Amira Hass : Gli eroi palestinesi di Hebron
Haaretz, Amira Hass, 20 febbraio 2017
L’esercito israeliano non ammette che gli agricoltori palestinesi hanno
bisogno di una scorta militare per coltivare le loro terre, in modo da
impedire ai coloni di creare scompiglio. Quando si parla di estrema violenza perpetrata dai coloni con l’incoraggiam...
Zeitun
L’esercito
israeliano non ammette che gli agricoltori palestinesi hanno bisogno di
una scorta militare per coltivare le loro terre, in modo da impedire ai
coloni di creare scompiglio.
Quando
si parla di estrema violenza perpetrata dai coloni con
l’incoraggiamento ufficiale, si pensa a Hebron (scusandoci per escludere
dalla discussione tutte le altre colonie che beneficiano di
provvedimenti di totale trasferimento – adducendo come motivo la
violenza. E le colonie “moderate” di Efrat, Ariel, Givat Ze’ev e altre
della stessa risma, la cui ingordigia di terra è appoggiata dalla
violenza ufficiale e burocratica, che ha destinato terreni pubblici e
privati alla costruzione di quartieri di classe media per ebrei –
israeliani e di recente immigrazione – mentre distrugge il territorio
palestinese).
Quando
si dice Hebron, si pensa alla città vecchia, ma si dimenticano i
quartieri sparsi lungo la strada sulla quale viaggiano i signori della
terra, da Kiryat Arba alla città fantasma che hanno creato insieme
all’esercito. Tutti i palestinesi che sono rimasti – alcuni solo perché
non possono permettersi di andarsene, altri per la determinazione a non
abbandonare il luogo – non sono nientemeno che eroi. Ognuno di loro
merita il riconoscimento internazionale per il fatto di restare umani
all’ombra di una delle più rozze mutazioni del popolo ebreo.
Kiryat
Arba è costruito “a macchia di leopardo” con quartieri ben ordinati, su
tutto ciò che le menti ebree hanno dichiarato “terra dello Stato” o
espropriata per “necessità militari”. In mezzo e intorno alle ‘macchie’
ci sono case palestinesi, frutteti, vigneti e campi, su un territorio
che Israele non è riuscito a trasformare in proprietà immobiliare di
origine divina.
Per
questo motivo, le persone che vivono lungo la strada, vicino alla zona
di traffico palestinese, tra Kiryat Arba verso il centro di Hebron, sono
anch’esse degli eroi, come ho scoperto la settimana scorsa conoscendo
la famiglia di Abdul Karim Jabari (Haaretz, 19 febbraio). Per questo
eroismo vale la pena di riportare la loro storia.
C’è qualcosa che la famiglia Jabari non ha subito? Il
divieto per circa sei anni di accedere alla propria terra e di
lavorarla. La costruzione da parte dei coloni di una struttura illegale
che occupa una rilevante parte dell’area – che le autorità israeliane
continuano a demolire, solo perché sia ricostruita più volte.
Aggressioni fisiche, danneggiamento dei loro alberi, interruzione del
loro lavoro e imposte astronomiche sulla proprietà.
Il
19 gennaio, tre settimane dopo che il governo aveva detto che Kiryat
Arba non aveva autorità per esigere dai Jabari l’imposta sulla proprietà
locale, l’esercito ha fatto irruzione nella loro casa col pretesto di
cercare armi. Davvero? Secondo i servizi di sicurezza, mi è stato detto.
Cioé
informazioni false, poiché nessuno è stato arrestato e l’ufficio del
portavoce dell’esercito non ha riferito di nessun sequestro. Quel
che possiamo fare è chiederci chi ha fornito la falsa informazione. In
più, l’8 febbraio il coordinatore della sicurezza di Kiryat Arba ha
scoperto che Jabari stava arando il suo terreno, ha deciso che questo
non era stato concordato ed ha ordinato ai soldati di interrompere
l’aratura.
Ho
chiesto all’ufficio del portavoce dell’esercito di rispondere alla mia
ipotesi che l’esercito avesse effettuato l’incursione su ordine dei
coloni, per via della loro esplicita e nota volontà di rendere dura la
vita dei Jabari in modo che la famiglia abbandoni la sua terra e la sua
casa (facilitando l’espansione del quartiere di Givat Ha’avot). Non
ho ricevuto risposta. Ho chiesto anche il nome del comandante che ha
stabilito che i Jabari dovessero concordare con l’esercito i loro lavori
agricoli e il motivo della decisione.
Il
coordinatore dell’esercito per le Attività del Governo nei Territori di
fatto ha detto che tale coordinamento non era richiesto, ma che un
accompagnamento militare era “raccomandato”. Il
COGAT ovviamente non ammetterà che la scorta è consigliata per ottenere
l’ ‘approvazione’ dei coloni ed evitare i loro attacchi.
Nella
sua risposta l’ufficio del portavoce dell’esercito ha detto: “Occorre
sottolineare che l’esercito opera in Giudea e Samaria (Cisgiordania, ndtr.) in un contesto di civili, in cui enti civili hanno un ruolo prestabilito durante le operazioni nell’area. Questo
collegamento avviene secondo regole e procedure. I coordinatori della
sicurezza sono l’ente di sicurezza autorizzato e il collegamento con
loro avviene in base alle regole e alle procedure, ma loro non hanno
autorità di comando sui soldati.”
Per
capire questa risposta enigmatica ed il fatto che il caso del
coordinatore della sicurezza di Kiryat Arba non è stato un incidente
isolato, dobbiamo ritornare all’ultimo rapporto di Breaking the Silence (Ong israeliana di ex soldati che denunciano gli abusi dell’esercito in Cisgiordania, ndtr.):
“ L’Alto Comando – l’influenza dei coloni sulla condotta dell’esercito
in Cisgiordania”, basato su testimonianze di soldati. Ecco qualche
esempio.
Un
sergente in servizio nell’area di Hebron nel 2007 ha detto: “Il
coordinatore della sicurezza civile è come l’intelligence militare nei
territori: ti danno comunicazione di un grave incidente e poi senti il
tuo ufficiale che riceve una telefonata dal coordinatore della sicurezza
civile. In tal modo il coordinatore della sicurezza civile non è altro
che un’estensione dell’esercito.”
Un
sergente maggiore in servizio a Ma’on (colonia a sud di Hebron, ndtr.)
nel 2013 ha detto: “Il coordinatore della sicurezza civile ha affermato
‘Io sono il comandante sul campo, io do gli ordini, quando arriva
l’esercito lo dirigo io.’ ”
Un
altro sergente maggiore in servizio nella valle del Giordano nel 2013
ha detto: “I coordinatori della sicurezza vanno al sodo: ognuno è
padrone nella sua zona.”
Un
altro sergente, in servizio a Ofra (colonia nel nord della
Cisgiordania, ndtr.) nel 2010, ha raccontato di una scorta per i
palestinesi durante la raccolta delle olive in un boschetto che è
rimasta intrappolata nella colonia.
Alla
domanda su chi stabilisse quanto tempo fosse concesso ai palestinesi
per raccogliere le loro olive, ha risposto: “Il coordinatore della
sicurezza civile. E’ l’unico che conosce il problema. Solo dopo gli
eventi capisci chi è il coordinatore della sicurezza civile e che cosa
significa ricoprire quel ruolo. Fa parte della colonia, la protegge; è
contro i palestinesi. Il Ministero della Difesa lo paga, ma lui non è un
loro dipendente. Tu non hai autorità su di lui, ma lui ha una sorta di
autorità su di te. In generale, ti dicono ‘Fai ciò che ti dice il
coordinatore della sicurezza civile.’ ”
“Chi te l’ha detto?”
“I
comandanti della compagnia. Ed è il coordinatore della sicurezza civile
che stabilisce dove i palestinesi dovrebbero stare e dove non
dovrebbero.”
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
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