Massimo Borghesi : PAPA E ISLAM/ L’ultima “manovra subdola” contro Francesco

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“Non credo sia giusto identificare l’Islam con la violenza. Non è giusto e non è vero”. È una delle affermazioni dell’intervista a papa Francesco nel volo di ritorno da Cracovia. Collocata nel contesto della feroce esecuzione dell’anziano sacerdote francese di Rouen, la frase assume un significato del tutto particolare. Non compreso, anzi decisamente osteggiato da quei settori del mondo cattolico che, spaventati dalla barbarie degli attentati dell’Isis in Europa, non riesce più a distinguere tra Islam e Stato islamico, tra fede musulmana e violenza. Donde l’accusa al Papa, insistente, ripetuta, spesso volgare, di essere cedevole, vile, buonista. Di non difendere la Chiesa di fronte alla minaccia storica del momento, di proporre ai carnefici un impossibile dialogo pacifico. 
Così nei blog della nuova destra cattolica fioriscono le ingiurie, i richiami identitari allo scontro di civiltà, l’odio per il nuovo nemico che non è più alle porte ma dentro la casa europea. Abbandonato l’avversario di ieri - il secolarismo relativista - il neofondamentalismo cattolico si nutre di quello di oggi: l’islamismo radicale tornato attuale dopo quello segnato dall’abbattimento delle Torri gemelle nel settembre 2001. Ogni volta la costruzione dell’identità avviene a partire dalla dialettica amico/nemico. Con ciò, però, la fede viene a patire una riduzione teologico-politica come Carl Schmitt aveva ben compreso.
Non c’è teologia politica se non c’è nemico: questo è il teorema di Schmitt. Un teorema attualissimo che vede settori del cristianesimo contemporaneo ricalcare, nell’opposizione, il fondamentalismo che vuole combattere. Ebbene è questa spirale, che si colloca nel quadro di una terza guerra mondiale a pezzetti, che il Papa vuole superare. Quando Francesco dichiara che l’Islam non può essere identificato con il terrorismo la sua non è un’affermazione ingenua, né tanto meno “buonista”. Il Papa sa bene che l’Isis è un tarlo, una metastasi dell’Islam, e lo dice apertamente. “Sì, possiamo dire che il cosiddetto Isis si presenta come uno Stato islamico e come violento, questo è un soggetto fondamentalista che si  chiama Isis. Ma non si può dire, non è vero e non è giusto dire che l’Islam sia terrorista”. 
Si tratta di un’affermazione fondamentale che va compresa. Il Papa non vuole regalare l’Islam all’Isis. Vuole impedire, al pari dei settori più intelligenti dell’Islam odierno, che l’Isis possa attribuirsi il vessillo di rappresentanza del mondo musulmano. Da questo punto di vista il fondamentalismo, laico o cristiano, occidentale costituisce il miglior alleato del fondamentalismo islamico, ne legittima la pretesa. Distinguendo l’Isis dall’Islam il Papa toglie questa legittimazione, rifiuta di ridurre la fede musulmana a teologia politica, rende possibile il distacco tra la fede e la sua versione ideologica radicale che, in questo momento, ne usurpa la forma e i contenuti.
Contrariamente a quanto affermano i suoi critici la posizione di Francesco è l’aiuto più grande che la Chiesa può offrire all’Islam non islamista, a tutti coloro che dentro l’Islam non si riconoscono nelle posizioni aberranti dell’Isis. Un aiuto che, certo, richiede di essere sostenuto. Il Papa non può né deve essere lasciato solo. Il mondo islamico ha il dovere di fare pulizia in casa propria, di isolare ed emarginare Daesh e i suoi simpatizzanti, di tagliare i fondi e di fare muro verso quegli Stati - peraltro spesso supportati dall’Occidente - che finanziano il terrorismo islamista.
Detto ciò si precisa la posizione papale. Essa, come bene ha scritto Massimo Franco sul “Corriere della Sera”,  si muove tra due sponde. Francesco “è come se nuotasse contro due correnti: quella eversiva che distorce l’immagine dell’Islam riducendolo a 'religione dei terroristi'; e quella che porta l’Europa verso derive xenofobe e verso un cristianesimo 'etnico'” (Cattolici e islam, Francesco Papa  aperto che naviga contro corrente). Risuona, in questa seconda corrente, il grido “Cristianesimo e Europa” che si affermò, negli anni ’20-’30 del secolo scorso, in antitesi a Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler. Una lettura fortemente contestata da Jacques Maritain e da Etienne Gilson, concordi nel ritenere il cristianesimo “cattolico”, cioè universale e non meramente europeo. 
Oggi è lo stesso pontefice a essere rimproverato dagli iper-cattolici di non difendere l’Europa, di tacere e di essere silenzioso, di non proferire il nome dell’Islam. Un Papa “Pilato” che non osa parlare. Sono gli stessi, come ha scritto Marco Cobianchi in un ottimo commento nella sua pagina Facebook, che pur difendono a spada tratta i “silenzi di Pio XII” sulla questione ebraica. Silenzi giustificati per non arrecare ulteriori persecuzioni agli ebrei e ai cristiani. Ciò che si perdona a Pio XII non lo si ammette per Francesco.
In realtà, le accuse al Pontefice regnante sono solo un pretesto, l’ennesima giustificazione per attaccare un Papa che non ama le identità in conflitto, ma vuole che i cristiani siano costruttori di ponti. Non per irenismo, come scrivono i critici, ma perché consapevole di un quadro tragico nel quale la funzione della Chiesa può brillare per il suo stato d’eccezione: l’essere il luogo del Dio della misericordia a fronte di un mondo lacerato in cui il nome stesso di Dio è usurpato dal suo Avversario, da colui che è fonte di divisione.


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Le critiche al Papa potrebbero favorire chi vuole la guerra

Secondo il professor Massimo Borghesi i terroristi usano strumentalmente la religione e la Chiesa non è una fortezza che si chiude, è la “civitas Dei” che vive mescolata al mondo
Papa Francesco con autorità islamica
Le dichiarazioni di Papa Francesco in merito al coinvolgimento dell’Islam negli attentati terroristici e la grande partecipazione degli Imam e dei musulmani alla messa di domenica 31 luglio, sono azioni che non sono piaciute ad una parte del mondo cattolico.
In rete, sui social e sui giornali sono apparsi articoli e post che criticano aspramente il Pontefice e guardano con diffidenza e addirittura ostilità la presenza dei musulmani nelle chiese cattoliche.
Per cercare di capire cosa sta accadendo e quali sono i fondamenti della discussione, ZENIT ha intervistato Massimo Borghesi professore ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia.
Il prof, Borghesi è stato docente di Storia della Filosofia Morale presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Lecce. Ha insegnato, Estetica, Etica,Teologia filosofica, presso la Pontificia Università S. Bonaventura in Roma dove è stato, anche direttore della “Cattedra Bonaventuriana”.
Dal 2008 è docente di Filosofia e religione presso la Pontificia Università Urbaniana. È membro del consiglio scientifico e del comitato editoriale di editrici e riviste (Studium, Atlantide, Humanitas, Revista de antropología y cultura cristianas).
Tra i suoi ultimi libri “Critica della teologia politica” (Marietti 2013), “Senza legami. Fede e politica nel mondo liquido. Gli anni di Benedetto XVI” (edizioni Studium 2014), “Luigi Giussani. Conoscenza amorosa ed esperienza del vero. Un itinerario moderno” di Massimo Borghesi, Edizioni di Pagina, Bari, 2015.
Papa Francesco ha detto che è ingiusto dire che l’Islam sia terrorista. Può spiegarci qual è secondo lei il punto di vista del Pontefice?
L’affermazione di papa Francesco mira a deteologizzare il  potenziale conflitto tra due mondi: quello islamico e quello cristiano. A togliere ad esso il crisma religioso per ricondurlo al progetto proprio di ogni teologia politica la quale si serve del nome di Dio per realizzare la città dell’uomo.La gloria di Dio sta al servizio della potenza dell’uomo.  Questo progetto è oggi portato avanti dallo Stato islamico, dall’Isis che bestemmia Dio in nome di Dio. In ciò Francesco ripete la posizione di Giovanni Paolo II il quale, durante la guerra dell’Occidente contro l’Iraq di Saddam Hussein, nel 2004, si oppose fermamente al conflitto e alle ragioni “religiose” accampate, pretestuosamente, dall’Occidente “cristiano”. Deteologizzando il conflitto il Papa toglie all’Isis la sua legittimazione, impedisce la sua identificazione con l’Islam, consente all’Islam più autentico di prendere le distanze da questa metastasi che, al momento, ne sta infettando il corpo. Il Papa offre all’Islam una mano tesa affinchè esso si liberi dai demoni che, dall’interno, lo assalgono. Non dobbiamo infatti dimenticare che le prime vittime dell’Isis sono gli stessi islamici. Al contempo la posizione papale, incentrata sul rapporto tra le religioni, costituisce un contributo fondamentale a ritrovare fiducia, a superare le identità dominate dalla conflittualità, a svelenire un contesto drammatico segnato da una terza guerra mondiale a pezzi. Il Papa non è irenico, buonista, come afferma con miopia la nuova destra cattolica. Ha presente, al contrario, un quadro tragico nel quale la Chiesa, a fronte di poteri che soffiano sul fuoco alimentando scontri e guerre,deve farsi luogo di comunione tra i popoli. Il Dio della misericordia deve opporsi all’immagine ideologica del nuovo dio degli eserciti. Al manicheismo che, ogni volta, torna a dividere il mondo in buoni e cattivi. La prospettiva del Papa è antimanichea e questo provoca la reazione di molti cattolici che, senza accorgersene, professano un’ideologia fondamentalista speculare a quella dell’avversario islamista.
Domenica scorsa in Francia ed in Italia è accaduto qualcosa di incredibile. Imam e musulmani sono andati nelle chiese cattoliche per manifestare la loro solidarietà e lo sdegno per i crimini commessi dai fondamentalisti. Che valutazione può essere data a questa grande novità?
Si tratta, come lei dice, di una grande novità. Mai tanti musulmani sono entrati in chiesa per pregare con i cristiani. Si tratta di un gesto di pace che è un “unicum”, non ha analogie nella storia passata. Da questo punto di vista il martirio di padre Hamel non è stato inutile. Il suo barbaro sacrificio ha scosso le coscienze e provocato ad una risposta nuova, inedita. Una risposta, va detto, non condivisa da tutti i musulmani di Francia e di Italia. Il muro di diffidenze e, in molti casi di ostilità, è duro a cadere. E tuttavia qualcosa è accaduto. Qualcosa che eccede i soliti rituali del dialogo interreligioso. Qui si apre una strada che deve essere percorsa, un cammino segnato dalla conoscenza e dalla fiducia reciproca che, solo, può consentire una reale integrazione dei musulmani in Europa.
Non tutti, anche tra i cattolici, hanno compreso. C’è chi oggi critica i parroci e le chiese che hanno fatto entrare gli islamici in Chiesa. Che ne pensa?
Sotto il pontificato di Francesco si è costituita una nuova destra cattolica che accusa il Papa di essere cedevole sui temi etici, sui valori non negoziabili, sull’opposizione all’Islam. Questo mondo variegato, molto attivo nei blog, vede nell’Isis il vero volto dell’Islam destinato a travolgere le coscienze europee. Quanto più l’Isis compie i suoi efferati attentati sul suolo europeo tanto più i cristiani si chiudono. Si tratta di una reazione comprensibile. Per questo la mano tesa del Papa all’Islam deve essere sostenuta dalle comunità islamiche mediante una ferma dissociazione dalla violenza ed una educazione capillare ad una fede nel Dio misericordioso. Le critiche dei cattolici alla partecipazione dei musulmani alla messa sono, da questo punto di vista, miopi ed ingenerose. Rivelano un radicato tasso di ideologia. Da un lato si invitano i musulmani a dissociarsi dall’Isis; dall’altro li si accusa di opportunismo ed ipocrisia quando vengono in chiesa. Nulla di ciò che fanno è utile. In ciò giocano riflessi antichi, nutriti da una rivalità più che millenaria. Il gesto della preghiera comune nelle chiese di Francia e di Italia ha un valore rivoluzionario.
In termini geopolitici l’alleanza tra Croce e Corano potrebbe essere la strada giusta per evitare la per evitare lo scontro militare e la strumentalizzazione religiosa dei fondamentalisti. Qual è il suo parere in proposito?
Sono pienamente d’accordo. La pace del mondo passa oggi attraverso la critica della teologia politica. La critica della strumentalizzazione della religione al fine di realizzare Stati terreni, califfati, mostri di oppressione aberrante. E’ questa strumentalizzazione, che si estende anche al versante occidentale che diventa teocon ogni volta che appare l’ombra islamista, ciò che legittima, agli occhi dei popoli, la guerra, il conflitto senza soluzione. Gli ultimi papi, da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI con il suo discorso di Ratisbona, si sono fermamente opposti all’uso politico-ideologico della religione. Dissociare la religione dalla violenza e collegarla alla ragione e alla misericordia: questo è il contributo cattolico alla pace mondiale.
In curia Vaticana e in alcune diocesi si avvertono alcuni mal di pancia nei confronti di Papa Francesco. Le critiche riguardano due temi specifici, l’Amoris Laetitia e l’apertura nei confronti di immigrati e islamici. Può spiegarci quali sono le ragioni della controversia e quali gli argomentì su cui ci si dibatte? 
E’ un po’ difficile rispondere, in due parole a ciò. Posso solo registrare come dietro ai critici vi sia una posizione subalterna al relativismo etico, dominante nell’Occidente, che si vuole combattere. Il neofondamentalismo cattolico dipende dall’avversario, nell’opposizione. Non si libera cioè del nemico, lo introietta, ne ha bisogno per definire la sua identità. La costruzione identitaria presuppone il conflitto, si ancora alla “purezza” di una dottrina che non ammette eccezioni pratiche, recita nella storia il ruolo della vittima con il tono di chi rimpiange le vittorie di un tempo. La Chiesa torna qui all’orizzonte degli anni ’50: quello che Hans Urs von Balthasar desiderava aprire con il suo libro Abbattere i bastioni. Oggi molti vorrebbero erigere nuovi bastioni, nella dottrina, contro gli immigrati di fede musulmana, ecc  Si tratta di una reazione di difesa fondata sulla paura. L’invito del Papa a superare una Chiesa “autoreferenziale” si colloca a questo livello. La Chiesa non è una fortezza che si chiude, è la “civitas Dei” che vive mescolata al mondo. In partibus infidelium come 100 anni fa sognava il grande poeta Charles Peguy.

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