Ehud Ein-Gil e Daniel Blatman rispondono a Benny Morris : Israele ha perpetrato una pulizia etnica nel 1948
Israele ha messo in atto una pulizia etnica nel 1948. Le parole di mio padre lo testimoniano
di Ehud Ein-Gil Haaretz – 20 ottobre 2016 Lo storico Benny Morris
ha ragione quando menziona l’ “atmosfera favorevole al trasferimento”
che ha attanagliato Israele dall’aprile 1948, ma sbaglia quando sostiene
che quest’atmosfera non si…
Lo
storico Benny Morris ha ragione quando menziona l’ “atmosfera
favorevole al trasferimento” che ha attanagliato Israele dall’aprile
1948, ma sbaglia quando sostiene che quest’atmosfera non si è mai
trasformata in una politica.
Alla
vigilia della proclamazione dello Stato [di Israele], un reparto di
soldati della brigata “Givani” attaccò il villaggio di Al-Qubab. Yitzhak
Engel, il sergente maggiore del primo battaglione della compagnia C,
descrisse l’attacco nel libro di Avraham Eylon in ebraico “La brigata
Givati nella guerra di Indipendenza”.
“Nel
pomeriggio del 14 maggio, mentre eravamo veramente stanchi per il
ripiegamento dal campo di detenzione nei pressi di Latrun, arrivò il
vice comandante della compagnia e ci disse che dovevamo andare
immediatamente al kibbutz Gezer per attaccare Al-Qubab .… Alle 21,30,
due ore e mezza prima che il mandato (britannico) entrasse negli annali
della storia, siamo partiti..
“Sono
arrivate le 12, la mezzanotte del 15 maggio. Era iniziato il
bombardamento del villaggio. Ce ne rendemmo conto dalle esplosioni che
cominciarono a rimbombare. Eravamo contrariati dal fatto che questo
“ammorbidimento” non fosse molto più di una goccia d’acqua che esce da
un rubinetto. Poi ci rendemmo conto che i Davidkas (mortai prodotti
artigianalmente) trasportati da una colonna blindata erano stati
schierati lontano dal villaggio, ed anche i proiettili che riuscivano ad
esplodere non colpivano il loro obiettivo.
“Quando
questo ammorbidimento diminuì, Yosh (il comandante di compagnia Yosef
Harpaz) gridò: “Avanti, ragazzi! Vendicate il sangue dei nostri compagni
che sono caduti a Latrun [battaglia tra sionisti e giordani durante la
guerra del ’48. Ndtr.]!” Attaccammo immediatamente le prime case nella
parte occidentale del villaggio. I ragazzi presero a calci o sfondarono
le porte con il calcio dei fucili, tirarono granate nelle stanze e le
sventagliarono con il fuoco dei mitra con entusiasmo. Nel villaggio non
c’erano né combattenti né abitanti, e, salvo qualche anziano, non
trovammo anima viva nella parte di villaggio che ci era stata assegnata.
“A
un certo punto pensai che avrei incontrato forze nemiche, ma anche lì
mi aspettava una ‘delusione’. Ed è andata così. Mentre avanzavo
attraverso la strada dove dovevamo incontrare la colonna corazzata,
improvvisamente intravidi una luce che filtrava dalle fessure di una
porta di legno di una delle case. Mi misi in ascolto e sentii un grande
movimento nella casa. Mi avvicinai con grande cautela e buttai giù la
porta, pronto ad usare lo Schmeisser (il mitra) che avevo in mano. E
quello che vidi non furono altro che i nostri ‘partigiani’ seduti
insieme alla luce di una lampada ad olio, che si scolavano bottiglie di
soda per festeggiare la fine del mandato britannico e la dichiarazione
dello Stato.”
Villaggi abbandonati
Non
c’è sangue in questa descrizione. Gli spari erano da una parte sola e
nessuno rimase ucciso, ma anche in questo consiste una la pulizia etnica
– un insieme di azioni banali come questa. Yitzhak Engel, che ha
fornito questa descrizione, è mio padre.
Quando
lessi la sua testimonianza per la prima volta a 10 anni, poco dopo che
il libro era stato pubblicato, non rimasi stupito. Quando l’ho riletta,
in modo più critico, dopo il mio servizio militare, mi sono posto alcune
domande.
Per
esempio, se i soldati del Givati non incontrarono nessuna resistenza
nel villaggio, chi avrebbero dovuto “ripulire” e “spazzare via” con i
mitra e le granate? E se palestinesi disarmati fossero stati seduti in
quella casa in cui mio padre ha fatto irruzione, e non ‘partigiani’, gli
avrebbe sparato?
Avrei
voluto pensare che non lo avrebbe fatto, ma io non avevo nessuno a cui
chiederlo perché mio padre non era più vivo. E oggi, quando ho più o
meno la stessa età di quegli “anziani” che trovarono nel villaggio, ci
sono altre due cose che mi chiedo: quante persone anziane incontrarono
esattamente gli assalitori, e qual è stato il loro destino?
Il
professor Benny Morris ha scritto la scorsa settimana di non accettare
il termine “pulizia etnica” per descrivere quello che gli ebrei fecero
in Israele nel 1948. Ed aggiunge tra parentesi una riserva – “(se si
prendono in considerazione Lod e Ramle, forse possiamo parlare di una
pulizia etnica parziale).”
Mi
sono ricordato del tour organizzato dai veterani della brigata Givati
per le loro famiglie nei luoghi delle battaglie, quando ero un
ragazzino. Non ho visto neanche un villaggio arabo in piedi in quel giro
o durante i viaggi di famiglia nella zona. Un’occhiata ad una mappa
conferma la mia impressione – non rimane neanche un villaggio arabo da
Tel Arish, che si trovava tra Tel Aviv e il suo quartiere periferico di
Holon, fino al confine di Gaza [85 km da Tel Aviv, verso sud. Ndtr.]. Lo
stesso vale nell’area tra Tel Aviv e Hadera [a 45 km da Tel Aviv.
Ndtr.], verso nord.
Morris
conclude questa discussione con una prova, secondo lui, inequivocabile:
“Alla fine, 160.000 arabi rimasero nel territorio israeliano.” Forse
Morris dimentica che nell’aprile 1949, nell’accordo di armistizio con la
Giordania, Israele ha annesso 28 villaggi di 35.000 abitanti e
rifugiati che erano stati fino ad allora sotto il controllo militare
iracheno?
‘Atmosfera favorevole al trasferimento’
Pertanto
più di un quinto degli arabi che “rimasero” non lo fecero in aree sotto
il controllo di Israele alla fine della guerra. Il numero di arabi che
“rimasero” era quindi inferiore ai 125.000, tra cui 15.000 drusi che
erano alleati di Israele, 34.000 cristiani, che Israele trattò in modo
decente per non inimicarsi gli alleati occidentali, e qualche villaggio
di beduini musulmani, i cui capi erano alleati di Israele o dei loro
vicini ebrei.
Dei
75.000 musulmani che rimasero (meno del 15% rispetto a prima della
guerra), decine di migliaia erano sfollati interni – gente che era
scappata dai propri villaggi o era stata espulsa da questi e da allora
non ebbe il permesso di tornare alle proprie case. C’erano anche
cristiani che furono evacuati dai loro villaggi come Biram e Iqrit, nei
pressi del confine con il Libano.
Morris
ha ragione quando menziona l’ “atmosfera favorevole al trasferimento”
che ha attanagliato Israele dall’aprile 1948, ma sbaglia quando sostiene
che quest’atmosfera non si è mai trasformata in una politica ufficiale.
Infatti il comandante della brigata Givati nel marzo 1948 ricevette un
ordine dell’infame Piano D [che secondo alcuni storici prevedeva
l’espulsione dei palestinesi dal territorio su cui venne fondato
Israele. Ndtr.] citato nel libro del 1959 sulla brigata Givati. L’ordine
– che lasciava decidere al comandante quali villaggi del suo settore
“occupare, ripulire o sterminare” – divideva le operazioni nelle
seguenti categorie:
“Distruzione
di villaggi – incendiare, spazzare via e disseminare le rovine di mine –
soprattutto quei centri abitati che sono difficili da controllare in
modo costante, ” e “organizzare operazioni di ricerca e controllo in
base alle seguenti indicazioni: circondare il villaggio e perlustrare al
suo interno. Nel caso di resistenza, le forze armate devono essere
distrutte e la popolazione deve essere espulsa al di fuori dei confini
dello Stato.”
Quindi,
quando Morris scrive che “c’erano ufficiali che espulsero gli arabi e
altri che non lo fecero,” si deve ricordare che quelli che hanno operato
le espulsioni agirono in base allo spirito dei tempi – la stessa
“atmosfera favorevole al trasferimento” che ricevette l’appoggio
dall’alto nell’ordine del Piano D dell’Haganah [principale milizia
armata sionista, da cui è nato l’esercito israeliano. Ndtr.]. Dobbiamo
ricordarci che hanno avuto un grande successo in quello che hanno fatto.
E
mentre gli ufficiali che non hanno espulso nessuno hanno agito in base
alla propria coscienza nonostante l’ “atmosfera favorevole al
trasferimento”, non c’è da stupirsi del fatto che nessuno di costoro sia
stato decorato.
[Ehud Ein-Gil è un giornalista di Haaretz e militante socialista rivoluzionario che si occupa del supersfruttamento cui sono sottoposti lavoratori di ogni provenienza in Israele. Ndtr.]
Sì, Benny Morris, Israele ha perpetrato una pulizia etnica nel 1948
di Daniel Blatman Haaretz – 14 ottobre 2016 Lo storico israeliano
ha ragione su un punto:la convinzione che gli arabi dovessero essere
espulsi nel 1948 non fu messa in pratica in modo totale.
di Daniel Blatman
Haaretz – 14 ottobre 2016
Lo
storico israeliano ha ragione su un punto:la convinzione che gli arabi
dovessero essere espulsi nel 1948 non fu messa in pratica in modo
totale.
Uno
storico serio esamina sempre le proprie conclusioni. Se arriva alla
conclusione che le cose che ha scritto in precedenza necessitano di una
revisione, è obbligato a farsene carico. Ma uno storico che, all’inizio
della sua carriera, stabilisce che Israele è responsabile della fuga di
massa dei palestinesi nel 1948 e poi cambia la propria opinione fino a
diventare il beniamino della destra dei coloni, è un caso patetico.
Benny Morris ha seguito questo percorso.
Egli
ha tradito due doveri fondamentali per lo storico: avere una mentalità
aperta e riconoscere la vasta letteratura di ricerca che riguarda
direttamente i suoi ambiti di ricerca; non distorcere le proprie
conclusioni precedenti in base alle attuali opinioni politiche.
[L’articolo di Morris “Israele non ha attuato nessuna pulizia etnica nel 1948“, Haaretz, 10 ottobre, era una risposta a quello di Daniel Blatman “Netanyahu, ecco cos’è veramente una pulizia etnica“, Haaretz, 3 ottobre].
Il
10 marzo 1948 il quartier generale dell’Haganah [principale milizia
armata sionista, da cui è nato l’esercito israeliano. Ndtr.] approvò il
“Piano Dalet”, che trattava dell’intenzione di espellere quanti più
arabi fosse possibile dal territorio del futuro Stato ebraico. Morris ne
ha scritto nel suo libro “1948: una storia della prima guerra
arabo-israeliana” (2010) . Egli ha affermato che il piano ha suscitato
una disputa storiografica, con gli storici filo-palestinesi che
sostengono che fosse un piano generale per espellere gli arabi che
vivevano in Israele. Egli ha affermato che un esame accurato del testo
del piano porta a una conclusione diversa.
Quale
conclusione diversa? Quella di studiosi esperti in pulizia etnica? O di
esperti giuridici che si sono cimentati sul problema? No, quella di
Morris, naturalmente. Egli non accetta la definizione di pulizia etnica
attuata dagli ebrei nel 1948. Forse ci fu una “mini” pulizia etnica a
Lod e Ramle [a sud est di Tel Aviv. Ndtr.]. Forse qualche massacro
marginale (Deir Yassin), che provocò la fuga terrorizzata dei
palestinesi.
Il
problema è che queste sono esattamente le circostanze che portano ad
una pulizia etnica. Se Morris si fosse preoccupato di studiare
attentamente i documenti della Corte Penale Internazionale sulla
ex-Jugoslavia, avrebbe capito perché queste affermazioni sarebbero
considerate assurde in qualunque seria conferenza scientifica.
Quanto
segue è stato sostenuto dal pubblico ministero nel processo a Radovan
Karadzic, il leader serbo-bosniaco che è stato condannato per le sue
responsabilità nella pulizia etnica dei musulmani di Bosnia: “Nella
pulizia etnica..tu agisci in modo tale per cui, in un determinato
territorio, i componenti di un determinato gruppo etnico sono eliminati…
ci sono dei massacri. Non sono massacrati tutti, ma ci sono massacri
allo scopo di spaventare quelle popolazioni…Naturalmente gli altri
vengono scacciati. Sono spaventati…e, naturalmente, alla fine queste
persone vogliono semplicemente andarsene…Se ne vanno sia per loro stessa
iniziativa, oppure sono deportate….Alcune donne sono violentate e,
inoltre, spesso vengono distrutti i monumenti che segnano la presenza di
una determinata popolazione…per esempio, le chiese cattoliche o le
moschee vengono distrutte.”
Esattamente
come nel 1948: istruzioni implicite, accordi silenziosi, seminare il
timore tra la popolazione la cui fuga è l’obiettivo; la distruzione
della presenza fisica che hanno lasciato dietro di sé. Nel suo primo
libro sull’argomento, “La nascita del problema dei rifugiati
palestinesi, 1947-1949” (1989 in inglese), Morris scrisse: “Gli attacchi
dell’Haganah e delle Forze di Difesa Israeliane (l’esercito del neonato
Stato d’Israele. Ndtr.), ordini di espulsione, la paura degli attacchi e
atti di crudeltà da parte degli ebrei, l’assenza di appoggio da parte
del mondo arabo e dell’Alto Comitato Arabo, il senso di impotenza e di
abbandono, gli ordini da parte di istituzioni e centri di comando arabi
di andarsene ed evacuare, in molti casi erano la diretta e decisiva
ragione per la fuga – un attacco da parte dell’Haganah, dell’Irgun, del
Lehi [le due milizie armate della destra sionista, poi integrate
nell’IDF. Ndtr.] o dell’IDF, o la paura degli abitanti per un simile
attacco.”
Circa
15 anni fa, tuttavia, Morris ha cambiato opinione. Nel suo libro
“Correggere un errore: ebrei ed arabi in Palestina/Israele, 1936-1956”
(2000), egli ha affermato: “La maggioranza degli allontanamenti (da
parte dei palestinesi) dalla maggior parte dei luoghi, il più delle
volte l’ho attribuita ad attacchi da parte delle forze ebraiche. A volte
uno storico deve correggere un errore.” Tanto di cappello ad uno
storico che ammette di aver fatto un errore. Ma l’integrità
professionale di Morris è messa alla prova in base a quanto egli ha
detto ad Ari Shavit (Haaretz, gennaio 2004): “Non penso che le
espulsioni del 1948 fossero crimini di guerra.. Penso che lui (Ben
Gurion) abbia fatto un grave errore storico nel 1948…fu troppo timoroso
durante la guerra. Alla fine vacillò….Se si fosse subito impegnato
nell’espulsione, forse avrebbe fatto un lavoro definitivo.”
Allo
stesso tempo Morris sostiene che Ben Gurion “non ha mai dato un ordine
di espellere gli arabi.” In effetti, non è stato trovato nessun ordine
scritto di questo tipo. E il lettore si chiederà: “Quindi c’era un
ordine di espulsione, o forse un’espulsione senza un ordine? O forse c’è
stata un’espulsione di massa, ma fu incompleta, e dunque non si tratta
di pulizia etnica? E Morris rimpiange il fatto che non sia stato dato un
ordine per completare la pulizia etnica?” Morris è fortunato a non
essersi occupato della ricerca sull’Olocausto. Potrebbe essere stato
capace di sostenere che non fu Hitler che ordinò la “Soluzione Finale”,
dato che, per quanto ne sappiamo, non è mai stato trovato nessun ordine
scritto da lui per l’uccisione degli ebrei europei.
Morris
dice che le espulsioni non furono un crimine di guerra, perché furono
gli arabi che iniziarono la guerra. In altre parole, centinaia di
migliaia di civili innocenti, appartenenti alla parte che aveva iniziato
la lotta, dovevano essere espulsi. Forse Morris sarebbe d’accordo che
il genocidio compiuto dai tedeschi contro gli Herero nel 1904-1908 [i
tedeschi sterminarono in campi di concentramento circa 65.000 indigeni
su un totale di 80.000. Ndtr.] era giustificato perché, dopo tutto, gli
Herero avevano iniziato la ribellione contro il colonialismo tedesco in
Namibia.
Morris is right about one thing: The understandings that the Arabs should be expelled were not carried out in full. There were
commanders who obeyed to the letter; there were others who didn’t.
That’s exactly why some 160,000 Arabs remained inside the State of
Israel in 1949. Just as tens of thousands of Armenians remained in
Turkey after World War I, because there were government officials who
didn’t carry out orders to the letter to expel or murder them.
Fortunately, in 1948 there were IDF commanders who refrained from doing
what they knew they could do without being held to account. If it
weren’t for them, the war crime committed by Israel would have been even
greater.
Morris
ha ragione su una cosa: la convinzione che gli arabi dovessero essere
espulsi nel 1948 non fu messa in pratica in modo totale. Ci
furono comandanti che obbedirono alla lettera; ce ne furono altri che
non lo fecero. E’ esattamente la ragione per cui 160.000 arabi rimasero
all’interno dello Stato di Israele nel 1949. Proprio come decine di
migliaia di armeni rimasero in Turchia dopo la Prima Guerra Mondiale,
perché ci furono funzionari del governo che non applicarono alla lettera
l’ordine di espellerli o ucciderli. Fortunatamente, nel 1948 ci furono
comandanti dell’IDF che si astennero dal fare quello che sapevano che
avrebbero potuto fare senza doverne pagare le conseguenze. Se non fosse
stato per loro, il crimine di guerra commesso da Israele sarebbe stato
ancora più grande.
L’autore è uno storico.
(traduzione di Amedeo Rossi)
“Pulizia etnica” e propaganda filo-araba
Di Benny Morris Haaretz – 22 ottobre 2016 Gli indiretti confronti
fatti da Daniel Blatman con i crimini tedeschi contro gli ebrei ed altri
non riflettono un modo serio di scrivere di storia.
Israele non ha attuato nessuna pulizia etnica nel 1948
Nota redazionale: pur non condividendone affatto i contenuti, e non
potendo in questa sede entrare nel merito della sua fondatezza dal
punto di vista storico (smentita ad esempio dai lavori di Ilan Pappé),
abbiamo deciso…
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