Tra il Nepal e Gaza: la compassione selettivo di Israele
Asher Shechter – Haaretz
(traduzione di Giorgia Grifoni – Nena News)
Roma, 1 maggio 2015, Nena News - Mentre il Nepal lotta per far fronte alle conseguenze del terribile terremoto di sabato scorso, con i paesi di tutto il mondo che inviano squadre di soccorso e offrono il loro sostegno finanziario e logistico, Israele ha ancora una volta dimostrato la sua impressionante capacità di mobilitarsi rapidamente e assistere le nazioni colpite dalla catastrofe.
Mentre la comunità internazionale si unisce, Israele ha già inviato una delegazione militare di 260 membri per aiutare gli israeliani feriti o dispersi, ma anche per prendere parte alle ricerche di tutti i sopravvissuti dispersi e ha istituito un ospedale da campo a Kathmandu. Ha inoltre inviato 95 tonnellate di rifornimenti e attrezzature mediche, tra cui sale operatorie, pronto soccorso e macchine a raggi X, così come strutture neonatali e pediatriche.
E’ una risposta sostanziale a una grande crisi umanitaria e uno sforzo ammirevole per aiutare un Paese che necessita di tutto l’aiuto che può ottenere. E, ancora una volta, Israele sta inviando squadre di pronto soccorso dove il disastro ha colpito, non importa quanto remoto sia il luogo.
Lo ha fatto nel 1999, dopo il terremoto di Izmit, in Turchia, che causò la morte di circa 17 mila persone. Lo ha fatto nel 2010 dopo il terremoto di Haiti, dove ha inviato una squadra di soccorso di 220 membri.
Nel 2011, dopo lo tsunami e il disastro nucleare di Fukushima, Israele è stato uno dei primi paesi a rispondere, inviando medici e personale militare per istituire un ospedale da campo. Nel 2013, dopo che il tifone Haiyan aveva devastato le Filippine, Israele ha inviato una squadra di soccorso di 148 membri e 90 tonnellate di attrezzature, cibo e medicinali.
In realtà, la propensione di Israele al soccorso dopo una catastrofe è così grande che nel 2003, a seguito di un terremoto che ha ucciso circa 30 mila persone nei pressi della città iraniana di Bam, i funzionari iraniani si sono sentiti in dovere di dire che i soccorsi da qualsiasi paese sarebbero stati i benvenuti, tranne quelli di Israele.
Per un paese delle dimensioni di Israele e dalla limitata presenza militare nel mondo, questo tipo di mobilitazione è straordinaria. L’efficacia e l’empatia di Israele vincono nuovi “fan” da tutte le parti. Ma non se il disastro si abbatte sulla costa a 70 km a sud di Tel Aviv, e se Israele ne è la causa diretta.
Più di otto mesi dopo la guerra che ha decimato le infrastrutture civili di Gaza, ha ucciso 2.132 palestinesi (e 72 israeliani) e creato migliaia di sfollati, la ricostruzione è ancora in stallo, secondo un rapporto dell’Associazione delle Agenzie di Sviluppo Internazionale (AIDA). Più di 12 mila case sono ancora in attesa di essere ricostruite e 100 mila persone sono ancora senza casa.
L’AIDA, che considera l’operazione “Margine Protettivo” la
più distruttiva operazione militare israeliana a Gaza negli ultimi sei
anni, ha detto che ci vorranno decenni perché Gaza si riprenda dalla sua
crisi umanitaria. In un rapporto dell’agosto 2014 delle
Nazioni Unite ci si interroga se nel 2020 Gaza sarà “vivibile”. Con un
quarto della popolazione che non ha accesso all’acqua corrente e con la
rete elettrica in gran parte fuori uso, è sempre più difficile
pensare che Gaza sarà “vivibile” .
E’ da rilevare che Israele ha permesso l’entrata di un certo livello di aiuti umanitari a Gaza durante la guerra e nei mesi successivi, e ha tolto alcune restrizioni. Ma alla luce della devastazione, per non parlare di un blocco che dura da più di sette anni e due precedenti operazioni militari, queste azioni sono una goccia in un vasto oceano di miseria.
Eppure Israele si comporta come se fosse più interessato al disastro in Nepal – un paese lontano noto agli israeliani per lo più per il turismo e per le gravidanze surrogate -piuttosto che al luogo purulento che giace ai suoi confini. “Da sabato siamo diventati tutti nepalesi,”, ha scritto il commentatore Boaz Bismuth nel quotidiano Israel Hayom.
Con la guerra del tutto dimenticata e Gaza lontana dalle menti israeliane, Israele e i suoi politici non sono affatto interessati ai problemi di Gaza.
Naturalmente, si potrebbe sostenere che Gaza e posti come il Nepal non siano la stessa cosa. Gaza è la roccaforte di Hamas, mentre nessuno ha mai sparato razzi da Kathmandu verso le città israeliane. Come ci si può aspettare che gli israeliani simpatizzino con persone con cui sono costantemente in lotta? Dal momento che anche i politici israeliani dalla linea più dura concordano sul fatto che non tutti gli abitanti di Gaza sono necessariamente sostenitori di Hamas, sì, ce lo si può aspettare.
Per essere onesti, la ricostruzione vacillante di Gaza non è del tutto colpa di Israele. Sì, in gran parte ha a che fare con le restrizioni israeliane sull’importazione di cemento e di altri prodotti, che Israele continua a imporre complici le accuse che Hamas utilizzi il cemento per finalità legate al terrorismo: i suoi tunnel.
Ma sei mesi dopo che i donatori di tutto il mondo avevano promesso 3,5 miliardi di dollari di aiuti, solo 945 mila dollari sono stati erogati. Impegni a parte, gli sforzi per la ricostruzione di Gaza sono stati costantemente posposti a causa delle dispute politiche tra Hamas e Fatah e per il “gingillarsi” dei paesi donatori.
Quindi sì, non si può criticare Israele per avere difficoltà a empatizzare con i propri nemici, ma Israele ha costantemente affermato che la guerra non era contro la popolazione di Gaza, ma contro Hamas.
Purtroppo, anche quando la copertura del Nepal terminerà, gli israeliani probabilmente ancora non saranno interessati alla crisi di Gaza. Com’è possibile? Le persone possono veramente essere selettivamente compassionevoli e, se sì, sono veramente compassionevoli, o stanno solo ingannando se stesse e tutti gli altri?
Tra una settimana, un mese, un anno, la crisi di Gaza sarà probabilmente ancora molto forte. Purtroppo per la gente di Gaza, il sentimento di compassione di Israele comincia – e finisce- migliaia di miglia di distanza. Nena News
(traduzione di Giorgia Grifoni – Nena News)
Roma, 1 maggio 2015, Nena News - Mentre il Nepal lotta per far fronte alle conseguenze del terribile terremoto di sabato scorso, con i paesi di tutto il mondo che inviano squadre di soccorso e offrono il loro sostegno finanziario e logistico, Israele ha ancora una volta dimostrato la sua impressionante capacità di mobilitarsi rapidamente e assistere le nazioni colpite dalla catastrofe.
Mentre la comunità internazionale si unisce, Israele ha già inviato una delegazione militare di 260 membri per aiutare gli israeliani feriti o dispersi, ma anche per prendere parte alle ricerche di tutti i sopravvissuti dispersi e ha istituito un ospedale da campo a Kathmandu. Ha inoltre inviato 95 tonnellate di rifornimenti e attrezzature mediche, tra cui sale operatorie, pronto soccorso e macchine a raggi X, così come strutture neonatali e pediatriche.
E’ una risposta sostanziale a una grande crisi umanitaria e uno sforzo ammirevole per aiutare un Paese che necessita di tutto l’aiuto che può ottenere. E, ancora una volta, Israele sta inviando squadre di pronto soccorso dove il disastro ha colpito, non importa quanto remoto sia il luogo.
Lo ha fatto nel 1999, dopo il terremoto di Izmit, in Turchia, che causò la morte di circa 17 mila persone. Lo ha fatto nel 2010 dopo il terremoto di Haiti, dove ha inviato una squadra di soccorso di 220 membri.
Nel 2011, dopo lo tsunami e il disastro nucleare di Fukushima, Israele è stato uno dei primi paesi a rispondere, inviando medici e personale militare per istituire un ospedale da campo. Nel 2013, dopo che il tifone Haiyan aveva devastato le Filippine, Israele ha inviato una squadra di soccorso di 148 membri e 90 tonnellate di attrezzature, cibo e medicinali.
In realtà, la propensione di Israele al soccorso dopo una catastrofe è così grande che nel 2003, a seguito di un terremoto che ha ucciso circa 30 mila persone nei pressi della città iraniana di Bam, i funzionari iraniani si sono sentiti in dovere di dire che i soccorsi da qualsiasi paese sarebbero stati i benvenuti, tranne quelli di Israele.
Per un paese delle dimensioni di Israele e dalla limitata presenza militare nel mondo, questo tipo di mobilitazione è straordinaria. L’efficacia e l’empatia di Israele vincono nuovi “fan” da tutte le parti. Ma non se il disastro si abbatte sulla costa a 70 km a sud di Tel Aviv, e se Israele ne è la causa diretta.
Più di otto mesi dopo la guerra che ha decimato le infrastrutture civili di Gaza, ha ucciso 2.132 palestinesi (e 72 israeliani) e creato migliaia di sfollati, la ricostruzione è ancora in stallo, secondo un rapporto dell’Associazione delle Agenzie di Sviluppo Internazionale (AIDA). Più di 12 mila case sono ancora in attesa di essere ricostruite e 100 mila persone sono ancora senza casa.
E’ da rilevare che Israele ha permesso l’entrata di un certo livello di aiuti umanitari a Gaza durante la guerra e nei mesi successivi, e ha tolto alcune restrizioni. Ma alla luce della devastazione, per non parlare di un blocco che dura da più di sette anni e due precedenti operazioni militari, queste azioni sono una goccia in un vasto oceano di miseria.
Eppure Israele si comporta come se fosse più interessato al disastro in Nepal – un paese lontano noto agli israeliani per lo più per il turismo e per le gravidanze surrogate -piuttosto che al luogo purulento che giace ai suoi confini. “Da sabato siamo diventati tutti nepalesi,”, ha scritto il commentatore Boaz Bismuth nel quotidiano Israel Hayom.
Con la guerra del tutto dimenticata e Gaza lontana dalle menti israeliane, Israele e i suoi politici non sono affatto interessati ai problemi di Gaza.
Naturalmente, si potrebbe sostenere che Gaza e posti come il Nepal non siano la stessa cosa. Gaza è la roccaforte di Hamas, mentre nessuno ha mai sparato razzi da Kathmandu verso le città israeliane. Come ci si può aspettare che gli israeliani simpatizzino con persone con cui sono costantemente in lotta? Dal momento che anche i politici israeliani dalla linea più dura concordano sul fatto che non tutti gli abitanti di Gaza sono necessariamente sostenitori di Hamas, sì, ce lo si può aspettare.
Per essere onesti, la ricostruzione vacillante di Gaza non è del tutto colpa di Israele. Sì, in gran parte ha a che fare con le restrizioni israeliane sull’importazione di cemento e di altri prodotti, che Israele continua a imporre complici le accuse che Hamas utilizzi il cemento per finalità legate al terrorismo: i suoi tunnel.
Ma sei mesi dopo che i donatori di tutto il mondo avevano promesso 3,5 miliardi di dollari di aiuti, solo 945 mila dollari sono stati erogati. Impegni a parte, gli sforzi per la ricostruzione di Gaza sono stati costantemente posposti a causa delle dispute politiche tra Hamas e Fatah e per il “gingillarsi” dei paesi donatori.
Quindi sì, non si può criticare Israele per avere difficoltà a empatizzare con i propri nemici, ma Israele ha costantemente affermato che la guerra non era contro la popolazione di Gaza, ma contro Hamas.
Purtroppo, anche quando la copertura del Nepal terminerà, gli israeliani probabilmente ancora non saranno interessati alla crisi di Gaza. Com’è possibile? Le persone possono veramente essere selettivamente compassionevoli e, se sì, sono veramente compassionevoli, o stanno solo ingannando se stesse e tutti gli altri?
Tra una settimana, un mese, un anno, la crisi di Gaza sarà probabilmente ancora molto forte. Purtroppo per la gente di Gaza, il sentimento di compassione di Israele comincia – e finisce- migliaia di miglia di distanza. Nena News
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