La bellezza nascosta di Gaza

Donne che praticano yoga. Ragazze al mare sulle tavole da surf. Studentesse velate che fanno sport. Così una fotografa allergica agli stereotipi ritrae la quotidiana resistenza di un popolo all’oppressione. Dei militari di Israele e degli integralisti di casa Guarda la gallery

di Davide Frattini - 03 aprile 2014
Lezioni di yoga sulle colline fuori Betlemme 
Lezioni di yoga sulle colline fuori Betlemme
Foto di Tanya Habjouqa
La donna ripercorre nell’oscurità il sentiero sotto la sabbia che i “topi” hanno impiegato due mesi a scavare: un metro all’ora, dieci ogni notte, prima di poter sbucare dall’altra parte. Anche lei non ha il permesso per passare la frontiera verso l’Egitto alla luce del sole, i suoi passi sono rischiarati dalle torce elettriche. I passi, il mazzo di fiori tenuto stretto e il sorriso: sta andando a una festa.

I generali egiziani hanno deciso di smantellare questi tunnel dei trafficanti da dove passano armi e munizioni con cui colpire Israele, cibo, droga, sigarette, qualche volta la speranza. Così hanno tappato per i palestinesi di Gaza anche quei pochi spiragli di svago, quelli che la fotografa Tanya Habjouqa chiamaOccupied Pleasures, “piaceri sotto occupazione”, come la serie di immagini raccolte tra la Striscia e la Cisgiordania, tra le case di cemento non intonacato sparpagliate come un tiro di dadi andato storto e i saloni eleganti di Ramallah.
C’è Sabah Abu Ghanim che surfa da quando ha 10 anni (adesso ne ha 16) e affronta il mare inquinato (Gaza non ha una rete di fognature) assieme al pregiudizio di una società ultraconservatrice: una ragazzina non può passare le sue giornate in costume da bagno, non può praticare uno sport senza essere accompagnata. Eppure racconta: “Quando entro in acqua mi sento felice, l’oceano mi appartiene e io gli appartengo”. Ci sono i ragazzi che hanno trasformato le macerie della guerra in trampolini per acrobazie da parkour e le ragazze velate ritratte mentre l’adrenalina sale nel sangue: stanno appese al braccio meccanico di una giostra, questa volta la paura non è per le bombe.

Tanya è nata in Giordania ed è cresciuta in Texas. A quindici anni è tornata in Medio Oriente, quando la madre l’ha rispedita ad Amman “per una specie di punizione”. “Sono arrivata due settimane prima che scoppiasse la guerra del Golfo, quella di Bush padre” ricorda alla rivista digitale PolicyMic. “Era l’epoca pre-internet, ma ero vicina a tutto, seguivo le notizie dall’Iran, dalla Siria, da Israele, dall’Iraq. Saltavo da un canale all’altro sbalordita dalle differenze nei racconti, ognuno distorceva la storia a modo suo”.

Adesso vive nella parte orientale di Gerusalemme con il marito (arabo con passaporto israeliano) e i due figli. “Ho capito che volevo raccontare il conflitto israelo-palestinese evitando gli stereotipi: il ragazzino che lancia una pietra contro i soldati, la madre che piange disperata con le mani alzate verso il cielo. Ho provato a mostrare una Palestina differente”. Ci sono le due donne che eseguono la posizione dell’albero, il tappetino blu appoggiato sulle rocce bianche delle montagne attorno a Betlemme. Hyatt ha preso lezioni da un’istruttrice americana di passaggio in Cisgiordania e adesso insegna nel suo villaggio di Zataara: “Tutte le allieve mi dicono che l’ora di yoga è un grande sollievo”. C’è il giovane di Hebron che galleggia nella posizione del morto in una delle piscine naturali di Ein Farha, gestite dalle autorità dello Stato ebraico.

Ci sono le atlete dell’università Al Quds che sembrano lanciare i loro giavellotti al di là del muro di separazione progettato dagli israeliani per fermare gli attentatori suicidi e che adesso è diventato una barriera quasi invalicabile per tutti. C’è la ragazza nascosta dal velo nero che accarezza uno dei leoncini nati nello zoo di Rafah. “I guardiani di Gaza sono famosi per le soluzioni ingegnose che trovano per permettere ai loro animali di sopravvivere” dice Tanya al New York Times. “Qualche volta esagerano: quando sono andata alla ricerca di un gruppo di zebre e muli dal pelo colorato, non sono riuscita a fotografarli perché il proprietario li aveva dati in pasto ai leoni che stavano morendo di fame”.

Nel 2009 Tanya ha lavorato alla serie di fotografie “Donne di Gaza”. Due anni prima Hamas aveva strappato il potere con le armi ai cugini/avversari di Fatah e stava estendendo il suo dominio sulla Striscia. Quando è tornata negli anni successivi si è resa conto di quanto gli abitanti, stretti tra Israele e il mare, sentissero l’oppressione esercitata dai fondamentalisti: perfino le spiagge - dove tirare il fiato con la brezza del Mediterraneo - vengono pattugliate dalla buoncostume integralista che controlla le coppiette e sorveglia addirittura come le ragazze siano vestite. La sua idea di ritrarre i pochi piaceri invece delle sofferenze non sempre viene accettata. “Qualcuno si è sentito offeso: che senso ha mostrare gli aspetti positivi, devi denunciare le nostre pene. Eppure io resto estasiata dalla capacità dei palestinesi non solo di sopravvivere, ma di riuscire a godersi la vita”.

Gaza Felix, l'altro volto dei territori palestinesi - IO donna

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