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Amira Hass : quando a una giornalista di haaretz si chiede di lasciare l'università di Birzeit



Amira Hass*   Haaretz
La Fondazione tedesca Rosa Luxemburg e il Centro per lo Sviluppo degli Studi (CDS) dell Università Birzeit hanno organizzato un convegno dal titolo: “Alternative allo Sviluppo Neo Liberista nei Territori Palestinesi Occupati- Una Prospettiva Critica”.
Durante la prima presentazione di martedì [23 sett. n.d.t.] , due professori del CDS mi hanno avvicinato a distanza di dieci minuti l’uno dall’altro, chiedendomi di uscire perché avevano bisogno di parlarmi. Ho chiesto loro di aspettare fino alla pausa, ma dopo che me lo hanno chiesto per la terza volta sono uscita dalla sala della conferenza. “Non ho il permesso di stare qui?” ho domandato un po’ scherzosamente, ma uno dei docenti [mi] ha risposto che c’era un problema.
Quando mi sono registrata all’ingresso, ho scritto accanto al mio nome il giornale al quale appartengo, cioè Haaretz. Da più di due decenni , ha detto la professoressa, vige un regolamento a Birzeit che vieta agli Israeliani (cioè gli ebrei israeliani ) l’accesso all’area universitaria. Gli studenti incaricati della registrazione alla conferenza hanno visto che avevo scritto Haaretz accanto al mio nome e, avendo capito che sono israeliana, sono corsi a riferirlo alle autorità universitarie. [Gli addetti ]alla sicurezza che erano di turno si sono recati dagli organizzatori del convegno, [così] mi ha detto la docente. Lei e i suoi colleghi avevano il timore, ha continuato, che gli studenti avrebbero fatto irruzione nella sala del convegno per protestare contro la mia presenza.
Dal posto in cui ci trovavamo, all’ingresso della sala, non ho visto una massa di studenti che si avvicinavano per cacciarmi, in quanto rappresentante dell’“istituzione sionista”. Ma quando gli amici e conoscenti, docenti compresi, hanno telefonato in seguito per sapere cosa era successo, allora ho capito che correva voce che gli studenti mi avessero attaccata. E così, per amore della verità, non è questo che è successo. Quello che è accaduto è che due docenti mi hanno chiesto di lasciare [il convegno], ed è quello che ho fatto.
La docente mi ha spiegato che è importante per gli studenti avere uno spazio libero dove agli Israeliani (ebrei) non è consentito entrare; anche se il regolamento è discutibile, questo non era il momento o il luogo per discuterne la modifica. E che, anche se avesse potuto chiedere di fare una deroga alla regola, un altro professore avrebbe potuto chiedere lo stesso trattamento preferenziale per Yossi Berlin, l’ex ministro israeliano della Giustizia che è noto per essere stato uno degli artefici degli Accordi di Oslo, dell’iniziativa di Ginevra e il promotore del progetto sionista Taglit1 Mi ha anche detto che il professor Ilan Pappe, autore del libro “La pulizia etnica della Palestina” tra gli altri, è stato invitato per una conferenza a Birzeit, ma in ottemperanza al regolamento ha parlato fuori dal campus. L’altro professore mi ha detto che se non avessi scritto “Haaretz” sul modulo di registrazione, avrei potuto rimanere. Ancora, un altro accademico che conosco da 40 anni passandomi accanto mi ha detto: “Questo è per proteggerti dagli studenti”. In quel momento mi è venuta in mente l’idea che hanno generalmente gli israeliani dei palestinesi: irrazionali teste calde. Una palestinese con cittadinanza israeliana che è venuta al convegno ha abbandonato [la sala] disgustata, sono sue parole, perché mi hanno cacciata.
Nel frattempo, Katia Hermann, direttrice dell’Ufficio regionale nei Territori Occupati della Fondazione Rosa Luxemburg, è stata messa al corrente della questione. Nonostante il suo apprezzamento dell’importanza di preservare uno spazio libero per gli studenti, come molte femministe hanno fatto per gli spazi riservati solo alle donne, non è riuscita a capire perché fosse impossibile spiegare agli studenti che protestavano ( “che che non ho neppure visto”, ha notato) che questa rigidità non colpisce nel segno. Vengo regolarmente invitata ad eventi organizzati da “Rosa” come la fondazione è affettuosamente soprannominata. La Hermann, sbalordita, ha aggiunto che se avesse saputo dell’esistenza del regolamento alla Birzeit e della decisione di escludermi dall’ascolto del convegno, non avrebbe accettato di organizzare l’evento all’interno dell’università. 
Negli ultimi vent’anni sono entrata alla Università di Birzeit decine di volte e vi ho partecipato a varie conferenze come uditrice. Ho anche intervistato membri della facoltà sia all’interno che all’esterno del campus. L’anno scorso un professore di economia mi ha rifiutato l’intervista dicendomi: “non è niente di personale. Ma conosci quali sono le regole qui”. Non sapevo che vi fosse una regola che vietasse di essere intervistati da Haaretz.
È ben noto che l’Università non assume nel corpo docente ebrei israeliani, anche se appartengono ai circoli della sinistra anti-sionista. Nel 1998, la mia domanda per [insegnare in] un corso di arabo per stranieri non è stata accettata. (allora un amico di Gaza con sarcasmo ha affermato: “ Con il tuo accento gazawi, come possono accettarti?”). Ma non mi è mai stato detto che c’era un regolamento universitario che impediva la mia presenza in carne e ossa al campus di Birzeit, in quanto ebrea israeliana. L’affermazione che il regolamento si applica al mio caso perché appartengo a un’istituzione israeliana è poco convincente: i palestinesi cittadini di Israele che insegnano nelle università israeliane, non sono soggetti allo stesso trattamento. Se fossi stata a conoscenza di un simile regolamento, non sarei andata al convegno. Ho altri luoghi dove investire le mie energie sovversive.
Sto scrivendo di questo incidente precisamente perché non me la prendo personalmente. Non me la prendo per il fatto che alcuni membri della facoltà si siano celati dietro a degli ipotetici studenti arrabbiati e a un regolamento di cui molti altri sembrano esserne ignari. Secondo il mio parere, sarebbe stato più dignitoso dirmi esplicitamente: Non facciamo differenze tra coloro che sostengono l’occupazione e quelli che vi si oppongono, tra quelli che informano sulle politiche per trasferire forzatamente i Beduini o quelli che portano avanti quella linea politica; per noi, c’è un solo posto per tutti gli ebrei israeliani: fuori.
Nella sessione finale del convegno di mercoledì, un professore di un altro dipartimento ha chiesto di discutere della mia cacciata e del divieto in generale per gli ebrei israeliani di sinistra [di accedere all'università]. Mi è stato detto che questo docente, e altri che non erano presenti al momento dell’incidente, sono rimasti scioccati e hanno protestato. Quando è stato annunciato che mi era stato chiesto di lasciare [la sala] “per la mia sicurezza” alcuni presenti hanno abbandonato la sala arrabbiati. Nel frattempo su Facebook si è scatenata una tempesta. Alcuni conoscenti mi hanno chiamato per scusarsi. Il proprietario della mia macelleria si è scusato “a nome del popolo palestinese”.
Intanto, l’università ha emesso sabato un comunicato che dice: “L’amministrazione non ha nulla in contrario circa la presenza [nell'università] della giornalista Hass. L’università in quanto istituzione nazionale, sa distinguere gli amici dai nemici del popolo palestinese… e collabora con ogni individuo o istituzione contrari all’occupazione”.
Capisco il bisogno emotivo dei Palestinesi di avere uno spazio libero interdetto ai cittadini dello Stato che nega i loro diritti e che gli sta rubando la terra. Come persona di sinistra, tuttavia, discuto la logica anti-colonialista del boicottaggio di attivisti di sinistra ebrei israeliani. In ogni caso, tali attivisti non hanno bisogno di attestati di “buona condotta” mentre si oppongono all’occupazione adoperandosi per porre fine al regime ebraico di privilegi. Nena News
* (Traduzione di Carlo Tagliacozzo)



Birzeit University. Foto da Wikimedia Commons


"The articles and reports Hass has been writing for Haaretz newspaper are worthier and much more important than the fake exaggerated concern of the small group who offended her and definitely...
maannews.net

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