Sarura: l'IDF smantella la tenda degli ebrei americani, israeliani, palestinesi e internazionali Video
I palestinesi denunciano “aggressioni e intimidazioni”
contro bambini e attivisti locali e internazionali. Sempre più
“preoccupanti” le condizioni dei prigionieri in sciopero della fame da
40 giorni. Nella Striscia di Gaza, intanto, Hamas giustizia i 3 detenuti
accusati di aver ucciso il comandante militare Mazen Faqha. Human
Rights Watch protesta
di Roberto Prinzi
di Roberto Prinzi
Roma, 26 maggio 2017, Nena News – Non c’è pace per il campo
di protesta di Sarura, vicino al villaggio di Yatta (Hebron, sud della
Cisgiordania). Dopo averlo provato a distruggere sabato notte,
sostengono fonti palestinesi, ieri le forze armate israeliane hanno
completato il lavoro aggredendo diversi attivisti internazionali e
distruggendo una tenda. Secondo il coordinatore
dell’organizzazione Youth Against Settlments (Yas), Issa Amro,
l’esercito israeliano è entrato nel campo ieri mattina verso le 10, ha
rimosso una tenda che era stata riposizionata dopo il blitz di alcuni
giorni prima, ha confiscato il materiale di costruzione e ha aggredito
alcuni attivisti. Tra questi, un palestinese di 55 anni di Sarura che è stato trasportato in ospedale per essere curato.
Amro ha accusato i soldati di aver “intimidito” i bambini palestinesi
e gli attivisti ordinando loro di non continuare ad operare nell’area.
Una richiesta che, afferma il coordinatore di Yas, non sarà rispettata
perché le attività continueranno “finché le famiglie non ritorneranno al
loro villaggio e tutti i palestinesi potranno vivere al sicuro nelle
loro case”.
L’esercito non ha commentato al momento le accuse mossegli contro. Tuttavia, il Cogat (l’organismo israeliano che amministra i Territori occupati palestinesi) aveva detto sabato poco dopo il raid che “un numero di costruzioni illegali sono state trovate nelle vicinanze di Maon Ranch [una
colonia israeliana che circonda Sarura, ndr]. “L’avamposto è stato
costruito in una zona militare dove si rischia la vita e il cui accesso è
pericoloso” aveva aggiunto un portavoce del Cogat.
Il campo di protesta di Sarura è stato allestito da
palestinesi, attivisti internazionali ed israeliani nei giorni scorsi
con l’obiettivo di “riportarci la popolazione palestinese” espulsa dalle
forze armate israeliane tra il 1980 e il 1998. Secondo uno
studio dell’Istituto di ricerca Arij di Gerusalemme, lo spopolamento del
villaggio è stato causato dagli ordini militari e dalle continue
minacce e aggressioni dei coloni. Una situazione, quella di Sarura, che
rispecchia quella di molti altri villaggi e paesi dell’Area C (più del
60% della Cisgiordania) sotto il controllo d’Israele dove i palestinesi
possono costruire soltanto con il permesso israeliano (che arriva
raramente se non mai). Le politiche implementate da Tel Aviv
nella zona sono state duramente criticate dall’Ufficio delle Nazioni
Uniti per il coordinamento degli Affari umanitari (Ocha) che ha
accusato lo stato ebraico di aver dichiarato illegalmente migliaia di
ettari di territorio palestinese come “terra statali” per riservarle
allo sviluppo delle colonie israeliane.
Lo spopolamento di Sarura è stato poi accelerato nel 1999 quando Israele ha dichiarato l’area “firing zone”
(zona militare per le esercitazioni dell’esercito) e ha evacuato i suoi
abitanti originari. Accusata per il trasferimento della popolazione
autoctona, Tel Aviv si è difesa: le famiglie sono soltanto “residenti
stagionali”, non “permanenti”. Pertanto, argomenta, risiedono su quel
territorio “illegalmente”.
La rimozione del campo di protesta è giunta nelle ore in cui
aumentano le preoccupazioni per la salute dei 1.300 prigionieri in
sciopero della fame ormai da 40 giorni. Diverse organizzazioni
locali e ong umanitarie, insieme all’Onu, hanno espresso ieri “seria
preoccupazione” per l’aggravamento delle loro condizioni. Issa
Qaraqe, capo del Comitato palestinese per gli Affari dei prigionieri,
non ha usato troppi giri di parole: lo stato di salute dei detenuti è
“molto critico” e rischiano di morire se il sistema carcerario
israeliano (Ips) continua a respingere le loro istanze (visita
dei familiari, diritto all’istruzione superiore, cure mediche
appropriate, fine dell’isolamento e della detenzione amministrativa,
cioè degli arresti senza processi). La criticità del loro stato è
confermata dal fatto che negli ultimi giorni, scrive la stampa
palestinese, 150 prigionieri sono stati trasferiti negli ospedali civili
israeliani per essere curati.
Senza entrare nei dettagli, Qaraqe ha poi fatto riferimento
all’incontro di questa settimana tra il presidente palestinese Abu Mazen
e il suo pari statunitense Donald Trump dicendo che “ha giocato un
ruolo importante perché ha costretto molti a muoversi [su questa
faccenda]”. La conferma che Usa e Autorità palestinese hanno parlato dei prigionieri è giunta anche da Abu Mazen.
Il leader di Fatah, infatti, ha riferito di aver “profondamente
discusso” della questione con Jand Greenblatt, il rappresentante
speciale di Trump per i negoziati internazionali. La protesta dei
detenuti ha il pieno sostegno della popolazione palestinese: ai sit-in
di protesta, alle marce, alle tende nelle principali piazze, ai blocchi
stradali, si registrano da ieri nuovi scioperi della fame (tre ex
detenuti lo hanno iniziato nel villaggio di Jabaa, nei pressi di Jenin).
Continuano, nel frattempo, i blitz delle forze armate israeliane in Cisgiordania:
stanotte sono stati arrestati 8 palestinesi tra Gerusalemme, Silwad
(Ramallah), Yassuf (distretto di Salfit) e Yaabad (Jenin). A finire con
le manette ai polsi anche tre palestinesi del villaggio di Huwwara dove
la scorsa settimana un colono israeliano ha ucciso un loro connazionale.
L’accusa di Tel Aviv: sono sospettati di aver lanciato le pietre contro
l’auto del settler che avrebbe poco dopo sparato dopo mortalmente a
Muataz Hussein Hilal Bani Shamsa. Libero, invece, il suo assassino.
Nella Striscia di Gaza, intanto, il ministero degli interni
ha fatto sapere ieri di aver giustiziato nel quartier generale della
polizia i tre “collaborazionisti” accusati di aver ucciso il comandate
militare del movimento islamista Mazen Faqha. Dura la condanna
di Human Rights Watch: “La morte come punizione data dal governo è di
per sé crudele e sempre sbagliata. Non importa quale siano le
circostanze”. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir
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