Nicola Perugini e Francesco Zucconi :Angela e Reem



La sequenza inizia con un lungo primo piano di Reem Sahwil, una giovane rifugiata palestinese di 14 anni, seduta lungo la struttura da circle time che caratterizza la scenografia televisiva. Guarda con occhi fieri e sognanti verso la Cancelliera, esprime il desiderio di un futuro in Germania per lei e la sua famiglia, alludendo ai problemi incontrati dal padre nella procedura di richiesta d’asilo: «Vorrei frequentare l’università veramente come tutti. È davvero un desiderio e un obiettivo che vorrei raggiungere ed è veramente molto spiacevole osservare come gli altri assaporano la vita e non poter fare altrettanto».

Un controcampo inquadra Angela Merkel al centro dello studio. L’immancabile giacca verde sembra finalmente sposarsi con l’atmosfera pop, con il tono colloquiale che caratterizza un incontro con gli studenti. Ma la sua postura è impassibile. In piedi in mezzo ai ragazzi, Angela risponde a Reem, spiegandole che «a volte la politica è molto dura».
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La telecamera stringe in primo piano, ponendo fuoricampo l’uditorio minorenne e il contesto nel quale prendono corpo le parole del politico che prosegue chiamando direttamente in causa la ragazza e il suo futuro: «Anche se sei una persona davvero molto piacevole, ci sono altre migliaia di persone nei campi profughi palestinesi in Libano». La Cancelliera continua la sua replica a Reem con la retorica dell’amministrazione delle quote: «Se noi diciamo “ok, potete venire tutti, potete venire tutti dall’Africa” e poi non siamo in grado di gestirlo… Alcuni dovranno tornare indietro».
Mentre la Merkel dice la dura verità ai bambini, intanto, fuoricampo, Reem piange, consolata da un’amica. Angela se ne accorge ed ecco pronta la carezza. «Hai fatto un buon lavoro» le dice.
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Uno zoom indietro allarga sul gesto, mentre il conduttore incalza la Cancelliera e le chiede che cosa c’entri il buon lavoro fatto dalla ragazza con la “situazione difficile” nella quale si trova. «Lo so che è una situazione difficile…» risponde subito il politico, «è per questo che voglio rasserenarla».
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Ciò che colpisce di questa sequenza – della quale tanto si è parlato negli ultimi giorni – è la durezza non relazionale del confronto tra il leader politico e il rifugiato minorenne. La situazione presenta in sé qualcosa di grottesco. Vi si mescolano autorità e subordinazione, rigidità e goffaggine, paternalismo e clemenza. Lo spostamento di tre passi e la lieve inclinazione del busto di Angela Merkel esaurisce la gamma politica e patetica prevista dal dispositivo: un drastico, meccanico passaggio dalla retorica della ragion di Stato al registro del compassionevole.
Ma ciò che si cela dietro quella tensione tra il bastone “bimba, mia cara bimba, a volte la politica è molto dura” e la carota “voglio rasserenarla”, è una serie di relazioni storiche che i discorsi dominanti tendono a rimuovere e che, nonostante tutto, lo studio televisivo è riuscito ad accostare, a rendere fisicamente vicine.
Sì, perché nello studio si è accostato l’inaccostabile, si è stabilito un nesso che solo una lunghissima frase, tutta d’un fiato, può cogliere: la discendente di rifugiati palestinesi – espulsi da Israele come risultato della soluzione che la comunità internazionale ha trovato per riparare, fuori dal suolo in cui sono stati commessi e in un Medio Oriente già colonizzato, i crimini contro l’umanità commessi dalla Germania nazista e da altri Paesi europei – che, rifugiata due volte (prima in Libano, poi in Germania), posta di fronte al rischio di essere deportata (come tanti altri richiedenti asilo) dal governo tedesco di oggi, chiede alla Cancelliera di restare; la Cancelliera che, nonostante le responsabilità storiche del suo Paese, si rifiuta di consentire il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi nel Paese da cui sono stati espulsi, e impartisce alla rifugiata palestinese una lezione su come l’Europa di oggi non abbia affatto rotto con alcune delle logiche che hanno prodotto e condotto alla soluzione finale.
«Solitamente il termine “profugo” designava una persona costretta a cercare asilo per aver agito in un certo modo o per aver sostenuto una certa opinione pubblica. Noi abbiamo dovuto cercare asilo; tuttavia, non abbiamo fatto nulla», scriveva Hannah Arendt nel 1943, contestando la nozione stessa di profugo.
In fondo, Reem è un’apolide, e Angela, nell’atmosfera informale di uno studio televisivo tedesco, le ha detto che non gliene frega nulla, prima di consolarla e concederle la grazia.
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