Richard Falk :Lo Yemen paga il prezzo della paranoia settaria dei Sauditi

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Lo Yemen paga il prezzo della paranoia settaria dei Sauditi Di Richard Falk 26 settembre 2015 Qualsiasi tentativo di fornire un resoconto coerente della lo
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Qualsiasi tentativo di fornire un resoconto coerente della lotta politica che affligge lo Yemen, è destinato a fallire. Il paese è un crogiolo di contraddizioni che si sottraggono  alle normali categorie di analisi razionale. Guardando al di là della nebbia politica che avvolge i conflitto, le tragiche circostanze di acuta sofferenza  della popolazione civile emergono con estrema  chiarezza.
Molto tempo prima dello scoppio della guerra civile, lo Yemen era noto per essere il paese più povero della regione, che aveva a che fare con  incombente  scarsità di cibo e di acqua. L’ONU stima che l’80% della popolazione abbia urgente necessità di assistenza umanitaria, che il 40% viva con meno di 2 dollari al giorno. Ci sono, inoltre, rischi di carestia generale e di scoppi di epidemie.
In questo contesto, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU sembra appoggiare scandalosamente un rilevante intervento militare saudita fatto con attacchi aerei  prolungati  iniziati nel marzo 2015, aggravando seriamente la situazione generale, adottando  in modo unanime la Risoluzione unilaterale 2216 contraria agli Houthi.
Questo uso  della forza da parte dei sauditi è contrario alla legge internazionale, viola il principio fondamentale della Carta dell’ONU, e amplifica il violento disordine della società saudita.
Il successo dell’insurrezione degli Houthi dal nord che ha spazzato via dal potere la leadership yemenita, impadronendosi della capitale Sanaa, fu  perversamente trattato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU come un colpo di stato militare che giustificava l’intervento da parte di una coalizione guidata dai sauditi. E’ strano ricordare che il l’evidente colpo di stato militare del 2013 in Egitto, con rappresaglie più sanguinose contro i governanti eletti destituiti, non sollevò neanche un mormorio di protesta nelle sale dell’ONU. Così va la geopolitica in Medio Oriente.
Narrazione semplicistica
Ciò che rende difficile decifrare gli sviluppi in Yemen è la tendenza della geopolitica a ridurre una storia nazionale incredibilmente complessa e un’interazione di forze rivali a una semplicistica storia di rivalità di sunniti contro sciiti per il controllo del paese.
Soprattutto, questo prisma di interpretazione, permette all’Arabia Saudita di raffigurare la lotta in Yemen come un altro teatro della guerra per procura nella regione più ampia che mette l’Arabia Saudita e i suoi alleati contro l’Iran, il che è un modo certo di assicurarsi l’appoggio degli Stati Uniti e di Israele. La stessa logica è andata bene per  il regno (e male per il  mondo) per spiegare perché esso appoggi le forze contrarie ad Assad in Siria negli anni scorsi. Se viene considerata più obiettivamente, cominciamo a capire perché questa ottica settaria nasconda più che rivelare.
Per esempio, quando si è trattato dell’Egitto, il modello  settario è stato scartato e i sauditi hanno immediatamente usato la loro forza finanziaria per aiutare il golpe contro la Fratellanza Musulmana del 2012 guidato dal Generale Sisi, per consolidare il suo controllo sul paese. Anche quando Israele attaccò Gaza l’anno scorso, cercando di distruggere Hamas, una versione islamica sunnita della Fratellanza, l’Arabia Saudita non fece alcun segreto del fatto  sorprendente di aver dato il via libera a Tel Aviv.
Quello che emerge, allora, non è una politica regionale basata su priorità settarie, ma piuttosto una preoccupazione patologica per la stabilità del regime nella monarchia saudita, con ansietà che compaiono ogni volta che nella regione emergono tendenze politiche che eludono il suo controllo, e che vengono percepite come minacciose.
Gli yemeniti stanno pagando un enorme prezzo per questo genere di politica saudita paranoica per la sicurezza. Tuttavia, gran parte del mondo viene addormentata dolcemente e non si prende la pena di sbirciare sotto questa notizia settaria da copertina.
Si prendono in considerazione soltanto scarsi resoconti del fatto che le reali minacce all’ordine regionale in Yemen non arrivano da una ragionevole insistenza degli Houthi sugli accordi politici per la condivisione del potere, ma nascono principalmente dalla presenza del gruppo Al Qaida nella Penisola Araba (AQAP) e, più di recente, dell’ISIS che sono stati presi di mira dai droni americani come parte della guerra al terrore, fin dal 2007.
E quindi, mentre l’Occidente appoggia la lotta dei sauditi contro gli Houthi sciiti, contemporaneamente fa del suo meglio per indebolire la loro formidabile opposizione e, così facendo, allontana la popolazione civile yemenita dalle sue tattiche militari, che recluta altri estremisti impegnati a combattere contro l’intervento esterno.
Se questo non bastasse a  rendere opaca la sfera di cristallo yemenita, c’è anche l’allineamento delle forze. Da una parte c’è il regime del 2012 succeduto al governo dittatoriale di Ali Abdullah Saleh guidato dal suo ex vice presidente, Abd Rabbuh Mansour Hadi, che ora apparentemente “governa” dal suo esilio.
Dalla parte dell’anti-regime, oltre agli Houthi, ci sono le principale forze militari e di polizia  sotto l’autorità di Saleh che si oppongono all’intervento saudita e che hanno contribuito a cambiare il corso della battaglia sul terreno contro il governo guidato da Hadi. Malgrado questa avversa realtà sul campo di battaglia, si cita ciò che ha detto
l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti, Adel al-Jubeir: “Faremo qualsiasi cosa ci voglia per impedire la caduta del  governo legittimo dello Yemen.” Tragicamente, ciò che questo sembra significare è ridurre il paese a un caos che porta fame e malattie alla popolazione e forse un’ intensificazione della frustrazione in qualche momento futuro, dando il via a una importante offensiva sul terreno.
Che cosa si dovrebbe fare?
E’ difficile sapere che cosa porterebbe un certa pace allo Yemen. Quello che sappiamo davvero è, che sia l’ottica settaria che gli interventi sauditi sono scelte senza via di uscita. L’inizio di approccio costruttivo è di tenere conto delle cause  alla radice. E’ necessario considerarne varie. C’è una lunga esperienza di divisione tra il nord e il sud, e questo significa che qualsiasi governo di unità per l’intero Yemen può essere sostenuto soltanto da un dittatore con il pugno di ferro come Saleh o per mezzo di un genuino tipo di accordo di condivisione del potere. Oltra a questo, il paese ha ancora le cicatrici del dominio Ottomano mescolato con una presenza britannica ad Aden e nell’area circostante, di importanza vitale per le priorità coloniali del controllo di Suez e delle vie commerciali verso l’Oriente.
Inoltre, lo Yemen rimane un insieme di tribù che ancora vogliono la lealtà  del popolo. La moderna insistenza dell’Europa sugli stati sovrani in Medio Oriente, non è mai riuscita  a superare  la superiorità delle identità tribali yemenite. Qualsiasi possibilità di stabilità politica richiede di aiutare le tribù dello Yemen come ha fatto l’Arabia Saudita durante la dittatura di Saleh (1990-2012). Quando si tiene conto della geografia e del tribalismo, ricorrere alla divisione tra Sciiti e Sunniti o alla rivalità tra Riyadh e Tehran come spiegazione dello Yemen oppresso dalla lotta, è una fantasia crudele e futile.
Che cosa si dovrebbe fare, data questa situazione complessiva? Una chiave potenziale per ottenere una certa pace in Yemen è nelle mani dei decisori politici a Washington. Tuttavia, fino a quando il governo degli Stati Uniti di sente obbligato nei riguardi governanti nella monarchia saudita e degli estremisti che “gestiscono” Israele, è inutilizzabile.  Questo rende il subbuglio in Medio Oriente bloccato su un letale tapis roulant che si muove rapidamente. Come scenderne? Questo è il problema.
Ci sono due mosse ovvie, nessuna delle due ideale, ma con il modesto obiettivo di  un primo passo che crea un nuovo ordine politico: primo, negoziare un cessate il fuoco che comprenda la fine dell’intervento saudita; in secondo luogo, stabilire un ripristino più credibile della Conferenza per il Dialogo Nazionale che due anni fa  fu un tentativo fallito a Sanaa di trovare un accordo per la partecipazione  al potere. Quello che è necessario è stabilire una transizione politica sensibile sia alla spaccatura tra Nord e Sud che alla forza delle tribù yemenite unita al massiccio aiuto economico dall’esterno e alla creazione di una presenza dell’ONU di mantenimento della pace, con il compito di attuarla. Ogni soluzione minore non ha alcuna possibilità di funzionare.
Questa strada razionale è attualmente bloccata, specialmente dall’ intenso attivismo della aggressiva leadership di Re Salman bin Abdul Aziz Al-Saud, e di suo figlio, Principe Mohammed bin Salman, Segretario alla Difesa, l’evidente sostenitore dell’intervento militare.
Gli Stati Uniti, con la loro speciale relazione con Israele, e con i loro forti legami con l’Arabia Saudita, sembra che stiano accettando la contraddizione fondamentale tra l’opposizione ad entrambi i loro reali avversari, l’AQAP e l’ISIS, e ai loro impliciti alleati, gli Houthi.
Invece di trattare il nemico del loro nemico come un amico, Washington sta capovolgendo il proverbio. Questo Nodo Gordiano sta strangolando gli yemeniti. Tagliarlo richiederà una drastica rottura con l’attuale politica. La soluzione è evidente, ma non lo è il modo in cui arrivarci, e nel frattempo i cadaveri si accumulano.
Richard Falk è uno studioso di legge internazionale e di relazioni internazionali  che ha insegnato per 40 anni all’Università di Princeton. Nel  2008 fu nominato dall’ONU per servire  un periodo di 6 anni come  Relatore  Speciale sui diritti umani dei palestinesi.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://zcomm.org/znet/article/yemen-pays-price-for-saudis-sectarian-paranoia
Originale: Middle East Eye
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

Smoke billows following an air-strike by Saudi-led coalition on a Houthi-controlled army camp on May 12, 2015, in the capital Sanaa. Saudi-led warplanes carried out new strikes against Iran-backed rebels in the Yemeni capital and the UN envoy flew in for talks ahead of a planned five-day humanitarian ceasefire. AFP PHOTO / MOHAMMED HUWAIS

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