Ramzy Baroud : L’imbarcazione delle donne per Gaza era una minaccia esistenziale?







di Ramzy Baroud – 12 ottobre 2016
La narrazione ufficiale israeliana a proposito del suo conflitto con i palestinesi è deliberatamente confusa perché un discorso pasticciato è un discorso che conviene. Consente anche al narratore di selezionare a volontà mezze verità, al fine di creare una versione falsificata della realtà.
Ad esempio, quella che segue è una parte di quanto il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto alle Nazioni Unite il 22 settembre:
“Signore e signori: Israele combatte ogni giorno la sua battaglia fatale contro le forze dell’Islam militante. Manteniamo i nostri confini al sicuro dall’ISIS [Daesh], impediamo il contrabbando a Hezbollah di armi in grado di mutare gli equilibri, sventiamo attacchi terroristici palestinesi in Giudea e Samaria, nella West Bank e scoraggiamo attacchi missilistici dalla Gaza controllata da Hamas”.  
In solo un singolo paragrafo Netanyahu ha scelto di creare una realtà alternativa, nonostante il fatto che: le principali vittime del Daesh, sinora, sono state mussulmane, ma israeliane; Hezbollah, che è invischiato in una lotta settaria in Siria, è un movimento libanese che è anche in guerra con il Daesh; la rivolta nella West Bank è stata in larga misura condotta da giovani disperati, nati sotto la violenta occupazione militare israeliana e che non hanno alcuna fiducia nella loro dirigenza; Hamas non lancia razzi artigianali contro Israele dalla distruttiva guerra israeliana del 2014, che uccise 2.251 palestinesi, principalmente civili.
Anche se le affermazioni di Netanyahu non sono delle menzogne assolute, la scelta di tali dichiarazioni, non scrupolose riguardo alle date, prive di contesto e mancanti di qualsiasi responsabilità o persino introspezione israeliane, le rende semplicemente non vere. Superfluo dirlo, anche del tutto confondenti, specialmente per coloro che raramente comprendono la natura del conflitto israeliano con i palestinesi e con altri suoi vicini arabi.
Il linguaggio del primo ministro israeliano nei forum internazionali è parecchio tipico, se non addirittura prevedibile. Non solo tipico di lui come statista, ma di generazioni di leader israeliani, passati e presenti. L’ex primo ministro e presidente israeliano Shimon Peres, morto alla fine di settembre, era padrone di questo stile israeliano, secondo a nessuno. Anche se era l’architetto della prima e unica bomba nucleare mediorientale, era elogiato dai governi e dai media occidentali, compresi molti della sinistra, come un pacificatore, una figura eroica e uno statista.
Ma Peres è stato l’ultimo della generazione dei “fondatori di Israele”. L’approccio di quella generazione alla guerra e alla diplomazia è stato unico e non può essere replicato. Erano prevalentemente nati all’estero; parlavano diverse lingue; seguivano un progetto unificato in politica e avevano obiettivi chiari, decisi.
Per contro, Netanyahu è il primo primo ministro israeliano a essere nato nel paese, dopo la sua creazione sulle rovine della Palestina nel 1948. La sua diplomazia è tanto violenta quanto la sua condotta sul campo. Sembra privo di paura nella misura della sua fiducia nei suoi benefattori, cioè il governo degli Stati Uniti che ha recentemente promesso a Israele altri 38 miliardi di dollari di aiuti militari incondizionati nel corso di dieci anni.
Senza alcun dovere legale o politico di rendere in alcun modo conto e con l’incrollabile sostegno statunitense alle azioni di Israele, non importa quanto destabilizzanti o distruttive, la logica di Netanyahu, seppure insufficiente, prevarrà sempre.
Ma considerando che Israele sta realizzando precisamente i suoi obiettivi programmati, espandendo i suoi insediamenti illegali, mantenendo la sua occupazione di Gerusalemme Est e della West Bank, costruendo costantemente i suoi armamenti e facendo progredire i suoi interessi strategici a spese dei suoi vicini e sottraendosi a qualsiasi colpevolezza legale, perché pare sempre che Israele sia assediato e sotto attacco?
Le parole di Netanyahu danno l’impressione che la stessa esistenza del suo paese sia a rischio. In realtà questo è lo stesso linguaggio che proviene costantemente dalla maggior parte dei circoli israeliani: ufficiali, mediatici, accademici e persino della gente comune. Questa percezione è continuata persino dopo che Israele ha esteso i suoi confini occupando il resto della Palestina storica dopo la disastrosa guerra del 1967; persino quando Israele ha reclamato vaste aeree di territori giordani, egiziani, libanesi e siriani.
Pare che quanto più forte Israele diviene, quanto più vasto in dimensioni e distruttivo nella sua forza militare, tanto più debole e minacciato si percepisce.
Persino con il suo approccio diplomatico indelicato, la nuova generazione di leader israeliani continua a insistere sullo stesso mantra: quello di un paese assediato che subisce una minaccia esistenziale.
Nel 2015, dopo la firma dell’accordo sul nucleare iraniano tra Iran e Stati Uniti – assieme ad altri paesi – a Israele è stata negata la componente centrale del suo discorrere di “minaccia esistenziale”. Con un “olocausto nucleare” iraniano evitato – anche se mai convincentemente dal punto di vista israeliano – sono state spinte al vertice dell’ordine del giorno israeliano.
L’assediata, bombardata e impoverita minuscola Gaza ha mantenuto la sua posizione di principale causa di allarme e di una delle maggiori minacce alla sicurezza di Israele. Ma, stranamente, il movimento nonviolento guidato dalla società civili del Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni (BDS) è stato posto rapidamente in vetta alla piramide delle “minacce esistenziali”.
Modellato sul movimento del boicottaggio anti-apartheid del Sudafrica, il BDS mira a isolare l’occupazione israeliana della Palestina e, usando mezzi nonviolenti, a porvi fine.
Il linguaggio usato contro Iran, Hezbollah, Hamas e altri è ora usato contro il BDS. In una conferenza organizzata dal Fondo Nazionale Ebraico (JNF) a New York il mese scorso, il ministro israeliano della giustizia Ayelet Shaked ha definito il BDS una “organizzazione terroristica”.
“Il BDS è il nuovo volto del terrorismo”, ha detto. “Mentre a Gaza [i terroristi] scavano tunnel sotterranei verso Israele, il movimento BDS sta scavando tunnel per minare le fondamenta e i valori di Israele. Dobbiamo bloccare anche questi tunnel”.
Come Netanyahu, anche la Shaked ha affermato di “combattere l’estremismo islamico”, anche se i sostenitori del BDS provengono da molti paesi e non professano alcuna religione particolare. In realtà molti di loro sono attivisti ebrei.
Tuttavia ciò non conta. Non ha mai contato, perché il nemico, per ora, deve restare il “terrorismo islamico”, anche se non è né islamico né terrorista.
In reazione all’intercettazione, all’arresto e alla deportazione da parte della marina di un gruppo di donne che aveva tentato di rompere l’assedio israeliano a Gaza usando una piccola imbarcazione, il ministro israeliano della difesa, Avigdor Lieberman, ha spinto le sue parole a collegare gli attivisti non violenti con qualcosa di interamente diverso.
“Non accetteremo nessun lancio [di razzi], nessuna provocazione contro i cittadini di Israele da parte di chicchessia, o alcun attacco alla sovranità israeliana. Né lanci di missili, né flottiglie”, ha detto Lieberman nel corso di una cerimonia dell’esercito il 7 ottobre.
Tra le attiviste a bordo dell’imbarcazione c’era il Premio Nobel Mairead Maguire, dell’Irlanda del Nord. Nella logica di Lieberman l’azione della Maguire per porre fine a un blocco decennale contro una regione povera è equivalente al lancio di un razzo.
Indipendentemente dal genere di critiche che Israele subisce e delle tattiche usate per por fine alla sua occupazione della Palestina, Israele unirà sempre i proverbiali puntini per produrre lo stesso risultato: è in gioco l’esistenza di Israele; tutti gli atti di resistenza, per quanto simbolici, sono terroristici e Israele deve fare tutto ciò che ci vuole per difendersi dall’incombente distruzione da parte di terroristi canaglia.
Ciò nonostante, diversamente da Shimon Peres e dalla sua generazione di leader, la storia israeliana così come raccontata dai nuovi leader di Israele non trova più credito. Gaza, che è resa inabitabile dalle Nazioni Unite nel prossimo 2020, non si può dire minacci l’esistenza di Israele, né lo fanno gli attivisti del BDS che chiedono l’obbligo di rispondere, vili terroristi. Superfluo dire che un gruppo di donne a bordo di una piccola imbarcazione non stava per abbattere la sola potenza nucleare del Medio Oriente.
“L’esercito israeliano si è poi impadronito dell’imbarcazione. Le donne non hanno opposto alcuna resistenza perché volevano sottolineare che la loro missione era pacifica. Le donne gridarono perché non poterono raggiungere Gaza”, ha riferito Al Jazeera.
Davvero delle “terroriste”!
Il dottor Ramzy Baroud scrive sul Medio Oriente da più di vent’anni. E’ un giornalista indipendente internazionale, consulente mediatico, autore di diversi libri e fondatore di PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è ‘My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story (Pluto Press, London)’. Il suo sito web è: ramzybaroud.net.
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-convoluted-discourse-was-the-womens-boat-to-gaza-an-existential-threat/
Originale: Middle East Monitor
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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