«Credo
che ogni persona, ovunque, abbia il diritto di vivere nella sua nazione
pacifica. Credo che i palestinesi e gli israeliani abbiano il diritto
di avere la propria terra. Ma dobbiamo avere un accordo di pace per
assicurare la stabilità a tutti e avere relazioni normali» ha sostenuto il Principe ereditario, oltre che Ministro della Difesa saudita, Mohammed Bin Salman,
nell’ ambito di un’ intervista rilasciata alla rivista americana ‘The
Atlantic’, durante il viaggio che lo ha portato a Londra e poi negli
Stati Uniti, dove ha sottoscritto diversi accordi nel settore della
difesa (per esempio, per l’ acquisto di 48 aerei Typhoon dall’ inglese Bae Systems o per la cyber sicurezza con l’ americana Lockheed Martin), senza tralasciare l’ imminente quotazione di parte della compagnia petrolifera saudita Aramco. Il principe ha poi precisato che «abbiamo
preoccupazioni religiose sul destino della santa moschea di Gerusalemme
e sui diritti del popolo palestinese. Questo è quello che abbiamo. Non
abbiamo alcuna obiezione contro altre persone».
Nei giorni seguenti, la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei,
in una lettera indirizzata al leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ha
ripetuto che l’Iran è tenuto a sostenere il movimento palestinese «in ogni modo» contro «l’aggravarsi dell’oppressione e dell’ostilità» di Israele. «È
un dovere religioso e un obbligo (…) e, a Dio piacendo, agiremo in
conformità con questo obbligo, come abbiamo fatto in passato». La guida suprema ha poi parlato di «tradimento e ipocrisia di alcuni paesi arabi nella regione», aggiungendo che «andare verso i negoziati con un regime ingannevole, bugiardo e usurpatore (Israele) è un grave e imperdonabile errore».
Occorre ricordare che le dichiarazioni concilianti del principe Bin
Salman nei confronti dello Stato Ebraico giungono, nonostante, tra i due
Paesi, ufficialmente, non vi siano relazioni diplomatiche. Questa
circostanza, però, non aveva impedito, già nel settembre 2013,
all’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Michael Oren, di affermare in un’intervista al Jerusalem Post: «Il
pericolo maggiore per Israele viene dall’arco strategico che si
estende, da Teheran, fino a Damasco e Beirut. E noi consideriamo il
governo di Assad come la chiave di volta di questo arco. Noi continuiamo
a volere che Assad se ne vada, continuiamo a preferire i cattivi non
sostenuti da Teheran, ai cattivi che lo sono».
Pertanto, un certo feeling, seppur ‘segreto’, come confermato,
appositamente, non molto tempo addietro, anche dal ministro dell’Energia
israeliano, Yuval Steinitz, è in essere: «Intratteniamo
rapporti con molti Paesi arabi e musulmani che, in effetti, sono in
parte nascosti e, di solito, siamo la parte che non si vergogna. È
l’altra parte a essere interessata a mantenerli riservati. Noi, di
solito, non abbiamo alcun problema, ma rispettiamo la volontà dell’altra
parte quando si sviluppano i legami, che sia con l’Arabia Saudita o
altri Paesi arabi o musulmani e c’è molto di più… ma lo teniamo
segreto». I punti d’ incontro non mancano: la granitica alleanza –
che, sotto Obama, era più che altro assenza di sintonia – con Washington
e l’ avversione all’ Iran, definito dal principe saudita il terzo
vertice del «triangolo del male» a cui appartengono la Fratellanza musulmana e il terrorismo. La conquista della Casa Bianca da parte di Donald Trump
non ha fatto altro che agevolare l’ avvicinamento tra la monarchia
saudita e lo Stato Ebraico. Entrambi, sono tornati ad essere gli alleati
strategici dell’ America in Medioriente: non è un caso che il primo
viaggio all’ estero del nuovo Presidente statunitense abbia avuto come
prime due tappe Ryad, dove sottoscrisse accordi per la vendita di armi
per 100 miliardi di dollari, e Gerusalemme.
Ed ecco che, una volta incassato il placet americano, l’ Arabia
Saudita ha cominciato ad alzare i toni nella regione, in particolare
contro l’ avversario sciita, imponendo, insieme ad altri Paesi arabi
come Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrain, l’ isolamento del Qatar con l’ accusa di sostenere «numerosi gruppi terroristici che minano a destabilizzare la regione, come i Fratelli musulmani, l’Isis e al Qaida» e di diffondere «tramite
i suoi media, la visione e i progetti di questi gruppi, le attività di
gruppi appoggiati dall’Iran nella regione saudita di Qatif e in Bahrain».
L’ insofferenza di Trump verso il JCPOA, l’ Accordo sul nucleare iraniano,
firmato nel 2015, è un altro tassello della riduzione delle distanze
tra Ryad e Tel Aviv. Al momento di certificare il rispetto del JCPOA,
Trump ha affermato che «non dobbiamo consentire all’Iran di ottenere le armi nucleari» in quanto «il regime iraniano sostiene il terrorismo ed esporta violenza, spargimenti di sangue e caos nel Medio Oriente». Qualche tempo prima, al Palazzo di Vetro, lo aveva definito «imbarazzante per gli Stati Uniti». Nella Repubblica Islamica, aveva aggiunto il Comandante in Capo, è al potere una «dittatura corrotta», la cui principale vittima è il «popolo». Ad applaudire al duro intervento, il Premier israeliano Benjamin Netanyahu il quale aveva ribadito: «l’ Iran sta sviluppando missili che minacciano il mondo intero: l’accordo sul nucleare iraniano va cambiato o respinto». Dal canto suo, in un’ intervista al ‘CBS This Morning’, nel corso dell’ ultimo viaggio a Washington, Bin Salman ha chiarito che «l’Arabia
Saudita non vuole acquisire alcuna bomba nucleare, ma senza dubbio se
l’Iran svilupperà una bomba nucleare lo seguiremo il più presto
possibile». Il verso del poeta persiano Saadi, «la formica che vuole combattere contro un’aquila è sull’orlo del precipizio della morte» è stata la risposta del portavoce del ministero degli esteri iraniano, Bahram Qassemi.
Al dicembre scorso risale la decisione dell’ amministrazione Trump di riconoscere Gerusalemme
quale capitale di Israele e futura sede dell’ ambasciata a stelle e
strisce. Ciò non ha fatto altro che aumentare gli attriti con l’ Iran.
Ma, a differenza di altri Paesi, la reazione dell’ Arabia Saudita,
campione del sunnismo e sede di due dei luoghi sacri dell’ Islam (Mecca,
Medina), non è sembrata spiccare.
In occasione di una recente conferenza a Monaco, nel confronto indiretto con il ministro degli Esteri dell’Iran, Mohammad Javad Zarif, il premier israeliano ha avvertito: «Come allora Hitler venne incoraggiato dalle concessioni fatte da leader con buone intenzioni», così l’intesa sul nucleare ha «scatenato la tigre iraniana nella nostra regione». Parole simili ha utilizzato Bin Salman che, intervistato da ‘The Atlantic’, si è riferito alla Repubblica islamica dicendo: «è
Hitler del Medio Oriente. Negli anni ’20 e ’30 nessuno vide Hitler come
un pericolo. Solo poche persone. Finché non è successo. Non vogliamo
vedere cosa è successo in Europa in Medio Oriente».
Andando oltre la somiglianza della retorica anti-iraniana usata dai
due leader, l’ intesa si è già palesata in alcuni campi decisivi. «Israele
è pronta a scambiare informazioni, comprese quelle d’intelligence, con i
Paesi arabi moderati per affrontare l’Iran. Ci sono molti interessi
condivisi tra noi e l’Arabia Saudita» ha dichiarato quattro mesi fa il capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano, il generale Gadi Eisenkot, in un’intervista al quotidiano saudita Elaph, la prima rilasciata da un esponente militare dello Stato Ebraico ad un media wahabita. «L’Iran» – secondo il militare – «progetta
di controllare il Medio Oriente con due ‘mezzelune sciite’: la prima
parte dall’Iran e, attraverso l’Iraq, arriva fino in Siria e in Libano.
La seconda muove dal Bahrein e, attraverso lo Yemen, giunge fino al mar
Rosso. Su questa faccenda noi e il regno dell’Arabia Saudita, che non è mai stato nostro nemico e con cui non abbiamo mai combattuto, concordiamo completamente».
Per quanto concerne la Siria, contestualmente alla lotta all’ Isis, il generale israeliano ha ribadito che «non
permetteremo che le truppe iraniane si stabiliscano in Siria e le
abbiamo già messe in guardia per quanto riguarda la costruzione di
industrie o basi militari». Ma, come si è visto recentemente, Teheran, principale sostenitore delle forze del regime di Bashar Al-Assad,
coopera con Damasco non solo sul piano militare, ma anche su quello
economico. E se da una parte Erdogan, Rouhani e Putin sembrano spartirsi
quanto rimane della Siria, Trump annuncia il progressivo ritiro dei
soldati statunitens. In Libano, il contrasto a Hezbollah rimane in cima
alle preoccupazioni mentre in Yemen è costante la minaccia iraniana,
ravvisabile, nell’ ottica saudita, nella fornitura ai ribelli Houthi di
missili per difendersi dai quali, stando alle indiscrezioni riportate dal quotidiano israeliano Jerusalem Post un paio di mesi fa, l’Arabia Saudita avrebbe intavolato delle trattative per acquistare il sistema di difesa Iron Dome, prodotto dall’ azienda israeliana Rafael Advanced Defense Systems (RAFAEL) e capace di intercettare razzi a media velocità, e il Trophy Active Protection (APS), in grado, una volta installato su veicoli militari, distruggere missili e razzi.
Come se non bastasse, «Israele» – ha chiosato Bin Salman – «è una grande economia rispetto alle loro dimensioni ed è un’economia in crescita». L’ innovazione tecnologica, cifra dello Stato ebraico, – ha affermato Michael Oren, oggi in qualità vice ministro per la Diplomazia israeliano, – potrebbe essere un altro terreno di alleanza.
Nella prospettiva per cui ‘il nemico del mio nemico è mio amico’, Eisenkot non ha avuto remora a riconoscere che «quando
si parla dell’asse iraniano c’è un’intesa totale tra noi e loro. Ho
partecipato a un incontro di responsabili militari a Washington e,
quando ho sentito il rappresentante saudita parlare, ho trovato la sua
visione sull’Iran allineata alla mia».
L’ 82enne Re saudita Salman ha il suo pieno sostegno al diritto dei
palestinesi ad uno Stato indipendente con Gerusalemme come capitale, nel
tentativo di correggere il tiro delle dichiarazioni del figlio, il
principe ereditario. Ma quale segnale nasconde quest’ apertura di Bin
Salman nei confronti di Israele? A rispondere Alberto Negri,
già corrispondente per il Sole 24 ore in Medio Oriente, Africa, Asia
Centrale e Balcani dal 1987 al 2017, oggi consigliere dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale).
Israele e Arabia Saudita non hanno mai avuto relazioni
diplomatiche. Ma gli spiragli di apertura sono ormai evidenti. Come si
spiegano le dichiarazioni del principe ereditario saudita? Sta cambiando
qualcosa? Perché?
Arabia Saudita e Israele hanno un nemico in comune che è l’ Iran. E’
su questo che si fonda quest’ apertura dell’ Arabia Saudita ad Israele,
oltre al rapporto con gli Stati Uniti. Sull’ Iran, conosciamo bene qual’
è la posizione di Ryad che, al momento, sta annaspando in questa guerra
in Yemen, ormai divenuta una sorta di ‘Vietnam arabo’, dove non riesce
ad avere ragione dei ribelli sciiti Houthi, alleati di Teheran. Ed è per
questo che cerca anche altri alleati nella regione, per cercare di
arrivare ad una vittoria che, finora, non gli hanno regalato neppure gli
americani a capo dell’ aviazione saudita in Yemen. Forse i sauditi
sperano che gli israeliani gli diano una mano a vincere questa guerra
nel cortile di casa che hanno intrapreso nel 2015 e che sta dirigendo lo
stesso Salman, ministro della difesa e principale responsabile delle
scelte militari dell’ Arabia Saudita degli ultimi due anni. Scelte che
hanno rivelato, per la verità, l’ incapacità del principe sul campo
militare.
Il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman ha paragonato la Repubblica Islamica alla «Germania di Hitler», definendola, inoltre, come parte del «triangolo del male»
a cui appartengono anche la Fratellanza musulmana e il terrorismo.
Questa è, però, solo l’ ultima di una lunga serie di accuse rivolte a
Teheran da parte dell’ Arabia Saudita che, insieme ad Israele, hanno più
volte indicato l’ Iran quale fomentatore delle varie crisi che
devastano la regione.
E questo sappiamo bene che è totalmente falso perché i sauditi sono
stati i maggiori alleati degli Stati Uniti nella destabilizzazione del
Medio Oriente a partire dalla guerra in Afghanistan contro l’ armata
rossa nel 1979. In quell’ anno, infatti, i sovietici invasero l’
Afghanistan e i sauditi aiutarono i pakistani e gli americani a
sostenere i mujaheddin contro l’ armata rossa. Poi i sauditi, nella
guerra in Siria, sono stati tra i principali protagonisti della
destabilizzazione del regime di Assad finanziando milizie islamiche e
jihadiste. Quindi è evidente che Arabia Saudita e Iran siano i due
maggiori competitori nel Golfo e che si fronteggino l’ uno, cercando di
guidare i sunniti, e l’ altro, nel tentativo di controllare quella
‘mezzaluna sciita’ che va da Teheran fino al Libano con gli Hezbollah.noltre, sia Israele sia l’ Arabia
Saudita, fin dalla sua sottoscrizione nel 2015, non hanno mai nascosto
la loro avversione all’ ‘Accordo sul nucleare iraniano’. Nella stessa
intervista a ‘The Atlantic’, il giovane principe ereditario è tornato a
denunciare come, a dir suo, «i benefici economici dell’accordo nucleare non vanno al popolo» iraniano.
Questo accordo doveva in qualche modo sancire una
stabilizzazione regionale e, soprattutto, il congelamento dei programmi
nucleari iraniani. I sauditi hanno un doppio obiettivo: far schierare
sempre di più gli Stati Uniti contro l’Iran e l’ arrivo di John Bolton
come consigliere per la sicurezza nazionale, in un certo qual modo,
favorisce sia i sauditi che gli israeliani in questa contrapposizione
con Teheran; far saltare questa intesa che, qualora dovesse essere
effettivamente cancellata, porterebbe anche ad una proliferazione
nucleare nella regione tant’è vero che lo stesso Salman è andato a
Washington sostenendo che se l’ Iran riuscisse a dotarsi della bomba
nucleare, anche l’ Arabia Saudita farebbe altrettanto. Questo porterà
ulteriore instabilità: invece di arrivare a cercare la pacificazione del
Medioriente, a far tacere le armi, si aumenta il potenziale bellico
della regione fino a renderla una polveriera dove, da un momento all’
altro, potrebbe scoppiare un conflitto ancora più devastante di quelli a
cui abbiamo assistito fino ad oggi. Inoltre, non dimentichiamo che l’
Arabia Saudita è una monarchia assoluta, dove non si svolgono neanche
regolari elezioni. Con quale legittimità, allora, parla di altri Paesi,
non essendo nemmeno una democrazia. Non basta abolire il divieto di
guida alle donne. Questi sono tutti provvedimenti cosmetici, decisi da
un principe che deve farsi dare armi dall’ Occidente e che vuole
coinvolgere gli Stati Uniti e Israele in una guerra contro l’ Iran, se
possibile, e fargliela fare per conto suo, visto che i sauditi non hanno
mai vinto una guerra.
Quanto ha contato l’ attivismo dell’ Amministrazione Trump e del genero del Presidente, Jared Kushner?
Sicuramente anche le pressioni esercitate dal genero ebreo di Trump,
Kushner. La posizione della Casa Bianca è stata fortemente influenzata
dalla lobby israeliana negli Stati Uniti. Il presidente Trump è sempre
più indebolito nelle sue posizioni di politica internazionale, così
anche dall’ inchiesta di Mueller e ha bisogno di aggrapparsi a qualcuno
per rimanere in piedi: sul piano interno, cerca di tenere dalla sua l’
elettorato popolare con la guerra contro la Cina; sul piano
internazionale, cerca di avere dalla sua parte lo Stato israeliano che
ha una pesante influenza, attraverso la lobby, nelle decisioni che
vengono prese dagli Stati Uniti. E questi sono stati i motivi che
condotto Trump, prima, al riconoscimento di Gerusalemme per la sede
dell’ ambasciata americana e che, poi, in fondo, hanno favorito, grazie
anche a Kushner, gli incontri del principe Bin Salman in Israele,
incontri segreti che poi non sono rimasti neanche troppo segreti e che,
in qualche modo, hanno portato, per esempio, alla decisione di far
sorvolare dagli aerei di Air India lo spazio saudita. E questi sono
segnali che fanno pensare anche che Salman e l’ Arabia Saudita abbiano
bisogno di compattare un certo fronte delle monarchie del Golfo e di
spostarlo sul lato israeliano. Cosa molto facile, ma che, probabilmente,
è anche la conseguenza delle fatture che ci sono state tra le monarchie
del Golfo, in particolare sulla questione del Qatar.
In effetti, al riconoscimento, da parte di Washington, di
Gerusalemme quale capitale d’ Israele e futura sede dell’ ambasciata
americana, la reazione saudita è stata molto più ‘silenziosa’ rispetto a
quella di altri Paesi arabi. Qual’ è la linea saudita su Gerusalemme?
L’ Arabia saudita si è già ‘venduta’ agli americani. I sauditi hanno
bisogno degli Stati Uniti per tenere in piedi questa guerra in Yemen,
diretta, per quanto riguarda i bersagli dell’ aviazione, dagli
americani. Necessitano di armi e di essere sostenuti. Per questo, i
sauditi seguono un po’ la politica americana. Il fatto di essere stato
tre settimane in America. La stessa intervista a ‘The Atlantic’ non è
altro che un’ operazione di immagine. Ma cosa c’è dietro questa
operazione di immagine dell’ Arabia Saudita? Occorre far digerire all’
opinione pubblica americana questa ‘nuova’ – che poi tanto nuova non è
visto che risale al 1945 – alleanza con un Paese che è sospettato anche
di essere stato dietro agli attacchi dell’ 11 Settembre, come sosteneva
la relazione della Commissione esteri del Congresso. Viaggi, interviste
servono a far apparire come un riformatore l’ erede alla Corona di una
monarchia che assoluta era e assoluta resta e che è stata fra i maggiori
finanziatori di gruppi radicali in giro per il mondo, oltre che
portatrice di un’ ideologia religiosa, quella wahabita, la più
retrograda di tutto il panorama musulmano. Poi lo stesso principe dice
che bisogna riformare l’ Islam, ma se per lui riformare l’ Islam vuol
dire far guidare l’ auto alle donne, siamo veramente all’ età della
pietra.
Tra le preoccupazioni comuni ad Arabia Saudita e Gerusalemme, oltre la Siria, anche la questione Libano e di Hezbollah.
Evidentemente sì perché Israele vede negli Hezbollah la pistola
puntata dell’ Iran. Hezbollah che hanno dimostrato di essere la più
efficiente organizzazione politico-militare del Medioriente dopo
Israele, resistendo nel 2006 allo Stato ebraico quando quest’ ultimo ha
attaccato il Libano, ma resistendo anche in Siria, dove hanno sostenuto,
insieme all’ Iran, i primi cinque anni della guerra tra Assad e i
ribelli. L’ Arabia Saudita ha un ruolo anche su questo fronte e lo
abbiamo visto con quella specie di sequestro di Saad Hariri, avvenuto
nell’ inverno scorso: l’ idea di Ryad era quella di ribadire ad Hariri
il divieto di fare accordi di governo con Hezbollah, che comunque
siedono nel Parlamento libanese. Non solo: in una recente intervista,
Nasrallah, leader di Hezbollah, ha dichiarato che l’ Arabia Saudita ha
fatto ancora una volta offerte a Damasco per rompere l’ alleanza con l’
Iran, dimostrando che tutte queste guerre, questi conflitti, sono in
realtà guerre per procura contro l’ Iran, e su questo punto tanto
Israele quanto Arabia Saudita hanno una convergenza molto forte.
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