Orly Vilnay Mi rifiutavo di credere che Tel Aviv praticasse la segregazione nelle scuole materne – fino a quando ne ho visitata una
21 gennaio 2018, Haaretz
Con
il beneplacito del Comune, i bambini dei richiedenti asilo africani e i
bambini del raffinato quartiere di Tzahala non giocano insieme.
Non
volevamo credere alla donna del nord di Tel Aviv che ci ha parlato
della segregazione. Pensavamo si stesse immaginando delle cose quando
disse che ci sono scuole materne separate per bambini bianchi e neri nel
quartiere Tzahala di Tel Aviv. Ma lei insisteva. Così siamo andati nel
complesso della scuola materna di Tzahala e continuavamo ad andare
avanti e indietro tra le aule assimilando l’incredibile vista: una
scuola materna era piena di bambini bianchi; l’altra di bambini neri. In
Israele, 2018.
Quando
effettivamente si vede la segregazione in atto a nord di Tel Aviv,
improvvisamente si capisce la lotta di Sheffi Paz – una delle leader più
esplicite del movimento di protesta contro i richiedenti asilo che
vivono a sud di Tel Aviv. Per anni ha urlato che nessuno sarebbe stato
d’accordo nel far “invadere” il proprio quartiere dagli stranieri – e
qui a nord di Tel Aviv gli abitanti stanno facendo esattamente ciò che
lei rivendica.
All’inizio
le intenzioni erano buone. Il Comune di Tel Aviv era nel giusto quando
ha preso la decisione di “disperdere” i bambini dei richiedenti asilo e
non concentrarli nel sud della città. Nell’attuale anno scolastico, il
numero di bambini stranieri in età prescolare è raddoppiato e l’idea è
stata che, se c’erano madri richiedenti asilo che lavoravano a nord di
Tel Aviv, sarebbe stato opportuno che i loro figli andassero lì
all’asilo. Il Comune fornisce anche il trasporto per i bambini da e per
la scuola materna.
Bene,
la sede sarà anche cambiata ma la segregazione è stata perfettamente
mantenuta. Non vi è alcun contatto tra i figli degli stranieri e i
bambini di questo quartiere di lusso. Non giocano insieme e non fanno
attività insieme. Niente di niente. Bianco e nero.
La
nostra coordinatrice di programma, Ayelet Arbel, ha contattato la
scuola materna e il Comune, fornita di domande da porre come madre di un
bambino in età da asilo.
Arbel: “I bambini del sud di Tel Aviv sono lì con loro?”
Insegnante dell’asilo: “No, hanno il loro personale apposta; sono in scuole secondarie separate. “
Arbel: “Non c’è mescolanza tra i bambini?”
Insegnante
dell’asilo: “No, nessuna mescolanza. Ma stanno bene anche loro. Non c’è
nulla di cui aver paura, sono bravi bambini. “
Arbel: “Non lo metto in dubbio, sto solo chiedendo”.
Insegnante dell’asilo: “No, no, no, loro sono nel loro cortile, hanno il loro personale. Non siamo insieme.”
L’Assessorato all’Istruzione del Comune ha fornito risposte più dettagliate, includendo anche una “analisi antropologica”.
Il
rappresentante del servizio municipale di Tel Aviv: “È perché nel sud
della città c’è una carenza di spazio e ci sono molti bambini e qui
abbiamo spazio, quindi vengono trasportati ogni giorno, e queste sono le
scuole dell’infanzia destinate agli stranieri”.
Arbel: “Perché non sono insieme agli altri bambini?”
Impiegato
municipale: “Perché in linea di principio sono ospiti. Il Comune
assegna i bambini in base alla loro zona di residenza, il che significa
che i bambini che vivono in questo quartiere sono assegnati a una scuola
in questo quartiere insieme a bambini che sono i loro vicini, che
vivono vicino, così si faranno la loro cerchia di amici nella zona.”
Arbel: “È triste.”
Impiegato
municipale: “Non è affatto triste, non si preoccupi. Ottengono la
migliore istruzione possibile. Considerando quanto sia diversa la loro
cultura e i loro standard e livelli di vita – sa, con quello a cui sono
abituati – non c’è paragone “.
Arbel: “Sì, certo”.
Impiegato municipale: “Sono stato in Africa, posso dirlo per esperienza.”
Arbel: “L’hanno chiesto i genitori che non stiano insieme?”
Lavoratore
municipale: “Non saprei dirlo. Sono dei politici da qualche parte che
hanno deciso. Il dieci per cento dei bambini in città sono stranieri e
si deve trovare un modo che vada bene. Se avessero detto ‘Dai, viviamo
tutti insieme in armonia e mettiamo i bambini di Tzahala insieme ai
figli degli stranieri’ penso che la maggior parte dei genitori sarebbe
fuggita”.
Quindi,
per il bene di quell’impiegato municipale, diciamo che qui non siamo in
Africa. Che i richiedenti asilo vivono uno stile di vita completamente
israeliano – o almeno ci provano. Che i loro figli sono altrettanto
intelligenti, curiosi e innocenti come i nostri figli. E che se i
pregiudizi fossero messi da parte e ai bambini fosse permesso
“mescolarsi”, anche i bambini di Tzahala ne profitterebbero, forse anche
di più.
Che
vantaggio c’è per i bambini nel crescere in un ambiente totalmente
omogeneo? Che l’unica persona di colore che vedono mai sia lo spazzino? E
fino a quando questi bambini continueranno a essere allevati
all’esclusione, all’odio e al razzismo?
Il
Comune di Tel Aviv ha risposto: “Questi sono gli asili per i bambini
della comunità straniera. Il loro rapido aumento numerico ha creato una
penuria di spazio per le scuole vicino al loro luogo di residenza.
Pertanto, i bambini vengono trasportati in scuole materne distanti e nel
pomeriggio vengono trasportati nei doposcuola a sud della città”.
Per
dirla tutta: chi ha scritto questo articolo è madre adottiva di un
bambino eritreo. È l’unico bambino nero nella sua scuola materna, ma se
chiedi ai suoi amici non vedono alcuna differenza tra lui e chiunque
altro.
( Traduzione di Luciana Gagliano)
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