Anna Maria Cossiga :Israele, lo Stato nazione del popolo ebraico e l'odio di sé

di Anna Maria Cossiga
Il disegno di legge voluto da Netanyahu antepone la religione alla democrazia ed è per questo criticatissimo. Se si accusa il governo israeliano si è anti-ebraici?

La scelta di Netanyahu: elezioni sull'idea stessa di Israele


[Carta di Laura Canali, clicca sull'immagine per ingrandire]
Il disegno di legge fondamentale dal titolo “Israele, Stato nazionale del popolo ebraico”, approvato dal Consiglio dei ministri israeliano il 23 novembre scorso con 14 voti a favore e 7 contrari, ha suscitato critiche in tutto il mondo.

Le accuse principali riguardano la preferenza accordata al carattere ebraico rispetto al carattere democratico dello Stato e il rischio di considerare i non ebrei all’interno di Israele (in particolar modo gli arabi) come cittadini di seconda categoria, con diritti individuali ma non collettivi di fronte alla legge.

Le critiche allo Stato d’Israele e alle sue politiche non sono certo nuove, né il premier Benjamin Netanyahu (che ha scatenato una crisi di governo in seguito alla quale ci saranno elezioni anticipate il 17 marzo 2015) gode esattamente di buona pubblicità all’estero. In un recente articolo del quotidiano israeliano Yedioth Ahronot, il giornalista Eytan Gilboa si lamenta della mancanza di obiettività da parte della stampa mondiale nel riportare le notizie su Israele. “Ormai da molto tempo - scrive - i media occidentali riportano notizie sbagliate, usano due pesi e due misure, esagerano, fanno un uso non equilibrato delle fonti, si servono di associazioni senza senso, di analogie ridicole, di interviste tendenziose e operano significative omissioni. Tali difetti - continua Gilboa - hanno origine da un senso di solidarietà con gli 'oppressi', dall’adozione della narrativa che fa dei palestinesi delle vittime, dalle diffuse voci critiche e conflittuali all’interno di Israele e dall’antisemitismo”.


Certo, non si può negare che alcuni paesi, e probabilmente i loro media, non siano esattamente sostenitori dello Stato ebraico; né si può mettere da parte l’antisemitismo che serpeggia ovunque con preoccupante frequenza. Tuttavia, sempre più spesso le critiche alle politiche del governo Netanyahu, e in particolare al suddetto disegno di legge, non vengono più soltanto dai detrattori di Israele.

Il Dipartimento di Stato Usa “si aspetta che Israele si attenga ai suoi principi democratici". Abraham Foxman, Direttore della Lega Anti Diffamazione e da sempre ultra-sostenitore dello Stato ebraico e del suo governo, afferma che “il dibattito sul disegno di legge mina la stessa natura ebraica dell’identità nazionale dello Stato e che i tentativi di codificare ulteriormente tale concetto in una legge fondamentale derivano da una buona intenzione, ma sono superflui”. Anche le principali associazioni degli ebrei americani sono preoccupate.

All’interno di Israele si alzano le voci critiche degli stessi politici. I ministri Yair Lapid (Yesh ATid) e Tzipi Livni (Hatuah) hanno votato contro il disegno di legge e hanno avuto con il primo ministro uno scambio di opinioni esplosivo che ha portato al loro licenziamento e alla crisi di governo. Il presidente Reuven Rivlin, il suo predecessore Shimon Peres e il procuratore generale Yehuda Weinstein ritengono la legge pericolosa sia nella forma “dura” approvata dal Consiglio dei ministri sia in quella “edulcorata” che dovrebbe essere presentata alla Knesset la prossima settimana.

Dalla stampa israeliana giungono i giudizi più feroci. Il quotidiano Haaretz titola uno dei suoi articoli “Far entrare l’apartheid dalla porta di servizio”. Mentre in Sudafrica, sostiene l’autore Na'aman Hirschfeld, l’apartheid era l’ideologia ufficiale dello Stato, in Israele esso viene applicato in una forma che ne maschera la natura, tramite la legge marziale nei Territori occupati e il controllo militare dei palestinesi, la separazione fisica tra israeliani e palestinesi, la confisca di territorio e la costruzione degli insediamenti. Questo tipo di apartheid ha una caratteristica particolare: anziché essere l’ideologia fondativa dello Stato, è un apparato che gli sembra estraneo, un sistema di oppressione e di segregazione de facto di cui si tace completamente, sia nella retorica ufficiale, sia nella maggior parte dei media israeliani.

Si tratta piuttosto di un sistema che si manifesta nella prassi. Questo permette ai cittadini e a i politici di negarne l’esistenza, persino a se stessi. Oltre a questo, “la base democratica e secolare dello Stato è sotto attacco con il disegno di legge fondamentale che vuole fare dello Stato di Israele lo Stato nazionale del popolo ebraico e del popolo ebraico soltanto […]. È la fine del sionismo e il suo risultato finale è uno Stato ebraico che incarna la logica dell’antisemitismo”.

Un altro commentatore israeliano, Daniel Blatman, fa notare che nel XX secolo sono stati numerosi gli Stati che hanno approvato leggi sulla nazionalità. La presenza di minoranze sul proprio territorio faceva temere ai governanti che le loro aspirazioni all’eguaglianza fossero una minaccia. Le leggi emanate hanno portato alle persecuzioni e alla discriminazione codificata contro quelle minoranze. “Gli ebrei furono le prime vittime di quei regimi”. Nell’articolo, si ricordano le leggi polacche e romene degli anni Trenta e persino le leggi di Norimberga. “Ai promotori della legge appartenenti alle frange più estreme, tra cui i seguaci del defunto rabbino Meir David Kahane e i membri del movimento Lehava, non basta affermare il carattere ebraico di Israele e stabilire che solo gli ebrei hanno il diritto di avere uno stato nazionale: il loro modello sono le leggi di Norimberga.

Il sito di Lehava dichiara: “I matrimoni misti sono proibiti dalla legge di Dio, che vieta di mescolare il seme del Dio vivente con altre nazioni”. A questo proposito si sostiene che non si tratta di razzismo, ma che lo scopo è semplicemente quello di proteggere la nazione ebraica”. Anche i giuristi nazisti sostenevano che le leggi contro i matrimoni misti non erano razziste, ma che servivano - al contrario - per facilitare e regolare le relazioni ebrei e tedeschi nel lungo periodo.


In un editoriale, Gideon Levy sostiene che le politiche proposte da Naftali Bennett, ministro dell’Economia e degli Affari Religiosi e leader di Habayt Hayeudi (La Casa degli Ebrei), porterebbero a una soluzione molto semplice: uno Stato dell’apartheid. Lo stesso Bennett ha affermato che finalmente, grazie a questa legge, “Israele verrà considerato lo Stato-nazione del popolo ebraico e non soltanto quello della dignità umana e della libertà”.

Sostenere che Israele pratica l’apartheid o che le sue politiche verso gli arabi sono razziste può comportare essere accusati di antiebraismo. Dunque anche gli israeliani e gli ebrei che criticano le iniziative del governo Netanyahu sono antiebraici?

Il cosiddetto “odio di sé” che nutrirebbero alcuni ebrei è un antico dramma. Il primo e più tristemente famoso di tali ebrei è Otto Weiniger, giovane filosofo austriaco che nel 1903 pubblica Sesso e carattere. Nell’opera, “quasi una summa della misoginia e dell’antisemitismo viennese”, l’autore paragona gli ebrei alle donne, ritenute inferiori rispetto agli uomini tanto da fargli affermare che “la donna più elevata è infinitamente al di sotto dell’uomo più infimo”. È a questo spaventoso sentimento che dobbiamo attribuire i giudizi spietati di tanti commentatori israeliani?

Il grande filosofo e pensatore ebreo Martin Buber, sionista convinto ma sostenitore dell’intesa fra ebrei e arabi, scriveva nel 1925, alla vigilia del XIV congresso sionista: “Vi è un popolo senza terra, ma non vi è nessuna terra senza popolo. […] Questa terra può prosperare solo se c’è un rapporto di reciproca fiducia fra i due popoli. E questo vi può essere soltanto se quelli che arrivano, cioè in questo caso noi, vengono con leale e onesta volontà di convivere con l’altro popolo, sulla base del rispetto reciproco e l’attenzione per i diritti umani e nazionali di tutti”. Nel 1932 in Se non ora, quando? affermava invece: “Nella realtà della storia […] non si pone uno scopo giusto e poi si sceglie la strada che porta a quel fine comune come la offre la convenienza del momento. Una strada falsa […] porta a un fine falso […]. L’insegnamento di Isaia ci dovrebbe guidare nella nostra azione: ‘Sion sarà redenta per mezzo della giustizia’ (Isaia 1,27)”.

Buber era contrario alla superiorità della Realpolitik sull’etica, contrario a quanto affermato da Max Weber nel discorso in Politica come professione e cioè che “dal punto di vista sociologico, coloro che sono responsabili per il bene pubblico spesso sono costretti a utilizzare mezzi moralmente assai discutibili per promuovere ciò che è conveniente per il bene pubblico”.

Nonostante la sua grandezza, le posizioni di Buber si sono dimostrante perdenti all’interno del sionismo e la Realpolitik sembra aver vinto su tutti i fronti. Dobbiamo dedurre che anche Buber fosse un ebreo antiebraico? O trarre la conclusione, insieme a lui, che Israele ha raggiunto il proprio scopo attraverso la via sbagliata? Insomma, per quale strada si incammina lo Stato ebraico? Dove arriverà?

Chi avanza accuse di antiebraismo verso quanti criticano le politiche del governo israeliano, che siano ebrei o non ebrei, dovrebbe tenere a mente che essere “amici di Israele” non significa dargli sempre ragione, approvando qualunque cosa faccia.

Per approfondire: Una certa idea di Israele


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