La curiosa storia degli ebrei che fecero Milano


 
 
 
 
 
Dalla banca popolare all’Asilo Mariuccia, dal socialismo al fascismo, dal Risorgimento alla Resistenza. Storia di una comunità ebraica anomala. Che Rony Hamaui ha raccontato in un libro
linkiesta.it
27 Maggio 2016 - 13:56

«Milano, per la comunità ebraica italiana, è un’anomalia». Senza ghetto, senza sinagoghe nascoste, senza cimiteri abbandonati. Ma nello stesso tempo, non c'è città italiana - sicuramente non negli ultimi due secoli - che debba così tanto agli ebrei nel definirne l'identità economica, sociale e culturale. A raccontarlo, Rony Hamaui, nel suo nuovo libro “Ebrei a Milano” (il Mulino) che sarà presentato nell'ambito della manifestazione Jewish in the city, festival internazionale di cultura ebraica giunto alla sua terza edizione, che si terrà dal 29 al 31 maggio a Milano.
Hamaui, perché Milano è un’anomalia, nella storia degli ebrei italiani?
Quello dei ghetti ebraici, delle comunità chiuse non è solo uno stereotipo. È lo standard perlomeno per le comunità ebraiche italiane, Roma in particolare.
Perché Milano non fa parte di questo standard, quindi?
Perché quella di Milano è una comunità ebraica recente, molto eterogenea, che ha trovato nella città un terreno fertile nell'integrazione.
In cosa consiste questa fertilità?
Facciamo un passo indietro. Gli ebrei a Milano non erano potuti vivere per molti secoli. Erano stati tenuti lontani dalla città. Con l'illuminismo austriaco prima e con Napoleone poi, Milano diventa un polo molto attraente. È una città con un clima di libertà e di tolleranza. E soprattutto è un polo economico in crescita. Il luogo ideale per lavorare L'aperturta dello sportello di sconto della Banca d'Italia a Milano, nella seconda metà dell'ottocento, fu un momento di svolta. Per Milano fu un momento di enorme sviluppo. Ed è anche per questo che molti ebrei affluirono sotto la Madonnina.
Da dove?
Da tutta Italia, anche dal nord Europa, ma soprattutto da Mantova.
Come mai proprio Mantova?
Era la comunità più vicina ed è una città con una lunga tradizione ebraica. Milano nasce come un appendice della comunità Mantovana. Molti mantovani erano andati a vivere a Milano. Non è un caso che anche il primo rabbino di Milano venga da Mantova. Questo fino al 1866 - giusto centocinquant'anni fa - quando c'è il distacco amministrativo e giuridico della comunità ebraica milanese, non senza opposizione da parte dei mantovani.
E cosa succede, a questo punto?
Succede che ancora di più Milano continua ad attrarre ebrei da tutta Italia e da tutta Europa. A Milano, però, arrivano ebrei che non si conoscono tra di loro e non parlano la stessa lingua. Faticano a diventare una comunità. Le strutture che nascono per loro, prima fra tutta la scuola ebraica, sono poco frequentate. Non a caso, Il tempio viene costruito molti decenni dopo, nel 1892, in via Guastalla.
Come mai?
Perché gli ebrei milanesi hanno voglia di integrarsi, di guadagnarsi uno status sociale. L'Italia era un po' da costruire. E come diceva D’Azeglio c'erano da fare anche gli italiani. C'era un clima di grande eterogeneità, in Italia e soprattutto a Milano. E la sociologia moderna ci insegna che strutture eterogenee inglobano molto meglio l'immigrazione. In più - altro elemento che ha facilitato il processo - gli ebrei milanesi erano di alto livello culturale.
«Fu Luigi Luzzatti, ebreo, a fondare la Banca Popolare di Milano. Anche la Banca Commerciale Italiana nasce con capitali ebraici, tre dei suoi primi quattro amministratori delegati erano ebrei. E poi ci sono le banche familiari: gli ebrei avevano un terzo del sistema bancario milanese, pur essendo un duecentocinquantesimo della popolazione. E poi facevano grande attività filantropica, culturale, politica»
Qual è l'effetto su Milano di questa integrazione?
È determinante per lo sviluppo della città, sotto ogni punto di vista.
Qualche esempio?
Il Risorgimento milanese ha una fortissima matrice ebraica. I Finzi, ad esempio, giocarono un ruolo fondamentale nelle Cinque Giornate di Milano. E lo stesso Enrico Guastalla, figura emblematica nel risorgimento italiano, era ebreo, così come tantissimi garibaldini.
Come mai?
Perché la libertà dagli austriaci, era la loro libertà. Non è solo una tendenza milanese, questa. Gli ebrei romani, ad esempio, erano così pro risorgimentali che il papato cominciò a preoccuparsi. E non a caso qualche traccia di antisemitismo c'è, a quell'epoca.
Anche a Milano?
No, a Milano no. Basta pensare a Giuseppe Verdi, che rappresenta il Nabucco alla Scala, mettendo al centro della liberazione il popolo ebraico. Sarebbe stato impensabile in un contesto antisemita. Milano era un luogo in cui gli ebrei erano davvero protagonisti dello sviluppo economico e sociale.
Qualche esempio?
Fu Luigi Luzzatti, ebreo, a fondare la Banca Popolare di Milano. Anche la Banca Commerciale Italiana nasce con capitali ebraici, tre dei suoi primi quattro amministratori delegati erano ebrei. E poi ci sono le banche familiari: gli ebrei avevano un terzo del sistema bancario milanese, pur essendo un duecentocinquantesimo della popolazione. E poi facevano grande attività filantropica, culturale, politica.
Come?
L’Umanitaria presenta elementi fortissimi di ebraicità. L'asilo Mariuccia fu fondato da ebrei. E parlando di cultura, ricordo che furono i Treves, con la loro tipografia, a pubblicare per la prima volta Verga e D’Annunzio. Mentre a livello politico va ricordato l'impegno nella creazione del socialismo riformista milanese, di cui Anna Kuliscioff è un esempio, ma anche del fascismo, con Margherita Sarfatti.
«Milano anche oggi rimane una città molto aperta. Negli ultimi mesi, però, ci sono stati alcuni episodi di antisemitismo. Forse è un caso, forse è un’onda lunga che arriva da lontano. Qualche attenzione in più è necessaria, però»
Addirittura il fascismo?
Gli ebrei si distribuirono anche a destra. Margherita Sarfatti, ebrea, fu amante di Mussolini e scrisse Dux, libro che aveva l'obiettivo di far conoscere Mussolini nel mondo. Non a caso, la prima edizione fu in inglese. Lui la ripudiò per motivi personali e politici. Scappò in America latina per via delle leggi razziali.
Ecco, parliamone, delle leggi razziali...
Il periodo delle leggi razziali è una cesura storica. Milano era la città più liberale d'Europa, in quegli anni. Non credevano ai loro occhi, gli ebrei, quando nel 1938 furono emanate le leggi razziali. Fu una pugnalata. Ma in quel momento l'ebraismo milanese trovò un unità che non ebbe mai trovato prima. Si può dire che le leggi razziali misero d'accordo tutti gli ebrei. Che, ad esempio, iniziarono a mandare i figli in una scuola ebraica. Nacque una specie di ghetto sociale, lì dove non c'era mai stato.
Ci fu qualche forma di resistenza contro il nazifascismo?
C'erano centri di resistenza molto forti. Soprendentemente, l'università Bocconi fu uno di quelli. Erano ebrei personaggi come Sraffa, Delvecchio, Mortara. La Bocconi è una storia nella storia molto interessante.
E oggi?
Milano anche oggi rimane una città molto aperta. Negli ultimi mesi, però, ci sono stati alcuni episodi di antisemitismo. Qualche segno di preoccupazione c'è. Le recenti aggressioni dei ragazzi con papalina, o del rabbino per Milano sono una specie di choc. Non era mai successo prima. C'era una matrice anti-istraeliana, politica, ma niente di antisemita. Milano era un isola felice, da questo punto di vista. Forse è un caso, forse è un’onda lunga che arriva da lontano. Qualche attenzione in più è necessaria, però.

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