Moked : Livelli di guardia Tagliagole in vista La polemica su Dov Yirmiya e le avventure amorose di Moshe Dayan


Lo sfogo scomposto di un tale che invoca il mio licenziamento con l’accusa di aver consentito la pubblicazione dell’opinione di un collaboratore…
moked.it
Lo sfogo scomposto di un tale che invoca il mio licenziamento con l’accusa di aver consentito la pubblicazione dell’opinione di un collaboratore esterno dove si offenderebbe, riportando parole di un suo rivale e di sua moglie, la memoria dello statista israeliano Moshe Dayan, impazza ora sui territori della demenza digitale.
Ogni incitazione al linciaggio necessita di pesanti semplificazioni. E soprattutto impone di prendere in giro il pubblico. Le informazioni, i concetti vengono distorti, storpiati a piacimento per dimostrare quello che si vuole. Si punta su quelli che credono alle fandonie, che si lasciano suggestionare. Si mettono a tacere quelli che vanno a confrontare, a controllare.
E si evita così di dire che l’argomento in questione è stranoto da decenni a tutta l’opinione pubblica israeliana.
Si tace che quanto evocato in una libera opinione (che la redazione ha il dovere di pubblicare, ma non ha mai condiviso né evidentemente ha alcuna intenzione di condividere), è già apparso su molti autorevoli giornali e addirittura libri. Altrimenti bisognerebbe chiedere il licenziamento di alcuni fra i migliori giornalisti israeliani colpevoli solo di aver fatto il proprio lavoro.
Quello che è a disposizione del lettore dei grandi quotidiani israeliani e che la cosiddetta intellighenzia nostrana legge avidamente a casa propria, va bene. Ma attenzione, che non finisca in mano ai comuni cittadini. Al lettore italiano, stando a questi giustizieri improvvisati, non deve assolutamente arrivare. Secondo la loro delirante pretesa il lettore italiano dovrebbe essere trattato come un minorato. Deve bastare il manganello della propaganda e del social network. Il resto è meglio metterlo a tacere. Con le buone o con le cattive.
Conoscere, ragionare, confrontarsi serenamente con le opinioni altrui, costruire mezzi di informazione liberi e autorevoli, non rientra nei piani dei tagliagole.
La teoria secondo cui il lettore sarebbe un imbecille da tenere sotto tutela ha fatto il suo tempo. È un trattamento che nessuno dei nostri lettori merita.
Una nuova stampa ebraica sta qui per dimostrarlo.
Chi, con questi penosi tentativi di intimidazione, pretende il contrario, prima ancora che un farabutto è qualcuno che offende l’intelligenza degli ebrei italiani e dei loro amici. E nella grande democrazia di Israele, prima ancora che chiamato a rispondere delle sue malefatte, prima ancora che rimesso al proprio posto, sarebbe anche coperto dal ridicolo.
gv
(15 febbraio 2016)


2  articolo 

Il settimanAle
L’ultimo sionista

alessandro-treves È morto a 101 anni Dov Yirmiya, e ci racconta in breve la sua lunga vita Ofer Aderet, in un bell’articolo su Ha’aretz l’8 febbraio. Nato in Galilea nel 1914, Dov era cresciuto con Moshe Dayan, di un anno più giovane, da quando i genitori di entrambi si erano trasferiti a Nahalal, il primo moshav fondato in Eretz Israel. Con Moshe, ancora ragazzini, erano entrati nell’Haganà e avevano partecipato alla difesa di Nahalal durante i disordini del 1929. Prendendo quella come data d’inizio della loro carriera militare, se quella di Dayan si concluse come capo di stato maggiore nel 1958, prima del passaggio alla politica, quella di Dov Yirmiya ebbe una durata quasi doppia, fino a quando nel 1982 si offrì volontario, a 68 anni, per andare a combattere nella prima guerra del Libano. Rimase sconvolto da quello che vide e ne scrisse un diario, che venne pubblicato, causando la sua espulsione dall’esercito. “Siamo diventati dei selvaggi criminali” scrisse Yirmiya; “parole che sembrano scritte dalla propaganda dell’OLP” replicò il suo comandante.
Se come militare era arrivato al grado di tenente colonnello, uno fra i tanti ufficiali dell’esercito israeliano, come ex-militare può essere considerato il primo o l’antesignano degli attivisti di Breaking the Silence, il gruppo adesso sotto il mirino degli squadristi, perché riferisce le esperienze dei soldati nei territori occupati. E attivo Dov Yirmiya è stato per tutto il resto della sua lunga vita, come quando scrisse a Ehud Barak nel 2008:
“Gentile Ministro, rinvio al mittente il Vostro invito.
Ho ricevuto il Suo elegante invito ai veterani della guerra del 1948, inviatomi in occasione del 60esimo anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, con lo slogan ‘Lo Stato d’Israele Le esprime la sua gratitudine’. Come veterano della guerra del 1948, rimasto ferito due settimane prima della Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato, mi sento in dovere di rinviare il Suo invito al mittente, al Ministro della Difesa. Mi dispiace compiere questo gesto, ma il mio senso di dovere non mi lascia altra scelta. Ritengo che Lei, Ehud Barak, essendo uno dei più alti gradi del comando militare nonché uno dei protagonisti politici prominenti, sia responsabile per avere trasformato l’esercito da una ‘Forza di Difesa Israeliana’ in un esercito d’occupazione ed oppressione a danno del popolo palestinese ed in una forza a difesa delle colonie criminali in terra palestinese. …”
Ma forse, più che nella sua lunghissima battaglia da militare e poi da ex militare, la parabola di un sionismo inebriato dal successo e spinto oltre ogni confine possiamo leggerla in un episodio della sua vita privata. Fu alla fine degli anni 50, quando scoprì che la sua seconda moglie, Hadassah, che lui stesso aveva presentato all’amico Moshe Dayan allora capo di stato maggiore, ne era stata sedotta. Dov la cacciò infuriato, lei invece raccontò pubblicamente delle sue esperienze erotiche con Dayan. Quando Dov scrisse anche a Ruth, la moglie di Dayan, questa rispose con filosofia “nessuno dei trucchi di Moshe mi sorprende più … è un peccato che gli lascino ancora infettare delle ragazze innocenti”. Molti anni dopo, bisognerebbe forse annoverare fra le infettate anche le tredicenni accoltellatrici palestinesi.
Alessandro Treves, neuroscienziato 
http://moked.it/blog/2016/02/14/il-settimanale-lultimo-sionista/.
(14 febbraio 2016)


 3  articolo di  Haaretz
Dov Yirmiya, born in 1914, fought in almost every war in Israel. But at the age of 68 he was forced to take off his uniform after publishing a diary account of the first Lebanon war. A week ago he died at the age of 101.

After being ousted from the Israel Defense Forces, Yirmiya became a prominent leftist activist. Recently, upon seeing the Palestinian fatalities caused by Israeli attacks in the Gaza Strip, he said: “There is no future for my offspring in this country. We are heading for destruction and doom.”

Yirmiya was born in 1914 in the small rural community of Beit-Gan near Yavne’el, in the lower Galilee. His parents came from Russia during the Second Aliyah. His father, David Yirmanovich, was a revolutionary. In 1921 his family was among the founders of Nahalal, where he met another native of that moshav, Moshe Dayan. “We lived in the same neighborhood, courted the same girls, competed with each other, swapped them or they us,” he said.

As children in Nahalal he and Dayan used to fight off Arab shepherds who brought their flocks to the moshav’s fields.
Dov Yirmiya. Bitmuna

In school he displayed musical talent and played the violin, mouth organ and other instruments. At 15 he conducted a students’ choir and composed melodies.

He later wrote and composed songs and would conduct choirs throughout his life. Until recently he played the accordion and sang for various audiences, including Arab kindergartens.

Yirmiya entered history as one of Israel’s most veteran soldiers. In the pre-state underground militia, the Haganah, he fought with Orde Wingate’s Special Night Squads, protected Nahalal in the 1929 Arab riots and participated in 1938 in conquering Hanita and setting up Kibbutz Eilon.

In World War II he served in the British Army’s transportation unit, traveling between battles in the Middle East, Africa, Italy and Germany. After the war, in the ranks of the Haganah’s elite Palmah force, he helped bring Holocaust survivors to Israel.In 1948 Yirmiya joined the IDF, fought in the Galilee battles and took part in conquering Nazareth. He was reported dead after being seriously wounded in a battle near Eilon. “He kept the announcement of his death in his wallet his whole life,” his daughter said.

Over the years he was promoted to colonel. Between wars he married three times. He had two daughters with his first wife, Grunia. He met his second wife, Hadassah Mor, when she served as a soldier in a base he commanded. They had a son together.

In the mid ‘50s Yirmiya introduced his wife to his old friend Dayan, who was chief of staff by then. “Dov told him about me and he wanted to know who I was,” Mor told Maariv four years ago. “We just stood there and he looked and looked. For several minutes. I too looked at him. I felt he liked me, but I didn’t make a big deal of it,” she said.

At the end of the ‘50s, when Yirmiya found the two were having an affair, he divorced her. The affair was mentioned in gossip columns at the time and Mor wrote books consisting of sexual scenes with Dayan that were daring for the time. Yirmiya sent Dayan a sharply worded letter after he learned of the affair, calling him an “adulterous man.” He wished Dayan “damned forever” and called him “you damned, vile adulterer. You exploited a poor woman’s weakness and pulled her into an abyss… threw her out today because of you.”
He also wrote to Dayan’s wife, Ruth, who replied that “none of Moshe’s antics surprises me…it’s a shame they still let him infect innocent girls with his disease.”

Yirmiya demanded that then Prime Minister David Ben–Gurion dismiss Dayan from public office.

In 1982, at age 68, Yirmiya put on his uniform for the last time and volunteered to fight in the first Lebanon war. When he returned, shocked by what he saw, he decided to break the silence and published – first in a newspaper and later in a book – a scathing war diary.

“We’ve become a nation of savage thugs,” he wrote, calling the war a mistake. As a result he was dismissed from the army. His commander wrote that Yirmiya’s words could have been written by a “PLO propagandist.” What hurts the IDF and Israel is what we did, not what is written about what we did,” he told Gideon Levy in an interview in 1983. After the war he continued to help Palestinian refugees in south Lebanon privately.

In 1986 Yirmiya made headlines again when he met PLO officials in Romania, when it was against the law. Two years later, in the first intifada, he was arrested on suspicion of incitement after urging soldiers to refuse to serve in the territories.

Yirmiya was also a farmer and worked in the Nature and Parks Authority. In 2011 he said in Avi Dabah’s film about his life, “The Last Zionist”: “I’ve lived under three regimes in this country: four years with the Turks, 30 years with the British and now with Israel…I see no future for my offspring in this country. We’re heading for ruin and destruction. I think the state won’t exist in 50 – 100 years.”
 
 
 
After publishing a scathing account of what he saw in the first Lebanon war, Dov Yirmiya was dismissed from the army at the age of 68.
haaretz.com


3  Richiesta di licenziamento del direttore di Moked  per l'articolo pubblicato . Aquesto si riferisce il primo post







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