Fulvio Scaglione : Hezbollah sfida le monarchie del Golfo
Hezbollah sfida le monarchie del Golfo
- Lunedì, 21 Novembre 2016
Nel catalogo sempre più ricco e mutevole
delle rivalità etnico-politico-religiose che dilaniano il Medio Oriente,
cresce da anni (pur essendo seguita con relativa disattenzione) quella
che contrappone Hezbollah, il movimento sciita libanese
che ha come segretario generale Sayed Hassan Nasrallah, e i Paesi
sunniti del Golfo Persico, in particolare l’Arabia Saudita.
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In ottobre un tribunale degli Emirati Arabi Uniti
ha condannato a lunghe pene detentive sette persone accusate di essere
emissari dell’ala armata del movimento libanese. In giugno, le autorità
dell’Arabia Saudita hanno annunciato di aver smantellato una cellula di
terroristi che, in contatto con Hezbollah, progettava attentati contro
le forze di polizia. In aprile, ancora negli Emirati, alcuni militanti
di Hezbollah sono stati arrestati con l’accusa di raccogliere
informazioni sull’apparato militare del Paese. In marzo, il Consiglio di
cooperazione del Golfo (fondato nel 1981 per coordinare le politiche
economiche e sociali di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein,
Kuwait, Oman e Qatar) ha affibbiato a Hezbollah l’etichetta di movimento terrorista.
Si potrebbe andare all’indietro quasi
all’infinito, solo per ribadire che almeno dal febbraio 2005, ovvero
dall’assassinio dell’ex premier libanese Rafik Hariri (per il quale il Tribunale speciale per il Libano sta processando alcuni miliziani di Hezbollah), uomo più che caro ai sauditi, i Paesi del Golfo considerano gli uomini del Partito di Dio (Hezbollah, appunto) una minaccia concreta e prioritaria.
Nonostante questa massima allerta, che i
sauditi condividono con gli Usa e Israele, negli ultimi tempi, e proprio
nel periodo della massima crisi del Medio Oriente, Hezbollah sembra
aver messo a segno alcuni colpi importanti che segnalano non tanto
l’accresciuta forza militare del movimento ma piuttosto una sua maggiore
astuzia politica rispetto alla casa reale saudita.
Anche in questo caso possiamo procedere a ritroso. Michel Aoun, nuovo Presidente (cristiano) del Libano, nel 1990 dovette rifugiarsi nell’ambasciata francese di Beirut
e prendere la via dell’esilio, dopo essere stato capo di stato maggiore
dell’esercito e Presidente ad interim, proprio perché osteggiato dalla
Siria e dall’allora giovanissimo Hezbollah, nato nel 1982 e ancora
diretto da Abbas al-Musawi. Qualche settimana fa Aoun è diventato
Presidente proprio grazie all’intesa raggiunta con Hezbollah, che può
intitolarsi questa nomina e il potere che ne deriva.
Nello Yemen sono gli istruttori libanesi di Hezbollah a rafforzare la tattica e la resistenza dei ribelli Houthi,
che sono riusciti a risucchiare la coalizione guidata dall’Arabia
Saudita in una guerra senza fine, sempre più crudele e in apparenza
priva di sbocchi. Sempre Hezbollah, come i ricorrenti arresti
dimostrano, sta capitalizzando il profondo scontento degli sciiti che
vivono all’interno degli Stati del Golfo Persico: in Arabia Saudita,
dove sono circa il 15% della popolazione, Kuwait (30%), Emirati Arabi Uniti (5%) e nel Bahrein,
dove sono addirittura la maggioranza assoluta della popolazione ma sono
governati con sistemi dispostici da una dinastia sunnita.
E infine c’è la Siria. Qui Hebollah si è agganciato al treno militare di Russia e Iran che, in meno di un anno, sono riusciti a salvare Bashar al-Assad
e il suo regime. Il dividendo politico per il Partito di Dio è aver
consolidato il rapporto privilegiato con l’Iran che, grazie anche
all’accordo raggiunto con gli Usa sul nucleare, è tonato a contendere
proprio all’Arabia Saudita il primato regionale. Non è certo un caso se
il primo politico a congratularsi con Aoun, addirittura pochi minuti
dopo l’elezione, è stato il presidente iraniano Hassan Rouhani e se il
primo a recarsi in Libano è stato di nuovo un iraniano, il ministro
degli Esteri Zarif.
L’elezione di Aoun, votato dai due blocchi
parlamentari contrapposti “8 Marzo” e “14 Marzo”, ha anche avuto un
altro effetto: indebolire le relazioni tra Saad Hariri,
figlio di Rafik e leader del blocco anti-siriano e pro-saudita “14
Marzo”, e l'Arabia Saudita. Hariri, 522° uomo più ricco al mondo e
detentore di un patrimonio personale di 1,5 miliardi di dollari, ha
stipulato l’accordo con Hezbollah in cambio della poltrona di primo
ministro, carica da lui già ricoperta tra il 2009 e il 2011, e la cosa
non è piaciuta molto alla Casa Reale saudita che da sempre lo
sponsorizza.
La premiership di Hariri, nelle logiche
levantine che reggono il Libano, serve anche a Hebollah per mostrare al
mondo un volto pluralista del Paese. Il che, però, non impedirà al
Partito di Dio di proseguire nella sua sfida alle monarchie sunnite.
Resta ora da vedere se l’elezione di Donald Trump
invoglierà Nasrallah a osare ancor più e ad alzare i toni della sfida
oppure se lo indurrà a temporeggiare per misurare intenti e capacità del
nuovo Presidente Usa. Resta il fatto che mai come in questa fase i
sauditi sembrano in difficoltà, tanto con gli amici come con i nemici.
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