Nei conti offshore il 10% del Pil mondiale. E 220 miliardi vengono dall'Italia
Il record di Israele, Kenya e Paesi del Golfo
repubblica.it
Adesso che Trump ha aperto il cantiere della riforma fiscale Usa,
a Londra riesumeranno la minaccia di fare dell'Inghilterra un
gigantesco paradiso fiscale, con tassi stracciati sui profitti, alle
porte della Ue? Improbabile, visto che Londra sembra aver ormai fatto la
scelta di una Brexit morbida. Ma, soprattutto, superflua: la Gran
Bretagna è già un gigantesco aspiratore di soldi clandestini. Non
stanziali, in verità, ma in transito. Nel senso che il governo della
Regina consente al sistema finanziario britannico di funzionare da
condotta per il trasferimento nei paradisi fiscali veri e propri di una
larga fetta dei capitali offshore. Secondo una ricerca dell'Università
di Amsterdam, il 14 per cento di tutti i capitali destinati a scomparire
in qualche società di comodo dei Caraibi viene rilanciato attraverso
l'Atlantico da banche e finanziarie inglesi. C'è chi fa di più:
l'Olanda, patria del “double dutch sandwich” che ha fatto le fortune
fiscali di Apple e Google, è la tappa preferita dal 23 per cento dei
capitali in cerca di nascondigli sicuri. La tanto chiacchierata Svizzera
è indietro.
Da dove vengono questi soldi, disinvoltamente gestiti da paesi a cui molto piace fare prediche agli altri? Dal 2016, la Banca dei regolamenti internazionali ha reso disponibili i dati che consentono di incrociare i soldi nelle banche offshore
con la loro provenienza. Solo i depositi bancari, non gli investimenti
in titoli o in immobili. Ma anche i soli depositi sono una montagna: il
10 per cento del Pil mondiale. In pratica, per ogni dollaro di
produzione nel mondo, uno finisce nascosto offshore. Secondo uno studio
di Annette Alstadsaeter, Niels Johannesen, Gabriel Zucman sui dati Bri,
sono i ricchi di Israele, Russia, Kenya e gli sceicchi arabi i più
entusiasti imboscatori di denaro: in media, ognuno di questi paesi ha
nelle banche di paesi compiacenti uno sterminato tesoro, equivalente al
40-60 per cento dei loro Pil nazionali. Ma non sono i soli. Secondo
Zucman e colleghi, non sono gli americani a ricorrere più facilmente
alla discrezione di banche compiacenti. Molto più attivi gli europei. E
non i soliti sospetti.Da dove vengono questi soldi, disinvoltamente gestiti da paesi a cui molto piace fare prediche agli altri? Dal 2016, la Banca dei regolamenti internazionali ha reso disponibili i dati che consentono di incrociare i soldi nelle banche offshore
Secondo lo studio, gli italiani hanno nei forzieri offshore l'equivalente del 14 per cento dell'attuale Pil, oltre 220 miliardi euro, una cifra largamente superiore, visto che si tratta solo di depositi in banca, alle stime della Banca d'Italia. Ma il fisco efficiente degli altri paesi non sembra spaventare i loro ricchi e straricchi. I francesi hanno imboscato all'estero l'equivalente del 15,4 per cento del Pil, gli austeri tedeschi il 16 per cento. I conti di Zucman, Alstadsaeter, Johannesen gettano anche una luce nuova sulle profonde pulsioni della psicologia sociale che stanno modificando la mappa politica europea. Mettendo nel conto i soldi offshore, paesi apparentemente egualitari (rispetto a Usa e Inghilterra) come Francia e Germania lo sembrano assai meno e le disuguaglianze reali si avvicinano molto di più a quelle percepite, alla radice di tanta rabbia sociale che promuove i partiti populisti.
Le duemila famiglie più ricche di Francia, le duemila più ricche di Inghilterra, le 1.500 più ricche di Spagna (lo studio non riferisce dell'Italia, difficile però che i dati siano diversi) tengono imboscato all'estero il 30-40 per cento della loro ricchezza. E' una cifra enorme, che ridisegna tutta la piramide sociale e la sua storia. Lo 0,1 per cento dei francesi più ricchi detiene non l'8,2 per cento della ricchezza nazionale, come hanno dichiarato al fisco, ma il 10,7 per cento, tenendo conto anche solo dei depositi bancari offshore e non di ville o titoli, quasi un terzo in più. Lo 0,01 per cento – le duemila famiglie di straricchi su 20 milioni – non si limita a tenersi in tasca il 3 per cento della ricchezza nazionale: arriva, con i conti parcheggiati all'estero, a sfiorare il 5 per cento, due terzi in più di quanto risulta al fisco.
Lo smottamento avvenuto nella piramide sociale è evidente. Negli anni '80, anche con i conti offshore, le duemila famiglie di straricchi detenevano ufficialmente meno del 2 per cento della ricchezza nazionale, ma arrivavano, con i quattrini imboscati all'estero, ancora sotto il 3 per cento. Oggi sono al 4,8 per cento. Neanche negli anni '50, prima delle grande ascesa delle classi medie, oggi in via di scomparsa, arrivavano a queste cifre.
(30 settembre 2017)
Commenti
Posta un commento