia Saudita hanno una convergenza molto forte.
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