Iran, la campagna di Bibi e dell’Aipac contro Obama “antisemita”


L’Iran Deal, l’accordo sul nucleare iraniano, sul quale dovrà pronunciarsi il Congresso statunitense a settembre, continua ad alimentare una discussione...
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L’Iran Deal, l’accordo sul nucleare iraniano, sul quale dovrà pronunciarsi il Congresso statunitense a settembre, continua ad alimentare una discussione accesa e molto polarizzata negli Stati Uniti. Bibi Netanyhau non si dà per vinto e fomenta in tutti i modi i settori oltranzisti della comunità ebraica americana perché facciano pressioni sull’opinione pubblica e sul Congresso in modo da impedire l’approvazione dell’accordo.

Il paradosso politico non è che le organizzazioni più potenti della comunità ebraica, come l’Aipac, siano in piena sintonia con il premier israeliano e trovino facile ascolto nel Partito repubblicano, ma anche in alcuni settori democratici e perfino liberal; il fatto è che il grosso dell’elettorato ebraico, anche i segmenti scettici nei confronti dell’Iran Deal, peraltro minoritari, non sono assolutamente favorevoli a vedere umiliato, come tenta di fare Bibi, il presidente che hanno contribuito fortemente a eleggere e a rieleggere, e tanto meno intendono trovarsi sulla stessa lunghezza d’onda dello schieramento più reazionario che mai ci sia stato nel Congresso statunitense e che oggi ne costituisce la maggioranza. L’Aipac oggi rappresenta gli interessi e le sensibilità d’Israele (del governo e della maggioranza politica attuali) più che quelli della maggioranza della comunità ebraica statunitense.

Il dibattito in corso, nei luoghi politici e sui media, e anche sui media ebraici statunitensi, è molto interessante e stimolante, e va oltre la questione iraniana, ruota intorno a interrogativi più di fondo riguardanti la comunità ebraica statunitense e la sua relazione con Israele.
Il dibattito rimbalza in Israele, e viceversa.
Consideriamo particolarmente significativo quanto scrive su Haaretz Peter Beinart, autore di The Crisis of Zionism, collaboratore di The Atlantic e del National Journal, oltre che opinionista del quotidiano progressista israeliano.
Ecco il testo in italiano


PETER BEINART
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, questa volta l’ha fatta grossa. Per vendere il suo accordo con l’Iran “fa allusioni pesanti a concetti antisemiti“, “utilizza termini che sono spesso parole in codice per gli ebrei”. E i suoi tirapiedi utilizzano “l’incitamento antisemita come strumento politico”.
Come ha potuto votare, la stragrande maggioranza degli ebrei americani, per ben due volte, per un uomo così desideroso di demonizzarli? E come può il sottosegretario di stato di Obama, ebreo, il suo vice consigliere per la sicurezza nazionale, sempre ebreo, il suo ambasciatore ebreo in Israele, il direttore, ebreo, dell’Office of Foreign Assets Control (che sovrintende alle sanzioni all’Iran) e il suo segretario al tesoro, ebreo ortodosso, com’è possibile che tutti costoro stiano giocando un ruolo chiave nel promuovere l’accordo con l’Iran – e sono dunque parte di questo pogrom di retorica? L’odio rivolto a se stessi gli ebrei, a quanto pare, è una cosa misteriosa e potente.

L’affermazione secondo cui Obama starebbe diffondendo l’antisemitismo si riduce a questo: fa affermazioni sulle persone e sulle organizzazioni che si oppongono all’accordo con l’Iran che, in passato, gli antisemiti hanno fatto sugli ebrei. Queste cose ricadono in tre categorie: la guerra, il denaro e la doppia fedeltà.
Cominciamo con la prima: la guerra. Nel suo discorso all’American University, all’inizio di questo mese, Obama ha avvertito che “il rifiuto da parte del Congresso di questo accordo non lascerebbe a qualunque amministrazione statunitense, che sia assolutamente impegnata a impedire all’Iran di ottenere armi nucleari, altra opzione se non una nuova guerra in Medio Oriente.”
La ragione è che, senza un accordo, “il breakout time (il tempo necessario per produrre abbastanza uranio, arricchito con le centrifughe, per una bomba nucleare) dell’Iran, che adesso è abbastanza breve, si ridurrebbe praticamente a zero”. Una volta che accadesse, Obama ha chiesto retoricamente: “C’è qualcuno che dubiti che le stesse voci che ora si levano contro questo accordo poi chiederanno di bombardare quegli impianti nucleari?”
Ci vedete un odio antriebraico? Obama, ha scritto l’ex funzionario dell’amministrazione Bush, Elliot Abrams, su The Weekly Standard, “alimenta qui una linea netta di antisemitismo che accusa gli ebrei americani di voler condurre l’America in guerra. Naturalmente questo risale alla seconda guerra mondiale e alle accuse contro Franklin Roosevelt, quando la critica antisemita lo chiamava ‘Rosenfeld’”.
Non è semplice capire da dove cominciare. Innanzitutto, Obama, nel suo discorso all’American University. non ha mai detto nulla sugli ebrei, o sulle organizzazioni ebraiche. Ha fatto riferimento a “voci che si levano contro questo accordo” molte delle quali sono di ebrei ma la maggior parte delle quali non lo sono.
Quindi se Obama ha calunniato qualcuno affermando che gli avversari all’accordo stanno mettendo gli Stati Uniti su un percorso di guerra, non erano gli ebrei. Erano i falchi. Si dà il caso che un po’ di falchi di rilievo hanno invocato in modo esplicito la guerra. (Per esempio, William Kristol, direttore della rivista in cui Abrams ha pubblicato il suo articolo).

Mentre altri critici dell’accordo con l’Iran si oppongono alla guerra ma la maggior parte lo ritiene preferibile a una bomba iraniana (Nelle parole di John McCain, “C’è solo una cosa peggiore di un’azione militare contro l’Iran, è che l’Iran sia dotato di armi nucleari”)
Il ragionamento di Obama è che respingere l’attuale accordo consentirebbe all’Iran di ridurre il breakout time nucleare “vicino allo zero” e, a quel punto, l’azione militare diventerebbe l’unico modo per fermare la bomba iraniana, le “voci” che s’oppongono all’attuale accordo avrebbero cos’ scelto per la guerra. Il trovo il ragionamento convincente. Abrams, no. Ma è assurdo accostarlo alle posizioni antisemite di chi sosteneva che gli ebrei erano dietro la decisione di Franklin Delano “Rosenfeld” di entrare nella seconda guerra mondiale.
La seconda presunta insinuazione antisemita di Obama riguarda il denaro.
Alla domanda di Jon Stewart, sullo scontro sull’Iran, Obama ha detto che “se le persone sono impegnate, alla fine il sistema politico risponde. Nonostante i soldi, nonostante i lobbisti, esso risponde ancora”. In questo modo, ha sostenuto Jonathan Tobin di Commentary, Obama ha evocato “stereotipi tradizionali antisemiti” sui soldi e sul potere ebraico. Le sue “tattiche vili” costituivano una “diffamazione” di stampo antisemita.

È vero: per secoli, gli antisemiti hanno accusato gli ebrei di usare i loro soldi e il loro potere per plasmare la politica del governo.
È anche vero che negli Stati Uniti, nel 2015, gruppi ebraici come l’AIPAC usano il loro denaro e il potere per plasmare la politica del governo.

Sarebbe stata una cosa significativa solo se Obama avesse criticato il potere dei lobbisti e gli interessi economici quando tale potere fosse esercitato dagli ebrei. Ma ha fatto la stessa cosa, con ancora più veemenza, durante altre battaglie.
Nel 2010, per esempio, avvertì i lobbisti di Wall Street che s’opponevano alla sua spinta per la regolamentazione finanziaria dicendo che “se questi signori vogliono andare allo scontro, io sono pronto”. Lo scorso giugno Obama ha affermato che quando si tratta del controllo delle armi da fuoco, la National Rifle Association (la NRA, la lobby dei produttori e dei detentori di armi da fuoco) tiene il Congresso nella sua “presa”.
L’AIPAC è una potente organizzazione. Sta spendendo fino a quaranta milioni di dollari per pubblicare annunci che denunciano l’accordo sull’Iran negli stati chiave (nelle elezioni) e nei distretti congressuali. All’inizio di questo mese, ha portato quasi ogni nuovo membro della Camera dei Rappresentanti in Israele a sentire di persona il primo ministro Benjamin Netanyahu denunciare l’accordo. Se poi parliamo del dibattito al Congresso sull’Iran, e non citiamo l’AIPAC, è come discutere delle armi da fuoco senza citare la NRA o discutere del commercio internazionale senza citare il sindacato AFL-CIO.
È ostinata cecità. Eppure, secondo Tobin, Obama deve attenersi a una simile cecità perché continuando a parlare di potere economico e politico ebraico alimenta l’antisemitismo.
Seguendo questo principio, anche criticare Bernie Madoff è antisemita: dopo tutto, il suo comportamento è stato una pacchia per l’immaginario antisemita. E condannare Bill Cosby è razzista perché alimenta gli stereotipi sugli uomini africano-americani come predatori sessuali.
Se ogni osservazione che potrebbe alimentare l’intolleranza bigotta è di per sé intolleranza, indipendentemente dal fatto se sia vero, ci sarebbe davvero molto di cui non poter discutere.
La terza forma di Obama di “incitamento antisemita” riguarda la doppia fedeltà. A dimostrazione di essa, Lee Smith, su Tablet, cita la dichiarazione di Obama nell’intervista a Jon Stewart, sul fatto che la decisione del Congresso sull’accordo con l’Iran “non dovrebbe basarsi sull’attività di lobbying, ma sugli interessi nazionali degli Stati Uniti d’America”.
Abrams cita il discorso di Obama all’American University, quando afferma che, se Netanyahu s’oppone all’accordo con l’Iran “sarebbe un’abdicazione al mio dovere costituzionale se agissi contro il mio giudizio ponderato, semplicemente perché provocherebbe un attrito temporaneo con un caro amico e alleato”.
Secondo Smith e Abrams, Obama intende implicare che, mentre lui s’attiene alla tutela degli interessi nazionali americani, i suoi avversari hanno una motivazione in più: guardando oltre, anche a favore degli interessi israeliani. (Dopo tutto, “doppia fedeltà” non significa che non ti preoccupi degli Stati Uniti. Significa che ti preoccupi anche di un altro paese).
Il problema di quest’argomentare è che quando si tratta di Iran, quasi tutti a Washington guardano oltre, a favore degli interessi israeliani, così come di quelli americani. Nel dibattito sull’Iran, “doppia fedeltà” non è un insulto; è un distintivo di onore.
A cominciare dallo stesso Obama. All’American University, ha sostenuto che l’accordo nucleare è nell’”interesse di Israele” e che per la realizzarlo egli “ha ascoltato l’establishment della sicurezza israeliana”.
Gli avversari dell’accordo parlano esplicitamente di ciò che è meglio anche per Israele. Quando Obama ha annunciato l’accordo con l’Iran, il candidato alla presidenza repubblicano Mike Huckabee ha twittato che esso “autorizza un regime iraniano malvagio a mettere in atto la sua minaccia di ‘cancellare Israele dalla carta geografica’.” Dopo il suo tweet di denuncia dell’accordo, il deputato Ryan Zinke ha aggiunto l’hashtag #StandWithIsrael. Il repubblicano Lindsey Graham ha definito l’accordo una “condanna a morte per lo stato di Israele”.
In un recente editoriale, il rabbino Shmuley Boteach ha promesso che il suo amico, il senatore del New Jersey Cory Booker, “non voterà mai contro Israele”.
Non è che Huckabee, Graham e Boteach non pensino agli interessi americani. Essi credono che gli interessi americani e israeliani coincidano sempre. Ma, oggi, nel dibattito americano mainstream, non c’è nemmeno bisogno di discutere sul punto. Sostenere Israele è considerata una virtù in sé e per sé.

Il vero spartiacque non è se i legislatori dovrebbero prendere in considerazione gli interessi israeliani così come prendono in considerazione gli interessi americani quando soppesano l’accordo nucleare. Riguarda piuttosto quello che gli interessi israeliani rappresentano. Gruppi ebraici americani dell’establishment e i repubblicani del Congresso sono ispirati da Netanyahu. Obama e J Street [la seconda più importante organizzazione ebraica, progressista] affermano che l’accordo con l’Iran va a beneficio dello Stato ebraico, a dispetto di quello che dice Bibi.
Inconsistenti finché si vuole, gli attacchi contro Obama come antisemita hanno un peso. Sono importanti perché perpetuano un’incapacità di fondo della vita ebraica americana organizzata: l’incapacità di accettare le responsabilità morali del potere ebraico. Agli inizi del ventesimo secolo, molti ebrei erano nuovi agli Stati Uniti, e, tragicamente, mancava loro la fiducia in se stessi per esigere dai leader americani che ascoltassero quando c’erano cose che contavano di più.
Da allora, la comunità ebraica americana è diventata diffusamente più ricca e più sicura di sé. Le organizzazioni della comunità, come l’AIPAC, sono diventate oggetto d’invidia di ogni gruppo etnico americano. E la comunità ebraica utilizza tali organizzazioni al fine di garantire che i leader americani mai più prendano decisioni che riguardano il popolo ebraico senza ascoltare prima gli ebrei.
Il potere politico ebraico in America è un conseguimento straordinario. Ma gli usi di quel potere è un argomento legittimo di discussione. Dire che l’azione di lobby dell’AIPAC aumenta le probabilità di una guerra con l’Iran non è antisemita. È la verità. L’attività di lobby dell’AIPAC rende più probabile una guerra perché l’unica alternativa alla guerra che l’AIPAC sostiene è la quasi totale capitolazione iraniana. E l’AIPAC non ha mai abbozzato un piano lontanamente plausibile per portare pacificamente a una capitolazione totale.
Dire che l’AIPAC, come ogni altro gruppo di lobby, spenda soldi per convincere i membri del Congresso a fare cose che altrimenti non farebbero, non è antisemita. È la verità. Se sui membri del Congresso non ci volesse una pressione politica perché sostengano l’agenda dell’AIPAC, allora non avrebbe senso che l’AIPAC esista. E dire che l’AIPAC lavora per assicurare che il governo degli Stati Uniti sostenga le politiche del governo israeliano, neppure questo è antisemita. È la verità. Se Benjamin Netanyahu avesse sostenuto l’accordo con l’Iran, oggi l’AIPAC non condurrebbe un’azione di lobby contro di esso.
In una democrazia, ogni istituzione potente merita controllo. A nessuna lobby dovrebbe essere consentito di operare – così si vantava l’ex dirigente dell’AIPAC Steve Rosen – come un “fiore notturno” che “vive nel buio.”
Coloro che accusano il presidente Obama di antisemitismo cercano di prevenire ogni controllo. Stanno cercano di amplificare il potere dell’AIPAC, rendendo la critica un tabù.
È importante che non riescano nell’intento. Perché mentre il potere politico ebraico è sia legittimo che necessario, il potere ebraico che non dia conto non lo è. Non è buono per la sicurezza nazionale americana. Non è buono per la democrazia americana. E non è buono per noi.
(traduzione di Maria Luna Moltedo)

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