Israele: "Aiutiamo i ribelli siriani"


 
 
Ad ufficializzare la notizia è stato il ministro della difesa israeliano Ya'alon che ha parlato di due condizioni per l'aiuto "umanitario": "che i ribelli non si avvicinino troppo al nostro confine e che non si colpiscano i drusi siriani"
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Ad ufficializzare la notizia è stato il ministro della difesa israeliano Ya’alon che ha parlato di due condizioni per l’aiuto “umanitario”: “che i ribelli non si avvicinino troppo al nostro confine e che non si colpiscano i drusi siriani”



Il ministro della difesa israeliano, Moshe Ya’alon
di Roberto Prinzi
Roma, 30 giugno 2015, Nena News – Ora è ufficiale: Israele fornisce aiuto ai ribelli siriani. Lo scopo? Allontanare dall’immediato pericolo la popolazione drusa siriana la cui presenza nel sud della Siria potrebbe essere minacciata da gruppi jihadisti. A rivelare questa notizia non è stata ieri la stampa del regime siriano, né la propaganda iraniana, ma il ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon. Nel corso di un incontro con i rappresentanti diplomatici dello stato ebraico all’estero, Ya’alon ha affermato che l’assistenza umanitaria fornita da Israele ai ribelli siriani tutela la minoranza drusa in Siria. “Noi – ha dichiarato il ministro – li assistiamo a due condizioni: che loro [i ribelli, ndr] non si avvicinino troppo al [nostro] confine e che non colpiscano i drusi”.
Su chi siano questi ribelli (e se tra essi vi siano anche gruppi estremisti jihadisti) il falco Ya’alon non ha fornito dettagli ed è rimasto piuttosto nel vago. Netto e chiaro, però, è stato quando ha condannato l’attacco “irresponsabile” compiuto la scorsa settimana da alcuni drusi d’Israele che avevano attaccato una autombulanza israeliana che trasportava due ribelli siriani feriti. Nell’assalto uno dei due combattenti era stato ucciso. Il premier Netanyahu definì quell’assalto un “linciaggio”.
Il ministro della difesa ha sottolineato ieri che i due siriani a cui Tel Aviv voleva prestare assistenza non erano affiliati ai qa’edisti del Fronte an-Nusra e che la morte di uno di loro avrebbe potuto provocare attacchi di ritorsione dei ribelli sulla popolazione drusa siriana. “Israele continuerà ad agire con sensibilità riguardo a ciò che concerne i drusi – ha promesso Ya’alon – i ribelli sentono che ci stiamo comportando così”. Secondo la stampa israeliana, da quando è iniziata la guerra civile siriana nel 2011, lo stato ebraico ha curato nei suoi ospedali più di 1.000 siriani.
Fino a ieri Israele non aveva mai annunciato ufficialmente di aver curato anche oppositori al regime del presidente Bashar al-Asad. Aveva preferito mantenere il riservo sulle identità dei suoi pazienti stranieri. Quanto ha però dichiarato ieri il ministro contraddisce di nuovo con la versione ufficiale ripetuta da 4 anni a questa parte dagli israeliani: ovvero la loro non intromissione negli affari siriani. “La nostra politica è quella di non essere coinvolti nella guerra in Siria” ha sottolineato Ya’alon. A patto, ovviamente, che non vengano superate alcune linee rosse. “Non tollereremo alcuna violazione della nostra sovranità, nemmeno il fuoco accidentale sparato dalla Siria verso il nostro territorio. Agiremo immediatamente per attaccare coloro che mettono gli esplosivi vicino al confine o che ci aggrediscono” ha tuonato. Senza dimenticare che un’altra red line è il trasferimento di armi ad Hezbollah o a gruppi nemici. E’ stato proprio questo pretesto (presunto) ad aver portato in varie occasioni Tel Aviv a bombardare il territorio siriano.
Sul rapporto tra ribelli e Israele è intervenuto anche un altro ufficiale. Raggiunto dal quotidiano israeliano “The Jerusalem Post”, il funzionario ha dichiarato che Tel Aviv non ha chiuso le porte in faccia a nessuno dei siriani che si avvicinavano al suo confine. “In seguito, quando diventava chiaro che erano ribelli, ci assicuravamo che avrebbero rispettato le nostre condizioni. L’ufficiale ha aggiunto che l’aiuto fornito da Israele non è mai stato prestato ai qaedisti di an-Nusra, ma a solo elementi non jihadisti rappresentati nell’Esercito libero siriano.
Ma distinguere i jihadisti, ha poi aggiunto, “può essere difficile”. Ma se stanno così le cose, bisognerebbe capire come questo ufficiale riesca ad affermare che tra i “pazienti” provenienti dalla Siria non vi siano stati anche miliziani di an-Nusra. In fondo, i qa’edisti siriani finora non hanno neanche minimamente pensato di disturbare “l’entità sionista”, combattono Hezbollah (acerrimo nemico di Tel Aviv) e, tranne in un caso avvenuto qualche settimana nella provincia di Idlib dove una ventina di drusi sono stati massacrati dagli uomini di al-Julani, an-Nusra ha preferito evitare di attaccare la minoranza drusa. In pratica si è attenuta perfettamente alle direttive israeliane. Dunque, seguendo il ragionamento di Ya’alon, può essere meritevole di aiuto umanitario.
Le dichiarazioni ieri di Ya’alon sono importanti perché, per la prima volta forse, rendono ufficiale ciò che già da molto tempo è evidente e noto: Israele intrattiene rapporti con l’opposizione ad Asad. Un segreto di pulcinella che, però, ancora molti in occidente continuano a negare con una notevole dose di ottusità. Certo, finora, quel che si può affermare è che il sostegno in questione è “umanitario”. Ma qualcuno ci spieghi perché un Paese come Israele che, secondo le Nazioni Unite, ha commesso a Gaza crimini di guerra e che prova in ogni modo a cacciare verso stati terzi gli “infiltrati” (immigrati irregolari) sia all’improvviso percorso da spirito crocerossino verso i siriani (e non drusi solo)? E con quale basi Tel Aviv può ancora affermare che è “neutrale” nel conflitto se ha compiuto raid aerei contro Hezbollah e aiuta (anche se dovesse essere dimostrato solo umanitariamente) l’opposizione?
Che nelle alte sfere della politica israeliana si guardi sempre di più con attenzione e preoccupazione al futuro della Siria è ormai un dato innegabile. Ieri il direttore dell’Ufficio degli affari militari e politici del ministero della difesa, Amos Gilad, ha detto che ormai al-Asad controlla solo un quinto del Paese. “La Siria se n’è andata, sta morendo. Il funerale sarà dichiarato a tempo debito. Questo Bashar al-Asad sarà ricordato nei testi di storia come colui che ha perso la Siria” ha dichiarato ostentando sicurezza Gilad ad una conferenza dell’Intelligence. “Finora ha perso il 75% del Paese..praticamente governa solo un 20% e il suo futuro, se posso prevederlo, si sta restrigendo con il passare del tempo. Forse lo vedremo come il presidente dell’Alawistan [alauita è il gruppo religioso a cui appartiene al-Asad, ndr]. Più cauto, ma sulla stessa lunghezza d’onda, è stato Ya’alon secondo il quale la Siria è ormai frammentata in una serie di “cantoni”.
Oggi, intanto, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha condannato i combattimenti e l’uso di armi pesanti da parte delle forze armate siriane e degli oppositori nell’aree che separano le forze israeliane e siriane dal 1974.
Una risoluzione presentata da Russia e Usa e adottata unanimamente dal Consiglio ieri ha esortato le parti in lotta del conflitto siriano ad interrompere le ostilità nell’area di separazione tra i due stati (Israele e Siria). La risoluzione ha esteso fino al 3 dicembre il mandato dei 750 uomini di peacekeeping dell’Onu presenti sulle Alture del Golan. Nena News

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