La sequenza inizia con un lungo primo piano
di Reem Sahwil, una giovane rifugiata palestinese di 14 anni, seduta
lungo la struttura da circle time che caratterizza la
scenografia televisiva. Guarda con occhi fieri e sognanti verso la
Cancelliera, esprime il desiderio di un futuro in Germania per lei e la
sua famiglia, alludendo ai problemi incontrati dal padre nella procedura
di richiesta d’asilo: «Vorrei frequentare l’università veramente come
tutti. È davvero un desiderio e un obiettivo che vorrei raggiungere ed è
veramente molto spiacevole osservare come gli altri assaporano la vita e
non poter fare altrettanto».
Un controcampo inquadra Angela Merkel al centro dello studio.
L’immancabile giacca verde sembra finalmente sposarsi con l’atmosfera
pop, con il tono colloquiale che caratterizza un incontro con gli
studenti. Ma la sua postura è impassibile. In piedi in mezzo ai ragazzi,
Angela risponde a Reem, spiegandole che «a volte la politica è molto
dura».
La telecamera stringe in primo piano, ponendo fuoricampo l’uditorio
minorenne e il contesto nel quale prendono corpo le parole del politico
che prosegue chiamando direttamente in causa la ragazza e il suo futuro:
«Anche se sei una persona davvero molto piacevole, ci sono altre
migliaia di persone nei campi profughi palestinesi in Libano». La
Cancelliera continua la sua replica a Reem con la retorica
dell’amministrazione delle quote: «Se noi diciamo “ok, potete venire
tutti, potete venire tutti dall’Africa” e poi non siamo in grado di
gestirlo… Alcuni dovranno tornare indietro».
Mentre la Merkel dice la dura verità ai bambini, intanto, fuoricampo,
Reem piange, consolata da un’amica. Angela se ne accorge ed ecco pronta
la carezza. «Hai fatto un buon lavoro» le dice.
Uno zoom indietro allarga sul gesto, mentre il conduttore incalza la
Cancelliera e le chiede che cosa c’entri il buon lavoro fatto dalla
ragazza con la “situazione difficile” nella quale si trova. «Lo so che è
una situazione difficile…» risponde subito il politico, «è per questo
che voglio rasserenarla».
Ciò che colpisce di questa sequenza – della quale tanto si è parlato
negli ultimi giorni – è la durezza non relazionale del confronto tra il
leader politico e il rifugiato minorenne. La situazione presenta in sé
qualcosa di grottesco. Vi si mescolano autorità e subordinazione,
rigidità e goffaggine, paternalismo e clemenza. Lo spostamento di tre
passi e la lieve inclinazione del busto di Angela Merkel esaurisce la
gamma politica e patetica prevista dal dispositivo: un drastico,
meccanico passaggio dalla retorica della ragion di Stato al registro del
compassionevole.
Ma ciò che si cela dietro quella tensione
tra il bastone “bimba, mia cara bimba, a volte la politica è molto dura”
e la carota “voglio rasserenarla”, è una serie di relazioni storiche
che i discorsi dominanti tendono a rimuovere e che, nonostante tutto, lo
studio televisivo è riuscito ad accostare, a rendere fisicamente
vicine.
Sì, perché nello studio si è accostato
l’inaccostabile, si è stabilito un nesso che solo una lunghissima frase,
tutta d’un fiato, può cogliere: la discendente di rifugiati palestinesi
– espulsi da Israele come risultato della soluzione che la comunità
internazionale ha trovato per riparare, fuori dal suolo in cui sono
stati commessi e in un Medio Oriente già colonizzato, i crimini contro
l’umanità commessi dalla Germania nazista e da altri Paesi europei –
che, rifugiata due volte (prima in Libano, poi in Germania), posta di
fronte al rischio di essere deportata (come tanti altri richiedenti
asilo) dal governo tedesco di oggi, chiede alla Cancelliera di restare;
la Cancelliera che, nonostante le responsabilità storiche del suo Paese,
si rifiuta di consentire il diritto al ritorno dei rifugiati
palestinesi nel Paese da cui sono stati espulsi, e impartisce alla
rifugiata palestinese una lezione su come l’Europa di oggi non abbia
affatto rotto con alcune delle logiche che hanno prodotto e condotto
alla soluzione finale.
«Solitamente il termine “profugo” designava
una persona costretta a cercare asilo per aver agito in un certo modo o
per aver sostenuto una certa opinione pubblica. Noi abbiamo dovuto
cercare asilo; tuttavia, non abbiamo fatto nulla», scriveva Hannah
Arendt nel 1943, contestando la nozione stessa di profugo.
In fondo, Reem è un’apolide, e Angela,
nell’atmosfera informale di uno studio televisivo tedesco, le ha detto
che non gliene frega nulla, prima di consolarla e concederle la grazia.
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