Soldati italiani nella No man's land del Niger (di U. De Giovannangeli)
Soldati italiani nella No man's land del Niger (di U. De Giovannangeli)
Non è "solo" il più grande Paese di transito di migranti. Il Niger è
anche altro: una immensa terra di nessuno dove a farla da padroni, in
una parte significativa dell'immenso territorio, sono miliziani
jihadisti, tribù in armi e organizzazioni criminali che fanno del
traffico di esseri umani il loro core business. Su questa area cruciale
del "corridoio libico" sono passati, solo per restare all'anno che sta
per chiudersi, oltre 300mila migranti destinati a riempire le tasche di
criminali e signori della guerra che spopolano sulla rotta del
Mediterraneo. L'Italia, ha ribadito oggi il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni,
è impegnata nel contrasto degli schiavisti del Terzo Millennio e a
questo scopo nei prossimi mesi invierà in Niger una parte del
contingente militare attualmente impiegato, con funzioni di
addestramento, in Iraq: 470 militari.
In Italia il dibattito è aperto. Ma prima di prendere posizione, pro o
contro, forse sarebbe bene sapere in che realtà i nostri militari
andranno a operare (altra cosa è con quali regole d'ingaggio). "Le
organizzazioni europee per la difesa dei diritti umani si occupano in
genere dei diritti di libertà (di stampa, di espressione, di
manifestazione ecc.). Qui in Niger abbiamo compreso che la varietà dei
diritti negati è molto più ampia e ricomprende prima di tutto quelli
elementari alla sopravvivenza, alla salute, all'istruzione, al lavoro,
all'energia e, perfino, allo stato civile (dal momento che solo il 30%
dei bambini sono registrati alla nascita). L'insicurezza alimentare è il
primo problema del Niger. Il Paese si colloca all'ultimo posto (182° su
182) nell'indice PNUD 2009 dello sviluppo umano. E tutte le cifre sono
spaventose: il reddito medio per abitante è di 627 dollari all'anno, la
speranza di vita è di 50,1 anni, il tasso di mortalità infantile è
altissimo, quello di scolarizzazione bassissimo...", documenta Nicola
Quatrano su Osservatorio internazionali dei diritti.
E ancora: "Precarietà e disoccupazione sono generalizzate e ognuno è
costretto a darsi vorticosamente da fare, nei modi più vari, per mettere
insieme il pasto della sera. Niamey, la capitale, è un immenso mercato,
dove ogni marciapiede, ogni spazio, è occupato da venditori, che
sembrano essere di gran lunga più numerosi degli acquirenti. Moltissimi
bambini, anche piccolissimi, chiedono l'elemosina, la maggior parte sono
figli di famiglie povere che sono stati affidati a un marabutto (una
sorta di sacerdote, titolare di una scuola coranica) e sono costretti
dal loro "maestro" a mendicare. Chi non porta la somma pattuita resta
senza mangiare, o addirittura viene percosso. Ma è possibile assistere
ad altre scene tremende: i redattori del giornale Alternative hanno
raccontato di avere incontrato delle donne (tra cui Aissa, 70 anni) che
fanno ogni giorno diversi chilometri a piedi per recarsi nella discarica
della fabbrica di riso di Tillaberi, dove passano la giornata a cercare
qualche grano di riso che potrà servire a preparare il pasto della
sera....".
L'economia si basa per l'80% sull'agricoltura di sussistenza e
l'allevamento del bestiame. Ma l'agricoltura in Niger è costretta a
lottare contro molte insidie: siccità e inondazioni, scarsa qualità del
terreno, mercati sottosviluppati in tema di sementi e fertilizzanti,
povertà dei pascoli. Con circa il 60% della popolazione che vive sotto
della soglia di povertà, i consumi alimentari delle famiglie sono un
grave problema legato alle stagioni. Per molti abitanti del paese
l'insicurezza alimentare e la fame sono croniche. I tassi di
malnutrizione sono altissimi: la piaga colpisce circa il 40% dei
bambini, e la malnutrizione acuta grave raggiunge un allarmante 10%.
Il Niger è il Paese dove i bambini sono maggiormente minacciati ed
esposti a rischi per la loro vita e il loro sviluppo, seguito da Angola,
Mali, Repubblica Centrafricana e Somalia, documenta Save the Children, nel nuovo rapporto "Infanzia rubata",
primo Indice globale sull'infanzia negata nel mondo, presentato il
primo giugno 2017. Che in questo abisso senza fondo di miseria e degrado
possano attecchire jihadisti e trafficanti non dovrebbe destare
sorpresa. Nel 2017, ricorda Amnesty International nel
suo rapporto annuale sullo stato dei diritti umani e civili nel mondo, è
proseguito il conflitto armato, in particolare nella regione
sudorientale di Diffa, dove la maggior parte degli attacchi è stata
compiuta dal gruppo armato Boko Haram. Almeno 300.000 persone
necessitavano di aiuti umanitari, a seguito dei combattimenti e del
prolungato stato d'emergenza. Oltre 1.400 sospetti membri di Boko Haram
erano in carcere, per lo più trattenuti per lunghi periodi in detenzione
preprocessuale, in condizioni deplorevoli e a rischio di tortura. I
diritti di rifugiati e migranti in transito nel Niger sono stati
violati.
A fine 2016, secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per il
coordinamento degli affari umanitari (Office for Coordination of
Humanitarian Affairs – Ocha), nella regione di Diffa, almeno 300.000
sfollati necessitavano di assistenza umanitaria. Questi comprendevano
oltre 184.000 sfollati interni del Niger, 29.000 cittadini nigerini
rientrati nel paese e 88.000 rifugiati nigeriani. Molti vivevano in
condizioni deplorevoli all'interno di accampamenti improvvisati. La
situazione d'insicurezza ha bloccato l'accesso a beni di prima necessità
e a servizi essenziali come cibo, acqua e istruzione, mentre il
perdurare dello stato d'emergenza ha ostacolato le attività economiche.
Il Niger accoglieva nelle regioni di Tillabéri e Tahoua almeno 60.000
rifugiati del Mali, anch'essi bisognosi di assistenza. Il numero delle
persone che transitavano attraverso il Niger, nel tentativo di
raggiungere l'Europa - rimarca AI - è continuato a crescere nel 2017 e
Agadez è divenuta il principale nodo di transito per i migranti
provenienti dai Paesi dell'Africa Occidentale. Ad Agadez, denunciano i
15 sindaci della regione, non è stato fatto nulla per offrire
alternative al business dei migranti. "Questi ragazzi si sono fidati di
noi e hanno smesso di trasportare persone in Libia. Si aspettavano
alternative, come promesso dall'Europa, ma ancora non abbiamo visto
niente", si legge in un comunicato diffuso lo scorso aprile. I sindaci
inseriscono poi una critica radicale al metodo della cooperazione allo
sviluppo europea. "Le agenzie europee gestiscono i loro progetti senza
coinvolgerci. Si comportano come se non esistessimo. I Paesi che fanno
partnership con le nostre autorità devono capire che non si può fermare
il traffico di migranti se non si coinvolge la gioventù locale, se non
coinvolgono noi".
A ottobre, uno studio condotto dall'Iom ha rilevato che il 70% delle
persone arrivate in Italia via mare, molte delle quali erano transitate
in Niger, era stato vittima della tratta di esseri umani o di
sfruttamento, comprese migliaia di donne e ragazze costrette a
prostituirsi in Libia o Europa. Nonostante l'approvazione nel 2015 di
una legge contro la tratta, poco è stato fatto per prevenire questa
pratica in Niger.
Dopo l'annuncio del premier italiano in molti si sono cimentati
nell'"arte", si fa per dire, degli strateghi o dei geopolitici. Nella
stragrande maggioranza in Niger non hanno messo mai piede. A differenza
di Luca Raineri, ricercatore presso la Scuola Superiore Sant'Anna di
Pisa che ha svolto diverse ricerche sul campo per lo più nel Sahel, in
Mali, in Niger e nel Senegal. Questa la sua riflessione: "L'industria
del traffico di esseri umani contribuisce all'aumento del reddito del
Niger e alla stabilità del suo attuale governo. Ad esempio, si dice che
le società di autobus – che sono strettamente legate al contrabbando di
esseri umani – appoggino l'attuale governo. Così, qualora quest'ultimo
volesse interrompere tale traffico, queste persone – che sono molto
potenti e rappresentano, forse, la fonte di economia più importante del
Paese - indirizzerebbero altrove il loro sostegno, il che
comprometterebbe la stabilità del regime. Inoltre, coloro che guidano le
auto, i pullman e i furgoni con a bordo i migranti attraverso la città
di Agadez, alle porte del Sahara, sono spesso anche le stesse persone
che alcuni anni prima prendevano parte a insurrezioni e rivolte.
Pertanto, si capisce come il governo non abbia intenzione di lasciare
questi individui senza lavoro, nonostante non svolgano la loro attività
in modo legale. Il terzo elemento – prosegue Raineri - che vale la pena
sottolineare è che anche l'esercito, approfittando dell'industria del
traffico umano, sta facendo tanti soldi. Un esempio di questo fiorente
mercato è dato dall'applicazione di una tassa che viene fatta pagare a
tutti coloro che passano sulle principali rotte di contrabbando nel
Paese. Il Niger, in realtà, è una nazione in cui hanno avuto luogo
diversi colpi di Stato, cinque o forse di più, e tutti hanno provocato
il rovesciamento dei precedenti regimi. Da questo si può capire quanto
sia fondamentale la stabilità dei poteri al fine di assicurare la
tranquillità del sistema di sicurezza. Ed è dunque, forse, questo il
motivo per cui coloro che sono al potere vedano il perpetrarsi di tale
istigazione sistematica alla corruzione o ad attività di traffico, a
scapito dei migranti, come una sorta di male minore rispetto a
un'eventuale destabilizzazione del Paese...".
Considerazioni che portano ad una prima conclusione: in Niger, come
in Mali, e negli altri Paesi dell'Africa subsahariana o subsaheliana di
origine e di transito di migranti, pensare di contrastare i trafficanti e
i loro alleati jihadisti senza attivare nel contempo progetti volti a
migliore le condizioni di vita della popolazione locale, più che una
illusione appare un pericoloso azzardo. Tanto più alla luce del fatto
che i nostri 470 militari dovranno non solo assistere le forze nigerine
nel training ma compiere anche missioni più dirette, come "attività di
sorveglianza e controllo del territorio". E controllo e sorveglianza
implicano azioni molto impegnative. Frase generica che implica molto
lavoro, piuttosto impegnativo.
Inizialmente gli italiani - potrebbero essere i parà della Folgore i
primi a partire - lavoreranno a Niamey insieme ai francesi, presenti
nell'area del Sahel con gli oltre 3mila militari dell'operazione
"Barkhane". A Barkhane partecipano anche le forze armate di 5 ex colonie
francesi (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger). Si tratta di
una regione dove è forte e radicata la presenza di milizie jihadiste,
che vanno ben oltre l'Isis, che nelle aree di frontiera tra Niger, Libia
e Algeria (a Ovest) e Niger, Libia e Ciad (a Est) hanno assorbito i
reduci delle lunghe battaglie algerine e ha sfruttato la frammentazione
della Libia per rafforzarsi e diventare sempre più insidioso. Il
contingente italiano dovrebbe sostituire la guarnigione francese che
presidia l'avamposto Madama, un vecchio fortino della Legione Straniera a
poca distanza dalla frontiera libica. I nostri militari andranno dunque
in uno dei punti più esposti dell'"Africanistan", un'area dove sono in
corso circa trentacinque guerre dalle quali fuggono milioni di
disperati. Definirla una missione a rischio è un eufemismo.
Commenti
Posta un commento