TERRITORI OCCUPATI. Numeri e obiettivi dietro la legalizzazione degli outpost


Rapporto di Peace Now: 55 insediamenti illegali graziati e oltre 8mila dunam di terre palestinesi confiscati. Oggi si vota in prima lettura. A monte una macchina per l’occupazione che vede coinvolti esercito, governo e coloni
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della redazione
Roma, 30 novembre 2016, Nena News – Cinquantacinque insediamenti e 3.921 unità abitative illegali anche per la legge israeliana saranno graziati e oltre 8mila dunam di terre palestinesi confiscate (un dunam è pari a mille metri quadrati): è il calcolo fatto da Peace Now, organizzazione israeliana per i diritti umani, nel caso passi la controversa legge retroattiva di legalizzazione degli outpost.
La Knesset, il parlamento israeliano, è chiamata a votare oggi in prima lettura – in totale le letture sono tre – e se passerà, scrive l’organizzazione, permetterà “un enorme furto di terre”. Una normativa che segue ad una scia lunga 70 anni di confisca di terre e trasferimento della popolazione, a cui si aggiungerà il marchio di fabbrica del governo di ultradestra del premier Netanyahu, sordo a qualsiasi forma di protesta internazionale.
Il governo ha fretta: deve risolvere il caso di Amona su cui pesa un ordine di evacuazione dell’Alta Corte, che dovrebbe essere implementato entro il 25 dicembre. L’insediamento può essere preso a modello dell’attuale ideologia dell’esecutivo Netanyahu e per salvare il quale sono scesi in campo rabbini e leader di estrema destra. Ma sono proprio le controversie interne al parlamento tra favorevoli e contrari ad aver richiesto una mossa inusuale: la proposta di legge è stata presentata in due diverse versioni.
La prima prevede la creazione di un sistema che impedisca ai tribunali di emettere ordini di demolizione a favore della legalizzazione delle costruzioni illegali; la seconda non tocca il potere giudiziario. Si spera così di prendere tempo a causa delle rimostranze dei partiti che temono un danneggiamento serio del potere della magistratura a favore dell’esecutivo.
Secondo Peace Now, nello specifico, saranno legalizzati 55 outpost costruiti illegalmente su 3.076 dunam di terre palestinesi e 3.125 unità abitative dentro colonie che invece il governo israeliano ha riconosciuto, portando alla perdita definitiva di altri 5.014 dunam. Ma la confisca non si fermerebbe qui: l’eventuale e probabile approvazione della legge aprirebbe la strada ad altre espropriazioni di terre, con il movimento dei coloni ufficialmente autorizzato ad agire autonomamente.
“La legalizzazione degli outpost – scrive Peace Now nel rapporto pubblicato ieri – non è solo un atto di approvazione retroattivo di fatti sul terreno, ma fa anche da luce verde per future costruzioni illegali, nell’idea che il governo le legalizzerà retroattivamente. Inoltre, una volta che un outpost sarà ‘legalizzato’, è probabile che venga espanso attraverso nuovi piani fino a trasformarlo in una colonia vera e propria”.
Una realtà che è concreta da decenni: dalla nascita della prima colonia israeliana nei Territori Occupati, Kiryat Arba a Hebron, costruita nel 1968 (esattamente un anno dopo la guerra dei Sei Giorni e l’inizio dell’occupazione militare), i coloni hanno sempre lavorato in stretta collaborazione con i diversi governi israeliani al potere. Una macchina perfettamente funzionante che vede coinvolti esercito, legislazione politica e coloni, attori di un’identica politica che ha provocato la confisca e la fattiva annessione del 18% della Cisgiordania.
A ciò si aggiunge la geografia degli outpost che saranno legalizzati: molti di quelli interessati dalla legge si trovano lontani dalla Linea Verde, confine internazionalmente riconosciuto tra Israele e Territori Occupati. Se i blocchi di insediamenti lungo la frontiera sono ormai nella pratica annessi allo Stato di Israele, l’aumento di quelli nella profonda Cisgiordania serve una volta di più il piano di frammentazione del territorio palestinese, impedendo di fatto la nascita di un futuro Stato palestinese, spezzettato in enclavi distanti e discontinue. Nena News

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