Daniel Blatman Haaretz : Sì, Benny Morris, Israele ha perpetrato una pulizia etnica nel 1948
di Daniel Blatman
Haaretz – 14 ottobre 2016
Lo
storico israeliano ha ragione su un punto:la convinzione che gli arabi
dovessero essere espulsi nel 1948 non fu messa in pratica in modo
totale.
Uno
storico serio esamina sempre le proprie conclusioni. Se arriva alla
conclusione che le cose che ha scritto in precedenza necessitano di una
revisione, è obbligato a farsene carico. Ma uno storico che, all’inizio
della sua carriera, stabilisce che Israele è responsabile della fuga di
massa dei palestinesi nel 1948 e poi cambia la propria opinione fino a
diventare il beniamino della destra dei coloni, è un caso patetico.
Benny Morris ha seguito questo percorso.
Egli
ha tradito due doveri fondamentali per lo storico: avere una mentalità
aperta e riconoscere la vasta letteratura di ricerca che riguarda
direttamente i suoi ambiti di ricerca; non distorcere le proprie
conclusioni precedenti in base alle attuali opinioni politiche.
[L’articolo di Morris “Israele non ha attuato nessuna pulizia etnica nel 1948“, Haaretz, 10 ottobre, era una risposta a quello di Daniel Blatman “Netanyahu, ecco cos’è veramente una pulizia etnica“, Haaretz, 3 ottobre].
Il
10 marzo 1948 il quartier generale dell’Haganah [principale milizia
armata sionista, da cui è nato l’esercito israeliano. Ndtr.] approvò il
“Piano Dalet”, che trattava dell’intenzione di espellere quanti più
arabi fosse possibile dal territorio del futuro Stato ebraico. Morris ne
ha scritto nel suo libro “1948: una storia della prima guerra
arabo-israeliana” (2010) . Egli ha affermato che il piano ha suscitato
una disputa storiografica, con gli storici filo-palestinesi che
sostengono che fosse un piano generale per espellere gli arabi che
vivevano in Israele. Egli ha affermato che un esame accurato del testo
del piano porta a una conclusione diversa.
Quale
conclusione diversa? Quella di studiosi esperti in pulizia etnica? O di
esperti giuridici che si sono cimentati sul problema? No, quella di
Morris, naturalmente. Egli non accetta la definizione di pulizia etnica
attuata dagli ebrei nel 1948. Forse ci fu una “mini” pulizia etnica a
Lod e Ramle [a sud est di Tel Aviv. Ndtr.]. Forse qualche massacro
marginale (Deir Yassin), che provocò la fuga terrorizzata dei
palestinesi.
Il
problema è che queste sono esattamente le circostanze che portano ad
una pulizia etnica. Se Morris si fosse preoccupato di studiare
attentamente i documenti della Corte Penale Internazionale sulla
ex-Jugoslavia, avrebbe capito perché queste affermazioni sarebbero
considerate assurde in qualunque seria conferenza scientifica.
Quanto
segue è stato sostenuto dal pubblico ministero nel processo a Radovan
Karadzic, il leader serbo-bosniaco che è stato condannato per le sue
responsabilità nella pulizia etnica dei musulmani di Bosnia: “Nella
pulizia etnica..tu agisci in modo tale per cui, in un determinato
territorio, i componenti di un determinato gruppo etnico sono eliminati…
ci sono dei massacri. Non sono massacrati tutti, ma ci sono massacri
allo scopo di spaventare quelle popolazioni…Naturalmente gli altri
vengono scacciati. Sono spaventati…e, naturalmente, alla fine queste
persone vogliono semplicemente andarsene…Se ne vanno sia per loro stessa
iniziativa, oppure sono deportate….Alcune donne sono violentate e,
inoltre, spesso vengono distrutti i monumenti che segnano la presenza di
una determinata popolazione…per esempio, le chiese cattoliche o le
moschee vengono distrutte.”
Esattamente
come nel 1948: istruzioni implicite, accordi silenziosi, seminare il
timore tra la popolazione la cui fuga è l’obiettivo; la distruzione
della presenza fisica che hanno lasciato dietro di sé. Nel suo primo
libro sull’argomento, “La nascita del problema dei rifugiati
palestinesi, 1947-1949” (1989 in inglese), Morris scrisse: “Gli attacchi
dell’Haganah e delle Forze di Difesa Israeliane (l’esercito del neonato
Stato d’Israele. Ndtr.), ordini di espulsione, la paura degli attacchi e
atti di crudeltà da parte degli ebrei, l’assenza di appoggio da parte
del mondo arabo e dell’Alto Comitato Arabo, il senso di impotenza e di
abbandono, gli ordini da parte di istituzioni e centri di comando arabi
di andarsene ed evacuare, in molti casi erano la diretta e decisiva
ragione per la fuga – un attacco da parte dell’Haganah, dell’Irgun, del
Lehi [le due milizie armate della destra sionista, poi integrate
nell’IDF. Ndtr.] o dell’IDF, o la paura degli abitanti per un simile
attacco.”
Circa
15 anni fa, tuttavia, Morris ha cambiato opinione. Nel suo libro
“Correggere un errore: ebrei ed arabi in Palestina/Israele, 1936-1956”
(2000), egli ha affermato: “La maggioranza degli allontanamenti (da
parte dei palestinesi) dalla maggior parte dei luoghi, il più delle
volte l’ho attribuita ad attacchi da parte delle forze ebraiche. A volte
uno storico deve correggere un errore.” Tanto di cappello ad uno
storico che ammette di aver fatto un errore. Ma l’integrità
professionale di Morris è messa alla prova in base a quanto egli ha
detto ad Ari Shavit (Haaretz, gennaio 2004): “Non penso che le
espulsioni del 1948 fossero crimini di guerra.. Penso che lui (Ben
Gurion) abbia fatto un grave errore storico nel 1948…fu troppo timoroso
durante la guerra. Alla fine vacillò….Se si fosse subito impegnato
nell’espulsione, forse avrebbe fatto un lavoro definitivo.”
Allo
stesso tempo Morris sostiene che Ben Gurion “non ha mai dato un ordine
di espellere gli arabi.” In effetti, non è stato trovato nessun ordine
scritto di questo tipo. E il lettore si chiederà: “Quindi c’era un
ordine di espulsione, o forse un’espulsione senza un ordine? O forse c’è
stata un’espulsione di massa, ma fu incompleta, e dunque non si tratta
di pulizia etnica? E Morris rimpiange il fatto che non sia stato dato un
ordine per completare la pulizia etnica?” Morris è fortunato a non
essersi occupato della ricerca sull’Olocausto. Potrebbe essere stato
capace di sostenere che non fu Hitler che ordinò la “Soluzione Finale”,
dato che, per quanto ne sappiamo, non è mai stato trovato nessun ordine
scritto da lui per l’uccisione degli ebrei europei.
Morris
dice che le espulsioni non furono un crimine di guerra, perché furono
gli arabi che iniziarono la guerra. In altre parole, centinaia di
migliaia di civili innocenti, appartenenti alla parte che aveva iniziato
la lotta, dovevano essere espulsi. Forse Morris sarebbe d’accordo che
il genocidio compiuto dai tedeschi contro gli Herero nel 1904-1908 [i
tedeschi sterminarono in campi di concentramento circa 65.000 indigeni
su un totale di 80.000. Ndtr.] era giustificato perché, dopo tutto, gli
Herero avevano iniziato la ribellione contro il colonialismo tedesco in
Namibia.
Morris is right about one thing: The understandings that the Arabs should be expelled were not carried out in full. There were
commanders who obeyed to the letter; there were others who didn’t.
That’s exactly why some 160,000 Arabs remained inside the State of
Israel in 1949. Just as tens of thousands of Armenians remained in
Turkey after World War I, because there were government officials who
didn’t carry out orders to the letter to expel or murder them.
Fortunately, in 1948 there were IDF commanders who refrained from doing
what they knew they could do without being held to account. If it
weren’t for them, the war crime committed by Israel would have been even
greater.
Morris
ha ragione su una cosa: la convinzione che gli arabi dovessero essere
espulsi nel 1948 non fu messa in pratica in modo totale. Ci
furono comandanti che obbedirono alla lettera; ce ne furono altri che
non lo fecero. E’ esattamente la ragione per cui 160.000 arabi rimasero
all’interno dello Stato di Israele nel 1949. Proprio come decine di
migliaia di armeni rimasero in Turchia dopo la Prima Guerra Mondiale,
perché ci furono funzionari del governo che non applicarono alla lettera
l’ordine di espellerli o ucciderli. Fortunatamente, nel 1948 ci furono
comandanti dell’IDF che si astennero dal fare quello che sapevano che
avrebbero potuto fare senza doverne pagare le conseguenze. Se non fosse
stato per loro, il crimine di guerra commesso da Israele sarebbe stato
ancora più grande.
L’autore è uno storico.
(traduzione di Amedeo Rossi)
Israele non ha attuato nessuna pulizia etnica nel 1948
Nota redazionale:
pur non condividendone affatto i contenuti, e non potendo in questa
sede entrare nel merito della sua fondatezza dal punto di vista storico
(smentita ad esempio dai lavori di Ilan Pappé), abbiamo deciso di
proporre questa risposta di Benny Morris all’articolo di Daniel Blatman su Haaretz.
Pensiamo
infatti che i lettori di Zeitun possano essere interessati a seguire il
dibattito storiografico innescato in Israele dalle dichiarazioni di
Netanyahu in merito alla definizione di “pulizia etnica” nel caso di un
ritiro dei coloni dai territori occupati della Cisgiordania e di
Gerusalemme est. Va comunque ricordato quanto lo stesso Morris ha
dichiarato al quotidiano Haaretz… “Senza la rimozione dei
palestinesi, qui non avrebbe potuto nascere uno Stato ebraico… quel che
penso è che questo posto sarebbe stato più tranquillo e avrebbe
conosciuto meno sofferenza se la questione fosse stata risolta una volta
per tutte. Se Ben Gurion avesse compiuto una grande espulsione e
ripulito l’intero paese – l’intera Terra d’Israele, fino al fiume
Giordano. Potremmo scoprire che questo fu il suo errore fatale. Se
avesse portato a termine un’espulsione completa – invece di una parziale
– avrebbe potuto stabilizzare lo Stato d’Israele per molte
generazioni.”
E riguardo alle responsabilità di Ben Gurion e dei dirigenti sionisti ha affermato: “Dall’aprile del 1948, Ben Gurion trasmette l’idea del trasferimento. Non ci sono ordini espliciti nei suoi scritti, non c’è una precisa linea politica, ma traspare l’idea del trasferimento [di popolazione]. L’idea del trasferimento è nell’aria. L’intera leadership ha capito che questa era l’idea. Il corpo ufficiali capisce cosa gli viene richiesto. Sotto Ben Gurion, viene creato il consenso al trasferimento….Certo, Ben Gurion era un sostenitore del trasferimento. Aveva capito che non avrebbe potuto esistere uno Stato ebraico con una vasta minoranza araba ostile al suo interno. Non avrebbe mai potuto esistere uno Stato simile. Non sarebbe stato in grado di sopravvivere.”
E riguardo alle responsabilità di Ben Gurion e dei dirigenti sionisti ha affermato: “Dall’aprile del 1948, Ben Gurion trasmette l’idea del trasferimento. Non ci sono ordini espliciti nei suoi scritti, non c’è una precisa linea politica, ma traspare l’idea del trasferimento [di popolazione]. L’idea del trasferimento è nell’aria. L’intera leadership ha capito che questa era l’idea. Il corpo ufficiali capisce cosa gli viene richiesto. Sotto Ben Gurion, viene creato il consenso al trasferimento….Certo, Ben Gurion era un sostenitore del trasferimento. Aveva capito che non avrebbe potuto esistere uno Stato ebraico con una vasta minoranza araba ostile al suo interno. Non avrebbe mai potuto esistere uno Stato simile. Non sarebbe stato in grado di sopravvivere.”
Vedi: http://www.forumpalestina.org/Doc%20forumpalestina/2004/Febbraio04/27-02-0Nakba_ 1948_ Intervista_di_Benny-Morris.htm
di Benny Morris
Haaretz – 10 ottobre 2016
Il professor Daniel Blatman distorce la storia quando afferma che il nuovo stato di Israele, un paese che affrontava eserciti invasori, ha condotto una politica di espulsione delle popolazioni arabe locali.
In fondo al suo articolo della scorsa
settimana, “Netanyahu, ecco che cosa è veramente la pulizia etnica”, il
professor Daniel Blatman viene definito uno “storico”. In tal caso,
Blatman ha tradito la sua professione attribuendomi posizioni che non ho
mai sostenuto e distorcendo gli eventi della guerra del 1948.
Anzitutto nel suo articolo Blatman
ignora il fatto fondamentale che sono stati i palestinesi a dare inizio
alla guerra, quando hanno respinto il piano di compromesso delle Nazioni
Unite ed hanno intrapreso azioni ostili in cui 1800 ebrei sono stati
uccisi tra il novembre 1947 e la metà di maggio 1948. (In questo, tra
l’altro, c’è differenza tra gli ebrei ed i serbi, che hanno iniziato le
guerre in Yugoslavia negli anni 1990 ed hanno effettivamente attuato una
pulizia etnica in Bosnia ed altrove).
Riguardo
alla seconda fase della guerra del 1948, Blatman sostiene che i paesi
arabi hanno invaso il futuro stato di Israele per salvare i loro
fratelli palestinesi dalla pulizia etnica che gli ebrei avevano
iniziato, e che la maggior parte di essi ha attaccato il nuovo stato di
Israele a questo scopo. Nel corso di questa presunta pulizia etnica “più
di 400.000” arabi – che secondo Blatman costituivano oltre la metà
della popolazione araba palestinese – sono stati espulsi dalle loro case
e costretti a fuggire dal 14 maggio (1948). (In realtà, all’epoca vi erano da 1,2 a 1,3 milioni di arabi nel paese.)
Il numero reale di coloro che sono
fuggiti e sono stati costretti a fuggire era verosimilmente più basso,
ma, cosa ancor più importante, gli stati arabi hanno attaccato lo stato
di Israele soprattutto per nuocergli, se non per distruggerlo. Il fatto è
che i loro leaders hanno minacciato l’invasione anche prima che fosse
approvata la risoluzione dell’ONU il 29 novembre 1947 e prima che anche
un solo arabo fosse stato cacciato dalla sua casa. Ed hanno continuato a
minacciare un’invasione nei mesi seguenti, fino a maggio 1948.
Non è stata la tragedia palestinese a
motivare i paesi arabi durante l’invasione. La verità è che la fuga e
l’espulsione degli arabi dalle loro case prima della nascita dello stato
di Israele, soprattutto da inizio aprile fino al 14 maggio 1948 [data
della proclamazione dello Stato di Israele, ndt.] (è a tale proposito
che sono stati sempre citati la presa di Jaffa, Tiberiade e Haifa ed il
massacro di Deir Yassin) hanno alimentato l’estremismo tra le
popolazioni arabe che circondavano il futuro Israele e sono state una
delle ragioni per cui i leaders arabi hanno deciso di procedere
all’invasione alla vigilia del 15 maggio.
Ma fattori più importanti hanno
influenzato i leaders arabi nella loro decisione: per esempio, re
Abdullah di Giordania voleva espandere i confini del proprio paese, il
re egiziano intendeva negare a quello giordano ulteriori conquiste
territoriali ed i leaders di Siria, Iraq ed Egitto temevano la reazione
interna se non avessero effettuato l’invasione. La preoccupazione per il
benessere degli arabi nel territorio, non ancora stato, di Israele non
era il principale motivo dell’invasione araba.
Attaccare il neonato stato ebraico
Secondo Blatman, io ho sostenuto che
“più di sei mesi prima che iniziasse l’invasione araba” i leaders
dell’Yishuv, la comunità ebraica nella Terra di Israele, aspiravano ad
espandere i confini del paese oltre quelli stabiliti dalla risoluzione
dell’Assemblea Generale dell’ONU, “e ridurre al minimo il numero” degli
arabi che sarebbero rimasti nello stato ebraico.
Questo non ha senso, è una distorsione
delle mie parole e della storia. Ovviamente i leaders, nei primi anni di
vita di un paese, hanno interesse ad espanderne il territorio, ma c’è
una grande differenza tra aspirazioni personali e politiche.
In termini politici, i leaders
dell’Yishuv aspiravano ad ingrandire l’area dello stato che stava per
nascere solo a partire da marzo-aprile 1948, non fin da novembre 1947. E
questo è successo solo dopo quattro mesi di conflitto arabo contro
l’Yishuv, che stava impostando una difesa strategica. Ed è successo solo
dopo che i leaders arabi dichiararono apertamente, mattina, giorno e
notte, che intendevano attaccare lo stato ebraico quando se ne fossero
andati i britannici.
Riguardo al fatto di ridurre al minimo
il numero di arabi, in nessun momento della guerra del 1948 fu presa una
decisione da parte della leadership dell’Yishuv o dello stato di
“espellere gli arabi” – né nell’ambito dell’Agenzia Ebraica né del
governo di Israele; e neanche all’interno dello stato maggiore
dell’Haganah [principale milizia sionista prima della creazione
dell’esercito israeliano, ndt] o dell’esercito israeliano. E nessun
partito importante nell’Yishuv, neppure i revisionisti [gruppi sionisti
della destra nazionalista, ndt.], ha inserito tale politica nel suo
programma.
E’ vero che negli anni ’30 ed all’inizio
degli anni ’40 David Ben Gurion e Chaim Weizman hanno sostenuto il
trasferimento di arabi dall’area del futuro stato ebraico. Ma in seguito
hanno appoggiato la decisione dell’ONU, il cui piano prevedeva che più
di 400.000 palestinesi rimanessero dove erano [cioè nel territorio dello
Stato di Israele, ndt.].
E’ vero altresì che a partire da una
certa fase della guerra Ben Gurion ha lasciato intendere ai suoi
ufficiali che era preferibile che rimanessero nel nuovo paese meno arabi
possibile, ma non diede mai loro l’ordine di “espellere gli arabi”.
(Nel luglio 1948 si è espresso addirittura contro l’espulsione degli
arabi di Nazareth, mentre ha ordinato a malincuore l’espulsione di
quelli di Lod e Ramle.)
La logica del trasferimento che prevalse
nel paese a cominciare dall’aprile 1948 non si è mai trasformata in una
scelta politica ufficiale – il che spiega perché ci sono stati
ufficiali che espulsero gli arabi ed altri che non lo fecero. Né gli uni
né gli altri sono stati redarguiti o puniti.
Alla fine, nel 1948 circa 160.000 arabi
sono rimasti nel territorio israeliano – un quinto della popolazione.
Nel corso dei decenni questo numero è aumentato fino a 1,6 milioni. (In
questo mese i loro leaders hanno deciso di non partecipare al funerale
di Shimon Peres, che cercò di promuovere un accordo basato sulla
soluzione di due stati.)
Nessuna politica di espulsione totale
Se Blatman legge i miei libri, può
apprendere che già il 24 marzo 1948 Israel Galili, vice di Ben Gurion
nel futuro Ministero della Difesa e capo dell’Haganah, ordinò a tutte le
brigate dell’Haganah di non deportare gli arabi dal territorio
destinato allo stato ebraico. Le cose cambiarono all’inizio di aprile a
causa delle instabili condizioni dell’Yishuv e dell’imminente invasione
araba. Ma non vi fu una politica di espulsione totale – in qualche luogo
espulsero la popolazione, in altri no, e per la maggior parte gli arabi
semplicemente scapparono.
E’ vero che a metà del 1948 il nuovo
stato di Israele adottò una politica di divieto del ritorno dei
rifugiati – gli stessi rifugiati che mesi e settimane prima avevano
cercato di distruggere il nascituro stato. Ma io continuo a ritenere
tale politica logica e giusta.
Non accetto la definizione di “pulizia
etnica” per ciò che fecero gli ebrei nel futuro stato di Israele nel
1948. (Se prendiamo in considerazione Lod e Ramle, forse possiamo
parlare di parziale pulizia etnica). E sicuramente non vi fu una pulizia
etnica che fu “una delle più riuscite del XX secolo”, come l’ha
definita Blatman. Al contrario.
Alla fine, 160.000 arabi sono rimasti
sul territorio israeliano e non tutti quelli che hanno cercato di
tornare dai paesi arabi dopo il 1948 sono stati espulsi, come sostiene
Blatman. Molti lo sono stati, e a molti che in qualche modo sono
ritornati è stato consentito di restare e sono diventati cittadini dello
stato ebraico.
Detto per inciso, i paesi arabi hanno
attuato una pulizia etnica e scacciato tutti gli ebrei fino all’ultimo
dai territori che hanno conquistato nel 1948 – per esempio, i giordani a
Gush Etzion e nella città vecchia di Gerusalemme ed i siriani a Masada,
Sha’ar Hagolan e Mishmar Hayarden. Gli ebrei, d’altra parte, hanno
lasciato rimanere gli arabi ad Haifa e Jaffa e nei villaggi lungo le
strade principali del paese – l’autostrada Gerusalemme-Tel Aviv e Tel
Aviv-Haifa – un fatto che non corrisponde all’affermazione secondo cui
si è trattato di una pulizia etnica “riuscita”.
Riguardo all’attuale preoccupazione su
questa questione, è assurdo, per dirla in termini blandi, sostenere che
cacciare le comunità ebraiche dalla Cisgiordania sia una “pulizia
etnica”, ma c’è una logica nella presenza di ebrei in zone arabe, così
come che arabi vivano nello stato ebraico. Nella situazione attuale,
l’impresa di colonizzazione in Giudea e Samaria [come i sionisti
israeliani definiscono la Cisgiordania occupata, ndt.] costituisce un
ostacolo ad una possibile pace tra noi ed i palestinesi. Io mi sono
sempre opposto a questa impresa, perché una divisione in due stati per
due popoli è la soluzione giusta e logica.
Purtroppo Benjamin Netanyahu ha ragione
quando dice che il principale ostacolo alla pace è la mancanza di
volontà degli arabi da entrambe le parti della Linea Verde di accettare
un compromesso basato su due stati per due popoli, ed il loro rifiuto
della legittimazione dell’impresa sionista e dello stato di Israele.
Il professor Benny Morris, storico, è autore di “La nascita della questione dei rifugiati palestinesi rivisitata.”
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
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